“La vera posta in gioco non è il numero dei parlamentari, ma la difesa del Parlamento, del suo ruolo, del suo significato, della sua funzione in una democrazia. Di fronte a una iniziativa antiparlamentare. Questo è il punto”. Emanuele Macaluso, campione delle lotte politiche più antiche (per la sopravvivenza dei braccianti nelle campagne siciliane negli anni Cinquanta) e di quelle più moderne (a favore della riforma costituzionale del 2016, passata alla cronaca come quella di Renzi), ha annunciato un “convinto” No al referendum di domenica prossima sul taglio del numero dei parlamentari.
Macaluso, perché voterà No al referendum?
“Perché ritengo che questa iniziativa del M5 Stelle sia un attacco al ruolo del Parlamento. Non dimentichiamo che tutto è partito dalla rappresentazione teatrale del taglio delle poltrone davanti alla Camera dei deputati. Ricordate? Un grande telone e poi con le forbici venivano tagliati i seggi. Come se si trattasse solo di poltrone e non di parlamentari eletti dal popolo. Io ritengo che questo inizio di questa campagna sia antiparlamentare e quindi si trascina dietro qualcosa di antidemocratico ed è per questo che io convintamente voto no. Perché non si tratta solo del taglio dei parlamentari, è un tentativo di delegittimare il Parlamento. E quindi voto No, fortemente. E spero che il No superi nettamente nelle urne questa posizione che io considero pericolosa oltre che balorda”.
E’ così grave tagliare pochi parlamentari? Perché ciò dovrebbe rovinare il Parlamento?
“Per quello che ho detto prima. L’atto iniziale non va sottovalutato. Considerare come hanno fatto i grillini il Parlamento come un luogo solo di poltrone è un atto antidemocratico, nettamente. Non si tratta di definire quanto grande debba essere il numero dei parlamentari, questo può essere discusso in una riforma costituzionale. Ma se l’atto di nascita di questa campagna è quello che abbiamo detto, allora io dico attenzione, perché sappiamo bene che il Movimento 5 stelle non è per una democrazia parlamentare, ma per una democrazia diretta, hanno una vocazione antiparlamentare che non si può sottovalutare. Insomma la vera posta in gioco non è il numero dei parlamentari, ma la difesa del Parlamento, del suo ruolo, del suo significato, della sua funzione in una democrazia. Di fronte a una iniziativa antiparlamentare. Questo è il punto”.
Ma questa riforma è stata votata dalla stragrande maggioranza dei partiti in Parlamento. E il Pd ha confermato questo voto dando indicazioni per il Si. Che è successo?
“Parlo del Pd. C’è uno sbandamento in questo partito. La posizione del segretario di non staccarsi mai dal Movimento 5 stelle, è sbagliata, molto sbagliata. Non si può accompagnare sempre questo rapporto che Zingaretti ritiene strategico. Bisogna apprezzare le posizioni giuste e respingere quelle sbagliate in una alleanza, in questo sta l’autonomia di una forza politica. Altrimenti quella forza politica non ha più autonomia ed è condizionata dall’alleato temporaneo”.
Cosa succederà dopo il voto? Il governo è a rischio?
“Io credo che non succeda nulla. Perché il governo non si è pronunciato. Il presidente del Consiglio giustamente non ha preso posizione: vinca il No o vinca il Si il governo resta quello che è. Se il governo si fosse impegnato, se avesse dichiarato che era per il Si o per il No, allora io avrei capito che sarebbe stato messo in discussione; ma il presidente del Consiglio non si è pronunciato, si è tirato fuori da questa competizione. E ha fatto bene. Perché una cosa è la Carta fondamentale che riguarda le regole che valgono per tutti; e un’altra sono i governi. La Costituzione resta, i governi passano”.
Non è accaduto insomma come l’ultima volta quando abbiamo votato per il referendum di Renzi?
“Esatto. In quel caso Renzi si identificò con il referendum, arrivando a dire che avrebbe abbandonato la politica, cosa che poi non ha fatto come sappiamo. Non è così in questo caso”.
Ma alla luce di quello che è avvenuto dopo, non era meglio che il referendum di Renzi avesse vinto?
