Giuseppe Conte ha vinto di nuovo il referendum tra gli iscritti contro Beppe Grillo ma alzi la mano chi sa definire con certezza la fisionomia politica dell’ex avvocato del popolo. Il primo a dubitare che Conte sia di sinistra è stato qualche settimana fa Romano Prodi, poi lo stesso Conte – strizzando l’occhio a Chiara Appendino e a Marco Travaglio – ha dribblato l’ostacolo definendosi “progressista indipendente”, un modo per tenersi le mani libere iscritto in Europa a “The Left”, pur essendo. Ma progressista su che basi? In politica estera, per esempio, Conte continuerà la sua battaglia contro l’Europa e contro il sostegno all’Ucraina? E tornerà a lanciare segnali di vicinanza a Trump? E sulla politica economica archivierà una volta per tutte Superbonus e Reddito di cittadinanza o rispolvererà le sue costosissime idee assistenziali? Un bel rebus, soprattutto per il Pd che seguita a scommettere su Conte che, tanto per cominciare, gli ha già fatto perdere le regionali in Liguria e Basilicata e che vorrebbe decidere contenuti e alleati con un pacchetto di voti sempre più piccolo. Forse non ha del tutto torno “Il Foglio” che qualche giorno fa ha definito Conte un nuovo doroteo: destra o sinistra poco contano per lui, quel che importa è il potere. Maestro di opportunismo e, appunto di doroteismo che non promette nulla di buono per il Paese. Giù dalla torre.