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M5S si spacca: Di Maio se ne va con 60 parlamentari e spiazza Conte. Che effetti ci saranno su Draghi e il Pd?

Imagoeconomica

Alla fine i Cinque Stelle si sono spaccati. Luigi Di Maio, che da quando è diventato ministro degli Esteri, ha ribaltato i suoi orientamenti iniziali e scoperto la vocazione atlantista e europeista e di pieno appoggio al Governo Draghi e al suo premier, ha rotto gli indugi abbandonando la casa che aveva contribuito a fondare – quella dei Cinque Stelle – e ha dato vita a un nuovo movimento che si chiamerà “Insieme per il futuro”. Hanno aderito 60 parlamentari che daranno vita a gruppi autonomi tanto alla Camera che al Senato. Di conseguenza i Cinque Stelle non sono più il primo gruppo né a Montecitorio né a Palazzo Madama: il primo gruppo diventa la Lega. “Polvere di 5Stelle” titola significativamente “la Repubblica” di stamattina

Di Maio: basta ambiguità sulla Russia, siamo euro-atlantici con Draghi. Basta odio

“Di fronte alle atrocità di Putin dovevamo scegliere: non possiamo permetterci ambiguità nel decidere se stare dalla parte di chi difende la democrazia – come l’Ucraina che ha difeso l’Europa con coraggio e sacrificio – o dalla parte di chi ci sta ricattando col gas come la Russia”: così ha detto Di Maio nella conferenza stampa in cui ha annunciato l’uscita dai Cinque Stelle. Basta ambiguità e basta odio.

Difendere i valori europeisti e atlantisti non può essere un colpa – ha aggiunto il ministro degli Esteri rivolgendosi ai grillini – e pensare di picconare la stabilità del Governo in un momento delicato come questo è da irresponsabili: la guerra non è uno show mediatico”. Di fronte all’endorsement della Russia alle posizioni dei Cinque Stelle – ha rincarato la dose Di Maio – ci doveva essere “indignazione e non indifferenza”. Di Maio ha confessato che l’uscita da M5S “è una scelta sofferta” ma che, soprattutto in circostanze drammatiche, “ci vuole il coraggio della verità”, senza rinunciare all’autocritica, perché “uno non vale l’altro”.

Scissione M5S: che farà adesso Conte?

Apparentemente i grillini festeggiano l’uscita di Di Maio (“Ci siamo liberati della zavorra”) ma in realtà la scissione è il segno del loro fallimento: non solo perché perdono il primato tra i gruppi parlamentari a vantaggio della Lega ma perché il loro futuro politico ed elettorale si fa molto incerto e potrebbe diventare irrilevante. Per ora Conte continua a sostenere il Governo Conte ma è evidente che per differenziarsi da Di Maio dovrà accentuare i distinguo da Draghi e tentare di salvare il salvabile sul piano elettorale guardando all’ala più populista del Movimento. C’è chi dice che potrebbe pensare a un avvicinamento a Leu, ma solo il tempo chiarirà l’orizzonte politico.

Quanto al Governo, l’appoggio temporaneo di Conte non è una polizza assicurativa per Draghi, perché le posizioni dei Cinque Stelle, senza il contrappeso di Di Maio, diventano più ondivaghe e sono in molti a ritenere che la prova della verità arriverà in autunno sulla manovra di bilancio, quando Conte potrebbe alzare il tiro ascoltando le sirene più populiste e demagogiche.

Per ora l’ex premier resta in bilico: sul piano elettorale il suo spazio è a sinistra ma pensare che il suo profilo, finora istituzionale, possa funzionare anche alla guida di una forza di estrema sinistra, sia sul piano della politica economica e sociale che su quello della politica estera, è tutto da dimostrare. Il rischio di irrilevanza diventa molto forte. Di sicuro, se l’inclinazione dei grillini si farà sempre più massimalista, l’alleanza con il Pd diventerà impossibile.

La scissione di Di Maio, pur condivisa nei contenuti, spiazza il Pd e mina il campo largo

Oltre al Governo, il più preoccupato dei possibili effetti della scissione dei Cinque Stelle è sicuramente il Pd e il suo segretario Enrico Letta, che oggi parlerà alla Camera e forse chiarirà il suo punto di vista sulla nuova situazione politica. Il Pd non è preoccupato solo per i possibili contraccolpi sul Governo se Conte accentuerà la deriva populista e sovranista, ma è preoccupato della propria strategia elettorale.

Finora il Pd e Letta hanno puntato sul cosiddetto “campo largo” cioè su un’alleanza imperniata principalmente sui Cinque Stelle per sperare di vincere le prossime elezioni politiche contro il centrodestra. Una strategia che aveva già alimentato dissensi sempre più diffusi in casa Pd circa l’affidabilità di Conte e dei Cinque Stelle, che diventerebbero sempre maggiori se i grillini si spostassero sempre più a sinistra mettendo in discussione non solo il governo Draghi ma le scelte fondamentali di politica estera e di politica economica e sociale.

Ecco perché guadagna terreno il tentativo del Pd di riformare la legge elettorale in senso proporzionale, ma il tempo a disposizione è poco e convincere la Lega, che non vuole rompere la coalizione di centrodestra lucrando sulla rendita di posizione malgrado i dissensi con la Meloni, appare un’impresa proibitiva.

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Categories: Politica

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  • il mio commento e che se andassero a lavorare come, sono andato io a 13 anni sarebbero piu seri, si sono seduti su una poltrona con la colla e la portano attaccata al fondo schiena...... anche se vanno a spasso andate a lavorare
    fannulloni