L’Unione europea (UE) è una associazione di stati che partecipa alla comunità internazionale e alle sue organizzazioni, ma non è entità statale. La sua speciale caratteristica è di non essere aggressiva e di non avere mire di espansione territoriale. Ricorderete l’espressione coniata da Tommaso Padoa-Schioppa, che parlava dell’Europa come di una “forza gentile”.
L’Unione europea non ha un esercito e la sua capacità militare è legata alla disponibilità dei paesi membri a mettere in comune le proprie forze per fronteggiare eventi che ne minaccino l’integrità – qualcosa finora mai verificato.
La proiezione internazionale dell’Unione è illuminata dai valori dell’economia sociale di mercato e dall’adesione agli obiettivi della trasformazione ambientale. Su questo fronte si gioca la partita cruciale dello sviluppo delle tecnologie “verdi” che guideranno l’evoluzione dell’economia globale nei decenni a venire. Sulla continuità di questo impegno nella legislatura che si sta aprendo qualche ombra pesante è proiettata dalle resistenze crescenti del suo sistema industriale, alle quali i governi di destra eletti in vari apesi sono più sensibili.
La chiave della competitività europea è il Mercato Unico, che garantisce la libera circolazione delle persone, dei capitali e delle imprese. Su questo fronte la nuova Commissione annuncia uno sforzo rinnovato per completare il mercato unico in settori chiave dove siamo rimasti indietro: servizi, energia, difesa, finanza, comunicazioni elettroniche e in generale in tutti i comparti le tecnologie digitali. Ciò dovrebbe portare a un deciso aumento delle dimensioni d’impresa, mediamente ancora insufficienti per le nuove sfide tecnologiche.
La politica della concorrenza deve trovare un equilibrio con il rafforzamento dell’industria
Una questione chiave in questo contesto è quella della politica di concorrenza, che richiede un approccio più aperto alle esigenze di crescita e di consolidamento industriale e tecnologico.
Non si tratta di rinunciare a contrastare comportamenti anticoncorrenziali che si traducano in aumenti ingiustificati dei prezzi o peggioramenti della qualità dei prodotti e dei servizi. Ma allo stesso tempo è necessario migliorare il funzionamento dei mercati e le condizioni per fare business per le imprese. Le aggregazioni d’impresa devono essere incoraggiate, prendendo a riferimento la dimensione europea e mondiale dei mercati. Nel complesso, l’equilibrio tra le esigenze della concorrenza e quelle del rafforzamento dell’industria sembra destinato a mutare a favore di quest’ultima.
Le sempre ripetute e poco attuate promesse di semplificazione devono trovare contenuto concreto: meno vincoli burocratici e di reporting, più fiducia agli operatori economici, autorizzazioni più veloci. La presidente von Der Leyen ha annunciato l’intenzione di proporre un nuovo quadro legale europeo per sostenere e incoraggiare l’innovazione e la crescita delle imprese, immediatamente applicabile invece dei 28 regimi legali nazionali.
Condizioni più facili per l’attività d’impresa dovranno anche essere riconciliate con ambiziosi obbiettivi ambientali, che pur consentano di ridurre il costo dell’energia per imprese e famiglie. Von Der Leyen ha annunciato che proporrà un obbiettivo di riduzione dele emissioni del 90% entro il 2040, sostenuto da una nuova legge ambientale europea (European Climate Law) e un Atto europeo per l’accelerazione della de-carbonizzazione industriale.
Sappiamo che questi obiettivi pongono sfide severe di aggiustamento industriale – in particolare per il settore automotive, che si trova ad affrontare una transizione epocale dai motori a scoppio ai motori elettrici. I costi, anche occupazionali, sono potenzialmente molto elevati.
La capacità di gestirli aprendo nuove opportunità di crescita sarà uno dei test più impegnativi per le nostre politiche industriali. Non meno complicato sarà mantenere il consenso attorno alle nostre politiche ambientali in un contesto di rapida trasformazione industriale.
Un aspetto centrale da questo punto di vista sarà quello di assicurare la libera circolazione delle persone, delle imprese e degli investitori attraverso i nostri confini, assicurandone allo stesso tempo la sicurezza.
In prospettiva, questo richiede lo sviluppo di un sistema di gestione dei flussi transfrontalieri pienamente digitale, capace di conciliare le esigenze di mobilità delle persone e delle imprese con adeguate condizioni di sicurezza contro le minacce esterne. A tal fine, Frontex, l’agenzia europea per la gestione dei confini, deve poter disporre di maggiori risorse e anche maggiori poteri, pur nel rispetto dei diritti fondamentali.
