È uscito da poco, da parte di alcune società di consulenza incaricate dalla Commissione Europea, uno studio tanto ponderoso (oltre 300 pagine) quanto interessante sul retail banking e in particolare sui servizi di pagamento, dal titolo, non certo accattivante, che recita Study on the impact of Directive 2007/64/ec on payment services in the internal market and on the application of regulation no. 924/2009 on cross-border payments in the community. In sintesi, annuncia l’ennesimo intervento legislativo dell’UE nel settore in discorso.
Il rapporto è fondamentale non solo per l’industria dei pagamenti, ma anche per l’attività bancaria, disegnando futuri scenari sulla base di una ricco patrimonio statistico. Allo stesso tempo il lavoro fa da preludio alla modifica della direttiva sui servizi di pagamento del 2007, cd. PSD, e all’introduzione di regole stringenti sulle commissioni interbancarie sulle operazioni tramite carte di debito o di credito, anche nel caso in cui l’utente non subisca direttamente alcun onere, in quanto a carico del merchant presso il quale si effettua la transazione. E, invero, sul sito della Commissione si trova un vero package di regole, studi d’impatto, rapporti atti a ridisegnare il mondo dei pagamenti in coerenza con l’altra importante cornice legislativa, già varata, per la SEPA e con quella, ad oggi ancora in fieri, dell’unione bancaria.
La relazione tra la SEPA e la PSD è molto stretta ed è chiarita nel quarto considerando del testo originario della direttiva, ove si legge “È pertanto essenziale istituire un quadro giuridico comunitario moderno e coerente per i servizi di pagamento, siano essi compatibili o meno con il sistema derivante dall’iniziativa del settore finanziario a favore della creazione di un’area di pagamento unica in euro, che risulti neutrale in modo da garantire parità di condizioni per tutti i sistemi di pagamento, mantenendo così la libertà di scelta dei consumatori, e che rappresenti un chiaro progresso in termini di costi per i consumatori, nonché di sicurezza e di efficacia rispetto ai sistemi attualmente esistenti a livello nazionale.” La SEPA si integra nella cornice normativa della PSD, la cui implementazione è fortemente condizionata dalle realizzazioni della SEPA medesima.
Nel 2014 si passerà, poi, praticamente in contemporanea, alla SEPA e all’Unione bancaria, eventi epocali, che, pur avendo motivazioni di fondo diverse, sono, anch’esse, nei fatti strettamente collegate, in quanto l’accentramento delle competenze in materia di politica bancaria stimolerà una forte integrazione economico-finanziaria, che passa anche per la realizzazione di un’area uniforme dei pagamenti in euro.
La crisi finanziaria ha inoltre dimostrato che, sebbene essenziale, il semplice coordinamento tra autorità nazionali di vigilanza, in particolare nel contesto della moneta unica, non è sufficiente e che è necessario addivenire a un processo decisionale comune, contenendo il rischio di frammentazione dei mercati bancari dell’UE.
La valorizzazione del rapporto tra retail banking e servizi di pagamento non in contante rappresenta quindi un contributo importante per abbassare i rischi e ridurre le fragilità e le divisioni prima evidenziate.
Provando a vedere più da vicino alcune tematiche trasversali di interesse di entrambi i progetti, si può scegliere la prospettiva della concorrenza nel mercato dei servizi di pagamento e della tutela del consumatore.
Sarà in definitiva l’utenza a decretare il successo dell’intera operazione SEPA con effetti rilevanti su tutto il retail banking: 500 milioni di cittadini europei che ogni anno usano 90 miliardi di mezzi di pagamento per regolare le transazioni quotidiane erogate principalmente dalle banche, anche se a livello normativo altri soggetti quali gli istituti di moneta elettronica e gli istituti di pagamento possono operare in concorrenza con le banche medesime.
Una caratteristica precipua del settore è l’ondata di norme che periodicamente si abbatte sui servizi di pagamento. Difficile fare un calcolo preciso, ma questa torrenziale produzione si avvicina ormai a quella riconducibile alla normativa di Basilea o a quella sui servizi finanziari, anche se obiettivamente il retail banking of payments, richiederebbe meno attenzione, essendo in genere privo di rischio sistemico. Dalle relazioni delle varie autorità si ricava infatti che i principali rischi dei servizi di pagamento al dettaglio sono di tipo legale per il rispetto della normativa di prevenzione del riciclaggio o per contenere le frodi. Ora in entrambi i casi, i presidi esistono e paiono anche efficaci, in quanto si ricollegano agli sforzi per giungere alla tracciabilità dei pagamenti nel mondo SEPA e per implementare standard sempre più sicuri nelle transazioni con carte.