“Premetto che votai Si alla riforma presentata da Renzi. In quel referendum c’erano delle cose giuste e delle cose sbagliate, non erano tutte giuste o tutte sbagliate. Per esempio quella riforma metteva fine al bicameralismo perfetto, differenziando il ruolo della Camera e del Senato. L’errore fu che invece di discutere, di verificare con altre forze politiche come cambiare insieme la Costituzione e in che maniera, Renzi si identificò con la sua creatura, il che trasformò la competizione in un referendum sulla sua persona, a favore o contro di lui. E sappiamo come è andata a finire. Ma questa di cui stiamo parlando oggi non è una Riforma: è l’apoteosi dell’antipolitica. E’ già in atto da tempo una deriva antiparlamentare, il Si ne sancisce una vittoria concreta sul terreno non solo della politica, ma delle istituzioni. Sarebbe stato dovere della Sinistra e delle forze democratiche contrastare questa deriva, non assecondarla. E non è accaduto”.
Vuol dire che anche la Sinistra ha abbracciato l’antipolitica?
“Io penso che c’è stato in questi anni nel Paese un arretramento culturale molto vasto che diffonde i suoi effetti anche su questa questione. Una volta c’era una cultura di massa con grandi partiti che coinvolgevano e guidavano le masse, oggi c’è una cultura solo di élite. Il populismo in fondo è la cultura di questa élite che crede di interpretare le pulsioni più negative del popolo, rifiutando la mediazione politica, i corpi intermedi, la rappresentanza. La sinistra per come la concepisco io non ha niente a che vedere con questa roba, dovrebbe avere un approccio alternativo e contrastare nella battaglia politica questo stato di cose”.
Questo voto potrebbe avere conseguenze sulla linea politica del Pd?
“Secondo me si. E sia se vince il Si, sia se vince il No. Io penso intanto che uscirà indebolito da questa situazione. Ha detto tre volte No a questa riforma grillina e l’ultima volta ha detto Si solo in nome del governo. Questo vuol dire che ha scelto una posizione che non parte dalle esigenze generali, ma dalla collocazione politica del momento. E questo è grave. Ed è un limite dell’attuale gruppo dirigente che purtroppo non riesce a esprimere una linea politica che contrasti la Destra”.
Il patto Pd-5 Stelle per andare uniti alle Regionali è fallito: come andrà a finire? E questo, se non il Referendum, può mettere in crisi il governo?
“Secondo me il governo reggerà perché non c’è alternativa. E comunque bisognerà aspettare ottobre per vedere se si va avanti o si va alle urne. Perché non saranno né le Regionali né il Referendum a mettere in crisi Conte, ma semmai quello che il governo è in grado di fare o non è in grado di fare. Non c’è dubbio però che nel Paese c’è stata in questo periodo una ventata di destra, e questo è sotto gli occhi di tutti. E non c’è a mio avviso una reazione forte da parte della Sinistra e soprattutto da parte del Pd, visto che è l’unico partito importante in questa area perché il resto è fatto da piccole entità. Che fare? L’unica è accettare il combattimento. E la politica è combattimento. Non dichiarazioni, chiacchiere. E’ combattimento”.
Che manca al Pd in questo momento?
“Manca proprio la capacità di combattere. Se non lo fai ti privi della possibilità di esprimere la tua posizione. Torniamo alla linea politica di questo momento: il Pd dovrebbe porre il problema. L’alleanza con voi 5 Stelle è strategica? Bene, vediamo le conseguenze. Non ci sono posiziono comuni? Ok, vediamo cosa fare. Invece ognuno va per la propria strada, ognuno con le sue ragioni. Non è un bello spettacolo”.
Qualcuno sostiene che il Pd è appiattito sui 5 Stelle…
“Non direi appiattito, ma condizionato. Non ho dubbi. Non vogliono aprire un conflitto ma devono farlo un giorno o l’altro”.
Su cosa devono aprire il conflitto?
“A cominciare dal ruolo del Parlamento. Cosa significa per il Pd? E’ ancora la forza che ha contribuito a farlo nascere, a salvarlo e a rafforzarlo? Ripeto: in questo Referendum non stiamo parlando di un taglio e basta, questo poteva anche essere discusso. E’ che il M5 Stelle è una forza antiparlamentare. E per questo va combattuto. Perché il Pd non lo fa? Fra l’altro varrebbe la pena di chiedere e chiedersi che cosa sia la democrazia diretta in cui credono i grillini e come essa si eserciti. Io non l’ho capito”.