Negli ultimi due anni la UE ha dovuto affrontare sfide senza precedenti nelle relazioni internazionali per le due guerre che sono scoppiate su suoi confini.
Il quadro di riferimento per l’azione comune è costituito dalla cosiddetta Bussola Strategica (Strategic Compass), adottata nel 2022 per dare all’Unione un piano d’azione per rafforzare la politica di sicurezza e di difesa dell’UE entro il 2030 – proprio nel momento in cui scoppiava la crisi energetica e la Russia invadeva l’Ucraina.
La politica estera Ue: dalla guerra in Ucraina al conflitto in Medio Oriente
Negli stessi mesi esplodeva anche un nuovo conflitto nella Striscia di Gaza, inizialmente tra Israele e Hamas, ma che in seguito ha teso ad espandersi al Libano e poi direttamente all’Iran (che è l’ispiratore dei gruppi antisraeliani in tutto il Medio Oriente).
L’aggressione di Putin all’Ucraina non ha per ora raggiunto i suoi obiettivi di conquista territoriale – ma lo squilibrio di risorse, soprattutto umane, tra i paesi belligeranti appesantisce le prospettive – e non è chiaro come l’Europa (insieme all’Alleanza atlantica) potrà reagire alla possibile sconfitta militare dell’Ucraina.
La guerra in Ucraina ha anche fatto esplodere una seria crisi energetica in Europa, spingendo il prezzo del gas oltre i 300 euro per MWh e minacciando un blackout delle forniture energetiche. l’Europa ha saputo rispondere riducendo le sue importazioni di gas russo da oltre il 50% del totale fino quasi a zero e frenando significativamente i suoi consumi di energia elettrica. Ha anche introdotto un meccanismo di adeguamento del prezzo del carbone per i beni importati per assicurarne l’uguaglianza con i prezzi dei prodotti simili all’interno dell’Unione.
Il conflitto tra Israele e il popolo palestinese ha natura diversa ma è anch’esso centrato su una questione territoriale. Due popoli combattono (da quasi cent’anni) per la stessa terra, per la quale entrambi hanno titoli di legittimazione. Se non possono essere disposti a condividere quella terra, uno di essi dovrà andarsene o accettare uno status di cittadinanza di seconda classe. Per questo l’Unione europea continua a spingere per la soluzione di una condivisione negoziata.
Questa è appunto l’obiettivo della proposta dei due stati, di cui si discute fin dal 1947, che costituiva il cuore degli accordi di Oslo del 1992 e che ha rappresentato il cuore della strategia europea negli ultimi anni.
Tuttavia, questa soluzione non appare più percorribile. Non la vogliono i palestinesi di Hamas e non la vuole il governo israeliano, che ormai punta apertamente a un equilibrio di forza nel quale non vi è spazio per una entità statuale palestinese. Se questo possa costituire la base di una pace durevole appare quanto meno dubbio.
Dall’unanimità al voto a maggioranza
Le decisioni che ho descritto, e che alla fine abbiamo potuto deliberare, richiedevano l’unanimità del Consiglio europeo.
Il voto contrario di un paese membro avrebbe potuto impedire le decisioni. L’Unione sarebbe stata incapace di reagire a eventi tanto drammatici e assai rilevanti anche per la nostra sicurezza. La minaccia russa sulle nostre frontiere non diminuirà, anzi rischia di aggravarsi; anche le ripercussioni della guerra in Medio Oriente sulla nostra sicurezza e la pace non sembrano destinate a ridursi.
Le difficoltà decisionali sono destinate ad aggravarsi con l’ulteriore allargamento dell’Unione, di fatto già decisa, all’Ucraina, la Moldavia e i Balcani Occidentali. Questo nuovo allargamento si aggiunge a quelli deliberati dai primi anni 2000 essenzialmente per ragioni di sicurezza, che hanno forse raggiunto il loro scopo specifico, ma certo non hanno migliorato la coesione decisionale dell’Unione. Mi chiedo spesso se con quegli allargamenti non abbiamo già compromesso ogni possibilità di rafforzamento istituzionale dell’Unione.
Quel che è certo è che il passaggio dall’unanimità al voto a maggioranza nella politica estera e di sicurezza dell’Unione ha oramai una valenza esistenziale e deve essere risolto nella nuova legislatura – ma troverà ostacoli difficili da superare nell’allargamento della compagine dei paesi membri, dato che molti dei nuovi entranti si opporranno al rafforzamento della capacità di decidere dell’Unione.
Occidente vs resto del mondo
Allargando lo sguardo, la guerra in Ucraina ha riunito su obiettivi comuni gli alleati transatlantici, ma ha esposto differenti visioni nel resto del mondo – dove la questione più rilevante riguarda le relazioni tra la Cina e gli Stati Uniti – come si è ben discusso ieri.
