Con soli 30 mila e 936 voti su 37 mila e 442 votanti, Luigi Di Maio è stato, come da copione, incoronato candidato premier e nuovo leader del Movimento 5 Stelle alla kermesse di Rimini alla fine della farsesca consultazione online che l’ha opposto a sette nanetti, cioè a sette improbabili rivali inventati all’ultimo momento che hanno raccolto una manciata di voti.
Una differenza abissale – hanno notato molti osservatori – rispetto alle primarie del Pd, dove Matteo Renzi era stato rieletto segretario con quasi 2 milioni di voti e dopo una serrata battaglia interna con il ministro Orlando e il Governatore della Puglia Emiliano. Ma le forse politiche non sono tutte eguali e anche le regole di democrazia interna variano.
Per effetto delle nuove e contestate norme interne, Di Maio oltre che candidato premier diventa automaticamente anche il capo politico del Movimento dopo che Beppe Grillo (“Ma non me ne vado, ho M5S nel Dna”) ha formalmente fatto un passo indietro. Ma il capo degli ortodossi, Roberto Fico, non lo accetta e dice a brutto muso a Di Maio: “Sei il candidato premier ma non il capo di M5S”.