Tra le elezioni europee degli ultimi due anni, quelle francesi sono state le uniche a portare a una rapida formazione del governo. Paesi Bassi, Germania, Spagna e, ovviamente, Italia si sono scontrate, o si stanno scontrando, con la difficoltà di formare l’esecutivo in un contesto politico sempre più frammentato e polarizzato.
La diversità francese non dipende dal raggiungimento di un più ampio consenso politico, ma da un sistema elettorale a forte vocazione maggioritaria, con un ballottaggio che ha visto Emmanuel Macron battere Marine Le Pen, la leader del Fronte Nazionale che voleva l’uscita della Francia dall’euro, dall’Unione europea e dalla NATO. Ma la popolarità del Presidente dalle elezioni in poi è stata altalenante e, probabilmente, inferiore in patria rispetto all’immagine positiva percepita all’estero.
Il rientro dal weekend pasquale ha rappresentato un momento delicato da questo punto di vista. Lunedì sera, i dipendenti della SNCF (la società ferroviaria francese) hanno indetto scioperi per i prossimi tre mesi (due giorni di stop ogni cinque). I quattro principali sindacati francesi protestano contro i piani di razionalizzazione dell’azienda, che è fortemente indebitata e che, dal 2020, dovrà confrontarsi con l’apertura della rete ferroviaria ad altri operatori.
Gli scioperi potrebbero estendersi ben al di là del settore ferroviario, a partire dal settore energetico, dove si iniziano a delineare proposte di liberalizzazione del mercato dell’elettricità. Anche il campo dello smaltimento dei rifiuti potrebbe essere terreno di protesta, mentre i dipendenti di Air France hanno già avviato una serie di scioperi per ottenere un aumento del 6% degli stipendi.
Seppur la Francia possa vantare un debito pubblico inferiore rispetto all’Italia (di qualche punto al di sotto del 100% del PIL), il sentiero è stretto anche per Macron, che dovrà avviare una serie di riforme sostanziali per rimodernare l’economia francese. Tra i Paesi facenti parte del G7, la Francia registra, infatti, il maggior peso dello Stato nell’economia (la spesa pubblica rappresenta circa il 55% del PIL francese) e l’influenza di alcuni colossi a controllo statale risulta, talvolta, eccessiva.
Per raggiungere il suo obiettivo di riduzione del carico fiscale mantenendo il deficit al di sotto del 3% del PIL raccomandato dalla Unione europea, il governo francese dovrà forzatamente ridurre la spesa pubblica. Si tratta di un obiettivo ambizioso e difficile da raggiungere, perché determinerà un ulteriore calo di popolarità per il Presidente – già al livello più basso dalla sua elezione lo scorso maggio – e per l’intero esecutivo.
La stagione degli scioperi arriva, comunque, in un momento particolarmente positivo per l’economia. Dieci giorni fa, l’ufficio nazionale di statistica INSEE ha riferito che nel 2017 il deficit si è ridotto al 2,6% del PIL, al di sotto delle previsioni del 2,9% del governo. È la prima volta da quasi un decennio che la Francia raggiunge un livello inferiore al 3% come raccomandato dalla UE.
Il PIL francese, nel frattempo, è cresciuto di circa il 2% l’anno scorso e ci aspettiamo un’ulteriore espansione nel 2018, a patto che Macron riesca a riformare l’economia e che gli scioperi non producano un impatto sostanziale sull’attività economica. In attesa di progressi sul fronte delle riforme, manteniamo una posizione neutrale sul mercato azionario francese.
°°° L’autore è il Chief Investment Officer di UBS AM