Giornata piovosa in una Lugano che si nasconde tra le nubi un po’ come quelle che Magritte ha dipinto in diversi suoi dipinti. Il lago fa da sfondo silenzioso mentre qualche cigno danza imperturbabile nelle plumbee acque ad una esposizione che ci riporta alla conferenza La ligne de vie (La linea della vita) che René Magritte tenne il 20 novembre del 1938, esattamente 80 anni fa, al Musée Royal des Beaux Art di Anversa. Fu allora che Magritte illustrò quei principi dove oggetti quotidiani potevano prendere un significato decisamente surreale e perturbante.
La mostra percorre un po’ tutta la vita del Maestro belga, il percorso inizia poco prima degli anni ‘20, dove possiamo notare già l’interesse di Magritte verso il futurismo italiano. Ricordiamo che in De Chirico, egli trova la sua vena poetica, che possiamo già ammirare in un’opera qui esposta “Les plasir du poète” (1912).
I dipinti che Magritte realizzò tra il 1920 e il 1924 si collocano come opere presurrealiste, dove si percepiscono le influenze estetiche che il pittore acquisì alla fine dei suoi studi all’Accademia delle Belle Arti di Bruxelles. Ma questa sua ricerca termina ben presto soprattutto dopo essere venuto a conoscenza dell’opera di Giorgio De Chirico, introdotto dal poeta Marcel Lecomte. Da questo momento, Magritte, adotta la pittura caratterizzata dallo “Spaesamento”, ossia quell’istante in cui gli oggetti diventano mistero.
Nel 1927, dopo essersi avvicinato al cenacolo surrealista di Bruxelles, realizza la sua prima mostra che attrae diversi mercanti tra i quali Van Hecke, che gli propone un contratto. A seguito si trasferisce a Parigi assieme a Georgette e suo fratello Paul. Questo periodo rappresenterà un sigillo di profonda amicizia con il poeta Paul Eluard.
Di questo periodo sono opere come “Peintures-mots”, pitture e parole, immagini accompagnate da breve frasi, dove i vocaboli sono scritti molto ordinatamente, quasi in forma scolastica.
Per meglio illustrare il senso della sua ricerca, disegna una “Dimostrazione” dal titolo “Les Revolution Surrealiste”, in mostra troviamo le bozze originali esposte in una bacheca. A volte il nome dell’oggetto fa da immagine, oppure una parola prende il posto dell’oggetto, un invitare quasi lo spettatore a ricostruire il significato secondo gli indizi che il pittore ha voluto lasciare sulla tela.
Gli anni tra il 1933 e il 1940 vedono uno stile di affinità, dove Magritte cerca proprio le affinità elettive tra gli oggetti che compongono l’opera, come ad esempio la gabbia e l’uovo.
Sarà nel 1943 che l’artista cambia completamente il proprio stile, i colori diventano più chiari con una pennellata a macchia simile all’impressionismo. Infatti questo periodo si avvicina al periodo Renoir, quasi cercasse una sfida. Le opere vennero esposte quasi clandestinamente e non incontrarono alcun consenso con attacchi della stampa sotto il controllo dell’occupazione tedesca. Ma Magritte non intende rinunciare a questo stile e subito dopo la guerra firma il manifesto Surréalisme en plein soleil, abbandonando così il periodo impressionista.
Alla fine degli anni quaranta con la complicità dell’amico Louis Scutenaire decide di inviare delle opere a Parigi per una mostra, ma non i suoi capolavori, bensì diciassette tele e dodici gouache dipinti quasi con fretta e denominate “periodo vache”, alludendo così al fauvismo, lo stile delle belve, al punto tale che in alcune il pittore le deforma così tanto da sembrare grottesche. La mostra viene accolta malissimo al punto da destare una forte indignazione da parte dei visitatori.
Da allora fino alla sua morte, Magritte ritorna allo stile pittorico che più gli era caro, cioè evocare il mistero negli oggetti comuni. E per sottrarli alla banalità li pietrifica o li libera nell’aria, quasi in assenza di gravità.
Il suo successo ormai è internazionale, il suo talento viene riconosciuto grazie al suo mercante Alexander Iolas. Nel 1965 il Museum of Art di New York gli dedica una esposizione personale, ma la sua fama è già nota.
La mostra che resterà aperta fino al 6 gennaio 2019 è realizzata con il sostegno della Fondazione Magritte e vede la collaborazione con Amos Rex di Helsinki.