Dietro quelle tensioni tra Cina e mondo occidentale vi sono diversi modelli di sicurezza economica, politica industriale e intervento dello stato nell’economia – e in ogni caso le considerazioni di sicurezza sono dominanti rispetto a quelle di integrazione economica. Il cambiamento climatico e i modi per affrontarlo costituiscono un ulteriore fattore determinante nel quadro emergente delle relazioni internazionali.
Non sappiamo se il mondo che sta emergendo sarà bipolare o multipolare – se, cioè, come già discusso ieri, vedremo due blocchi contrapposti chiusi nei rapporti reciproci, oppure un quadro più articolato nel quale molti paesi possono giocare un ruolo significativo, pur se non dominante.
Nel primo caso, potremmo assistere al sorgere di due blocchi contrapposti, caratterizzati da differenti sistemi di sicurezza, tecnologie IT, e anche sistemi finanziari e dei pagamenti. Nel secondo, che appare più probabile, molti altri giocatori, seppure di minori dimensioni, parteciperanno al gioco internazionale, allineandosi ora con l’uno, ora con l’altro maggior giocatore, perseguendo i propri interessi con relazioni di tipo transazionale.
In questo secondo scenario, la misura in cui il mondo sarà basato su regole condivise piuttosto che su equilibri di forza è più rilevante di quella se esso sarà bipolare o multipolare.
Da questo punto di vista l’UE è stabilmente schierata a favore di forti istituzioni multilaterali e regole uniformi applicate nei confronti di tutti gli stati, indipendentemente dalla loro dimensione e forza economica.
Ma dovremo confrontarci con un mondo nel quale aumenta la frammentazione e i rapporti tra i due maggiori paesi possono evolvere in direzione più conflittuale. Fino ad ora, possiamo trarre soddisfazione dal fatto che l’aggressione russa all’Ucraina ha portato a un rafforzamento della coesione tra i paesi occidentali, in particolare nelle relazioni transatlantiche.
Guardando avanti, vi è un punto interrogativo importante sui possibili effetti delle elezioni americane sulla relazione tra UE e Stati Uniti. Certamente, uno dei candidati non nasconde la sua predilezione per un rapporto bilaterale più stretto con Putin e la sua scarsa empatia verso l’Unione europea.
Né si delineano prospettive molto pacifiche sul fronte orientale dell’UE, dove la guerra pare destinata a continuare senza positivi interventi diplomatici e l’unità fin qui mantenuta tra i paesi membri potrebbe in prospettiva indebolirsi. Non è un segreto che alcuni paesi membri non condividono la visione della Russia di Putin come una minaccia strategica.
Anche riguardo al conflitto tra Israele e Palestina, la posizione dei paesi membri al fondo non è concorde, cosa che non favorisce la sua capacità di influenzare i contendenti.
L’Unione, come è ben noto, è un importante finanziatore dell’Autorità palestinese e mantiene strettissime relazioni con Israele. Tuttavia, fino a ora essa non ha giocato alcun ruolo per moderare il conflitto, né sembra avere la capacità politica e la credibilità per farlo.
Per Israele l’unica relazione internazionale significativa è quella con gli Stati Uniti, dai quali riceve le armi di cui ha bisogno per combattere. Il vuoto politico creato dalle imminenti elezioni presidenziali consente ad Israele di agire senza troppi riguardi alle indicazioni americane.
Unione europea della difesa
La debolezza dell’Europa sulla scena internazionale nasce anzitutto dalla debolezza della base industriale della sua difesa, sulla quale è necessario investire risorse ingenti. Come già ricordavo, la presidente Von Der Leyen punta a creare una vera Unione europea della difesa.
L’impegno si tradurrà inizialmente per la prima volta nella nomina di un Commissario per la difesa. La presidente si è anche impegnata a presentare un Libro Bianco sul futuro della difesa europea nei primi 100 giorni del nuovo mandato. Quanto i paesi membri siano pronti a condividere risorse e, soprattutto, a rafforzare i meccanismi di governo comune resta da vedere.
Gli ostacoli non mancano e le difficoltà di avanzare su questo terreno sono severe, per il permanere di forti spinte nazionaliste negli apparati di governo militare dei paesi membri. Se non riusciremo a superare questi nazionalismi, l’Europa continuerà a restare troppo debole per assicurare una difesa adeguata della sua capacità di operare efficacemente nel tormentato quadro delle relazioni internazionali.
*Intervento di Stefano Micossi a Lanciano per l’Associazione Marcello De Cecco sull’”Unione europea in un mondo instabile”.