“Le riforme dei singoli Paesi, come quella che ha fatto Renzi qui in Italia con il Jobs Act, sono buone ma non bastano: l’Europa deve fare più investimenti e più rapidamente, andando oltre il piano Juncker. Questo compito spetta ai Paesi che hanno più possibilità, come la Germania, che chiuderà il 2015 con un surplus di bilancio”. La giornata romana del giovane ministro dell’Economia francese, il 37enne Emmanuel Macron, si chiude con un incontro con la stampa nella quale non poteva mancare un chiarimento su quello che lo stesso esponente del Partito socialista aveva definito sui giornali italiani il “New Deal” dell’Europa.
“L’Europa è ferma da 10 anni, è ora che trovi una nuova direzione in cui andare, per quanto audace possa sembrare. Se non ci proviamo, di certo non lo faremo: negli anni ’80 sembrava assurdo arrivare alla moneta unica, invece ci si impose degli step e l’ambizioso progetto divenne realtà”. Dopo l’incontro con gli studenti della Luiss e i giovani startupper italiani (“Ho riscontrato le stesse problematiche di quelli in Francia, non so se interpretarlo come un bene”), Macron incontra prima il ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi e poi l’omologo Piercarlo Padoan, “con i quali ho stabilito una serie di progetti, non tantissimi ma concreti, da presentare alla Bei entro un mese, e che vedranno la collaborazione delle Cdp italiana e francese”.
Nel rendicontare la giornata ai giornalisti, Macron torna dunque sui temi più caldi: crescita e Grecia. “Il piano Juncker – spiega il ministro transalpino – mette in campo 315 miliardi di euro ma a lungo termine, con un finanziamento di tipo bancario. Le riforme dei singoli Paesi, per quanto buone, avranno effetti non prima di 3-5 anni: ma l’Europa ha bisogno di una sterzata subito. Come? C’è chi, come la Francia, deve fare sacrifici e li sta facendo e chi, come la Germania, chiuderà il 2015 in surplus. Potrebbe quindi spettare alla Germania investire denaro, attraverso una governance comune e trasparente. In passato fu proposta la formula degli eurobond, ma naufragarono perchè non piacevano a Berlino ma neanche ad altri Paesi: avrebbero sanato gli errori del passato degli Stati meno virtuosi. Io dico questo: non facciamo tabula rasa dei debiti sovrani, ma mentre diamo il tempo ai Paesi di recuperare, andiamo avanti con i finanziamenti. Chiamiamoli eurobond del futuro, mentre per il passato è giusto che chi deve pagare paghi”.
Sulla Grecia Macron è ottimista ma ricorda a Tsipras che “se gli impegni presi con il popolo greco sono più che legittimi, altrettanto vincolanti sono quelli presi con l’Unione europea. La soluzione, pertanto, può venire solo da Atene”. E sul possibile referendum per l’uscita dall’euro, che il premier greco sarebbe intenzionato a indire, la visione del consigliere economico di François Hollande, e ministro da settembre 2014 è questa: “Io resto dell’idea che se una cosa riguarda l’Europa, deve decidere il popolo europeo. Pertanto se si parla di uscita dall’euro, la decisione non riguarda solo i cittadini greci e il dibattito andrebbe semmai aperto a livello continentale”. Macron tuttavia allontana Grexit prendendo atto delle ultime mosse, tra cui quella su Varoufakis: “Negli ultimi giorni Tsipras mi sembra aver preso coscienza dell’urgenza”.
L’idea di Europa di Macron è comunque più che solidale, nonostante il passato da banchiere dei Rothschild lasciasse intendere una svolta liberal nella politica internazionale francese, e una maggiore vicinanza con Berlino. Talmente solidale da andare oltre il piano di investimenti comune e invocando “un’armonizzazione dei sistemi sociali, in particolare sulle politiche dei salari e delle indennità di disoccupazione, e anche delle politiche fiscali”. “Se crediamo a un’Europa unita, è questa l’unica strada. Se in Francia va in crisi in sistema occupazionale in una determinata regione, interviene la regione o lo Stato francese?”, argomenta Macron, che è stato anche l’artefice di una presa di posizione forte proprio dello Stato sulla vicenda Renault e che ieri ha incassato una vittoria. “Il via libera dell’Assemblea degli azionisti di Renault all’adozione della normativa sui diritti di voto doppi per gli azionisti più fedeli è una buona notizia, ma è soltanto l’applicazione di una legge in vigore”. Approvata nel marzo del 2014, la legge “Florange” modifica infatti il sistema di votazione che prevedeva il concetto ‘un’azione, un voto’, consentendo dunque agli azionisti in possesso da più di due anni di partecipazioni di ottenere due voti per ogni azione detenuta. “La decisione è coerente con gli accordi tra Nissan e Renault e rappresenta un elemento di ulteriore stabilità”, ha detto Macron che ha anche spiegato che lo Stato francese, che ha aumentato di proposito la sua quota nel capitale della casa automobilistica dal 15% fino al 19,7%, tornerà al 15%. “La quota ulteriore acquistata dallo Stato – conferma il ministro – sarà rivenduta. Non è vero che ci siamo esposti economicamente con questa operazione, si è trattata di una pratica normale di mercato e che è stata trasparente. Non scenderemo sotto il 15%. Vogliamo mantenere la stessa quota di prima e farci riconoscere il diritto di voto doppi”.
Il ministro transalpino è anche intervenuto sul delicato tema dell’evasione fiscale, in particolare quella dei cosiddetti “Over the Top”, ovvero i grandi gruppi della Silicon Valley (Google su tutti), la cui posizione fiscale nel Vecchio continente non è sempre limpida. “E’ necessaria una risposta coordinata a livello europeo: proprio nell’ottica di una armonizzazione fiscale, è bene che questi gruppi che fanno enormi profitti anche in Europa paghino le tasse in maniera certa, senza trovare l’appoggio di situazioni vantaggiose come accade ad esempio in Irlanda o nei Paesi Bassi. E’ soprattutto fondamentale la localizzazione dell’attività reale di questi colossi digitali, e definire la loro natura giuridica”.