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Made in Italy, il viceministro Calenda all’assemblea Smi: “La moda senza manifattura è fuffa”

“Politica dei piccoli passi, e soprattutto puntare sull’industria e sulla cultura insieme: il glamour senza manifattura è fuffa, e con la fuffa il made in Italy è morto. L’identità di un Paese è cultura+industria”. Ha le idee ben chiare Carlo Calenda, viceministro allo Sviluppo economico e con un passato aziendale tra Ferrari, Sky e Confindustria (oltre che figlio della regista Cristina Comencini), intervenuto oggi a Milano ai lavori dell’assemblea dei soci di Sistema Moda Italia (Smi), che lo stesso neo presidente Claudio Marenzi ha ricordato essere “la più grande associazione tessile del mondo occidentale”.

Da anni infervora il dibattito sull’industria tessile e della moda, principale veicolo del made in Italy con un fatturato globale di circa 50 miliardi di euro: regge? Non regge? Quanto regge? Dal rapporto annuale di Smi emerge che il settore, a differenza dei segnali positivi registrati nel 2011, nell’ultimo anno non è stato risparmiato dalla crisi: fatturato -3,2% (51 miliardi, nel 2007 erano 56), consumo -9,8%, numero di aziende -3,5% (ne sono mancate quasi 10mila dal 2006) e impiegati totali in calo a 423mila unità (-5,3%).

Ma soprattutto, è un dato a destare preoccupazione: l’export, cavallo di battaglia dell’intero sistema economico italiano, in particolare delle eccellenze come il tessile, registra il segno “meno” dopo tre anni dall’ultima volta: -0,8%. Anche qui, il viceministro Calenda ha le idee chiarissime: “Le aziende che esportano lo fanno molto bene, ma sono ancora in poche a farlo”. Ecco dunque la comunicazione che fa scattare l’applauso della platea: il governo Letta ha raddoppiato il fondo per la promozione del settore, stanziando circa 10 milioni di euro, “che saranno investiti anche per andare a cercare direttamente sul territorio le aziende medio-piccole e farle diventare esportatrici”.

Piccoli passi, soprattutto in questo periodo di scarse risorse, e con una visione concreta, lontana dalla fuffa del made in Italy che tanto ce la fa sempre e comunque. “C’è per esempio il tema del libero scambio – spiega ancora Calenda all’associazione della filiera tessile -: dobbiamo prendere atto che è morto, perché Paesi come India e Brasile si sono chiusi e gli Usa fanno una politica a sé. Ma la via per uscirne c’è: un accordo bilaterale con gli Stati Uniti, che funga da modello per l’intero sistema, perché fidatevi che se si concordano degli standard con gli americani, il giorno dopo questi standard diventano punto di riferimento al quale si adeguano gli altri”.

Altro che Datagate, dunque: “Non è proprio una buona idea entrare in conflitto con gli Usa adesso, proprio in questo momento di difficoltà per il tessile, che poi è l’ambito nel quale gli statunitensi applicano più barriere tariffarie (già da qualche tempo l’Italia è soltanto l’11esimo Paese dal quale gli States importano tessile&moda, con una quota inferiore al 2%, ndr). Anche perché loro, a differenza di noi europei, stanno già scommettendo sulla controtendenza dell’esportazione di manifattura (delocalizzazione della produzione, ndr): i flussi manifatturieri nel mondo stanno per la prima volta declinando e questo accade perché si è fortemente ridotto il rapporto del costo del lavoro per esempio tra Italia e Cina, che qualche anno fa era di 1 a 33”.

L’Europa però non sembra scommetterci, così come non sembra neanche scommettere sul libero scambio al proprio interno: “Su questo darò forte battaglia – promette il viceministro allo Sviluppo economico del governo Letta -, partendo dal caso della pelle, che sta mettendo in ginocchio molte nostre aziende. Alcuni Paesi dell’Est hanno imposto dazi sull’esportazione di questa materia, e questo protezionismo oltre che non rientrare nello spirito comunitario, rischia di distruggere posti di lavoro nell’Europa stessa”.

Anche perché, secondo i dati dello stesso Smi, è proprio l’Italia a fatturare quasi un terzo dell’intero prodotto lordo di tessile e moda continentale: il 31%, grazie al 27,6% delle aziende che operano nel settore. Segnale di un sistema forte e ancora, nonostante tutto, in vena di ottimismo: “L’ho notato all’ultima edizione del Pitti – chiude Calenda -: è stata forse la prima volta in cui quasi tutti gli imprenditori che ho incontrato mi hanno detto ‘Siamo fiduciosi, ce la facciamo’.”

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