Undici regioni italiane sono state fortemente colpite dall’ondata di maltempo che nelle scorse settimane si è abbattuta sulla penisola, riproponendo il problema del rischio idrogeologico che attanaglia l’Italia. Un piano di aiuti da 800 milioni della Banca europea per gli investimenti per prevenire tale rischio era già pronto alla fine della scorsa legislatura, ma è notizia di questi giorni che l’attuale Governo sovranista dica di non averne bisogno e che l’Italia possa farcela da sola, nonostante il costo di questa scelta. Ma i problemi e le difficolta del nostro Pease, che l’emergenza maltempo ha messo ancora una volta a nudo, stanno a monte. FIRSTonline ne ha parlato con Marcello Messori, economista di spicco dell’Università Luiss di Roma e cittadino che ama e frequenta l’Altopiano di Asiago. Ecco il suo punto di vista.
Professor Messori, che impressione si è fatto del disastro ambientale che in questi giorni si è abbattuto sull’Altopiano di Asiago e su larga parta del Bellunese?
“Non sono un esperto di cambiamenti climatici né di disastri ambientali, ma da cittadino e da economista sono colpito da due fatti principalmente. Da una parte il problema dell’inquinamento che ha un impatto notevole sul clima e dall’altro la grande urgenza di vedere effettuati investimenti nel settore del riequilibrio ambientale. Non è possibile occuparsi di sviluppo economico e di crescita economica, senza introdurre la variabile cruciale dell’impatto ambientale. In questo senso torna in primo piano una distinzione nota nella storia della teoria economica che gli economisti del passato avevano ben presente e che nell’evoluzione della disciplina si è sempre di più stemperata, cioè la distinzione tra crescita economica e sviluppo economico. Un tasso di crescita positivo pone una condizione necessaria per consentire lo sviluppo economico e sociale di un paese, ma non è sufficiente. Perché la crescita sia compatibile con lo sviluppo oggi è almeno necessario che si tratti di una crescita sostenibile.”
Anche in questi giorni e anche di fronte all’emergenza maltempo, non sono state risparmiate polemiche sull’Europa in questa circostanza, accusata di scarsa solidarietà nei confronti dell’Italia. Come stanno secondo Lei le cose?
“Io penso si tratti di una errata rappresentazione delle regole europee di fronte a episodi di questo genere. La regola europea consiste nel non calcolare nel deficit strutturale tutte le spese una tantum, soprattutto quelle spese dovute a fenomeni eccezionali. Tutti gli stanziamenti fatti per fronteggiare le spese per i terremoti per esempio e le conseguenze dei disastri ambientali che hanno colpito il nostro paese non saranno computati nel deficit strutturale per il 2018, per cui il raggiungimento dell’obiettivo di medio termine di un paese non è condizionato dalle spese una tantum erogate per fronteggiare i disastri ambientali. Anzi, è possibile utilizzare molti fondi europei per progettare un rafforzamento e un ripristino dell’equilibrio idrogeologico e costruire quello che può diventare il sostegno tecnico di medio-lungo periodo a questo riequilibrio, cioè gli investimenti in infrastrutture.”
Come giudica la posizione del Governo in carica che pare non abbia intenzione di attivare un finanziamento di 800 milioni già pronto?
“In relazione all’Europa, non vedo ragioni rilevanti per rifiutare un finanziamento europeo tenendo conto del fatto che esso non interferisce rispetto alle regole cui abbiamo accennato. Inoltre, l’Italia non ha tanto un problema nel reperire le risorse per gli investimenti, quanto piuttosto un’incapacità di spendere per gli investimenti e questa è una questione che accumuliamo nel tempo. Noi siamo stati tra i paesi con la performance peggiore nell’utilizzazione delle risorse per gli investimenti infrastrutturali anche quando sfruttando la flessibilità europea abbiamo ottenuto che i cofinanziamenti non venissero computati nel deficit strutturale. Le apparenti rigidità della normativa risiedono nel fatto che l’Europa vuole evitare di concedere finanziamenti che non siano appropriati agli obiettivi per cui vengono stanziati. Diverso sarebbe invece varare un piano di riequilibrio ambientale pluriennale e costoso che sarebbe un intervento del singolo stato membro e per questo incide sul suo bilancio e per cui non si parla più di spesa una tantum. Ma sta al singolo stato scegliere la composizione dei propri investimenti. ”
La necessità di mettere in moto aiuti per la penisola e per fare fronte a disastri di questo spessore, può essere un’occasione per spingere sulla crescita e creare nuovi posti di lavoro nell’area?
“Questo dipende dall’efficienza con cui verranno attuati questi interventi. Una spesa una tantum ha un impatto limitato nel tempo, ma positivo se si tratta di una spesa per investimenti. Se serve per ripristinare le aree devastate, non si tratta solo di un atto necessario per riequilibrare un disastro ambientale, ma può avere anche effetti circoscritti ma positivi sulla dinamica economica. Il punto è realizzarli in modo efficiente. In Italia è difficile investire in tempi brevi risorse disponibili, ma è ancora più difficile una volta effettuati gli investimenti farlo con allocazioni efficienti. ”
La natura non è stata benigna, ma quali sono le responsabilità dell’uomo di fronte ai disastri ambientali di questi giorni?
“Da cittadino mi sembra che l’Italia sia caratterizzata da un eccesso di regole e da una loro osservanza molto scarsa. Penso che dovrebbero esserci forse meno regole, ma una capacità di controllo superiore. È necessario combinare regole e sanzioni, per evitare che possano verificarsi conseguenze per la collettività.”