Che la crisi ci sia, è incontestabile. Che sia proprio il lusso, in Italia, in Europa e nel mondo, a sopravviverle più ancora di altri settori più “popolari” dell’economia, può apparire come un controsenso, ma è altrettanto inconfutabile.
Almeno stando ai dati presentati oggi a Bruxelles dall’ECCIA, l’Alleanza europea per industrie culturali e creative (composta dalle cinque maggiori associazioni europee attive nel settore luxury), che ha commissionato una ricerca allo studio Frontier Economics sullo stato di salute dell’industria del lusso nel Vecchio Continente. Ne emerge un quadro alquanto brillante, che testimonia cinque fattori principali di successo. Innanzitutto, un modello di business unico, basato sulla creatività e sull’artigianato del “made in Europe”. Come ha dichiarato lo stesso Antonio Tajani, vicepresidente della Commissione Ue e responsabile per Industria e Imprese, “la relazione conferma che la cultura e la creatività espresse nel settore del lusso sono un fiore all’occhiello dell’industria europea”.
Poi, l’apporto fondamentale per il Pil europeo, cui il lusso contribuisce al 3% con i suoi 440 milioni di fatturato, rivelandosi anche una fonte imprescindibile di occupazione con 1 milione di lavoratori coinvolti direttamente e altri 500 mila impiegati indirettamente.
Il comparto secondo Frontier Economics si è inoltre rivelato campione del commercio europeo: i marchi di lusso europei rappresentano infatti oltre il 70% dei beni di lusso in tutto il mondo, esportando il 60% della loro produzione, che rappresenta oltre il 10% di tutte le esportazioni dall’Europa.
Infine, secondo la ricerca presentata dall’Ue, l’industria luxury è uno dei principali driver di crescita continentali: negli ultimi due anni ha registrato una crescita a doppia cifra e, “se sarà sorretto dalle opportune politiche comunitarie”, si candida a confermare un incremento tra il 7 e il 9% nei prossimi anni.