Come si ricava dallo studio citato all’inizio, anche i vantaggi in termini di efficienza di questi interventi regolamentari non sono affatto marginali.
Per esempio, nel settore dei bonifici tra paesi diversi dell’unione europea, il costo di queste transazioni diminuisce di 10 volte rispetto a dieci/quindici anni fa, allineandosi ai bonifici domestici, e lo stesso accade, anche se in misura più contenuta, per i prelievi da ATM e le operazioni sui POS. Altro aspetto che interessava soprattutto il nostro paese erano i tempi eccessivamente lunghi per l’esecuzione delle operazioni di pagamento. Se leggiamo le Relazioni della Banca d’Italia dei primi anni Duemila possiamo raffrontare i tempi di allora con quelli di oggi, che ormai incorporano la regola del “one day” o D+1, in base alla quale l’importo di un bonifico è accreditato sul conto del beneficiario il giorno dopo la sua accettazione da parte della banca o di altro soggetto abilitato.
Eppure il quadro d’insieme che si ricava dai lavori in corso a Bruxelles e nelle altre capitali europee non è ancora soddisfacente, al punto che ci si propone di intervenire ancora, attraverso il rifacimento sostanziale della direttiva del 2007 e un regolamento per abbassare ex lege le commissioni sulle carte. Si deve notare che il contenuto essenziale di queste due proposte rappresenta un intervento della massima portata sulle modalità di tariffazione dei servizi all’utenza.
Riassumendo, la situazione oggi è questa: nonostante queste politiche, apparse talvolta financo intrusive, si ritiene che la concorrenza nel settore non sia ancora sufficientemente adeguata e che questo crei le condizioni per mantenere i cantieri normativi in perenne lavorazione.
A mo’ di paradosso, lo studio citato all’inizio fornisce alcuni esempi degli effetti di questa iper regolamentazione che si riconnettono a oscillanti, o almeno disarticolate, visioni del mondo, per cui appena si fa un passo avanti, se ne fa subito uno indietro, tornando spesso alla situazione di partenza. Due esempi riescono a spiegare meglio questa sorta di passo del gambero.
Il primo riguarda le modalità di formazione dei prezzi delle carte di pagamento e degli altri strumenti di pagamento. In sede di applicazione della direttiva 2007 riguardo al cd. fenomeno del surcharging, cioè del sovrapprezzo applicato all’utente finale sui pagamenti con carte, 14 stati che rappresentano la metà della popolazione europea lo hanno assolutamente vietato; la Danimarca lo consente per le carte di credito, ma non per quelle di debito, altri 12 paesi tollerano invece questa forma di overpricing. È davvero singolare una tale frammentazione, atteso comunque la diffusa convinzione che nel sovrapprezzo s’incorpori un extra profitto indebito (un esempio per tutti sono i 5 euro che si pagano per i biglietti aerei acquistati su Internet). Dovendo scegliere, la preferenza potrebbe andare per tutti alla soluzione danese, salomonica quanto si vuole, ma perlomeno chiara.
Il secondo riguarda i confini dell’industria dei servizi di pagamento che progressivamente sono stati allargati per consentire l’ingresso di nuovi intermediari. E, infatti, a fine settembre 2012 gli istituti di pagamento europei erano 2773, di cui 2.203 con volumi di affari inferiori alle soglie prestabilite. In punto di diritto, questi soggetti possono emettere qualsiasi strumento di pagamento ma, di fatto, il 40% dei più grandi e la totalità dei piccoli operano nel settore delle rimesse di denaro del mondo dei migranti. Ancora una volta si creano i presupposti giuridici, ma essi incidono poco sule’la concorrenzialità del settore globalmente intesa. Il mondo europeo è quasi spartito in due quasi monopoli: in quello delle rimesse dominano i money transfer operators, in quello dei bonifici, addebiti diretti, carte le banche, praticamente senza osmosi tra i due segmenti. Eppure non possono sfuggire le potenzialità concorrenziali di un Istituto di pagamento che, oltre alle carte, offra direttamente bonifici e addebiti diretti in formato SEPA a prezzi determinati in base alla logica industriale del costo di produzione ricaricato di un mark-up proporzionato a quei costi.
Perché la situazione resti ancora insoddisfacente e si accompagni a ridotti livelli di diffusione dell’innovazione tecnologica (al contrario di ciò che si riscontra in altre industrie di rete quali telecomunicazioni, internet, trasporti ferroviari) richiede di essere spiegato.
Il dubbio che vi sia un eccesso di regolamentazione e di autorità coinvolte con obiettivi diversi, spesso divergenti non sembra privo di fondamento: oltre alla Commissione, si occupano della questione, le autorità legislative nazionali, quelle antitrust, quelle di contrasto al riciclaggio, di tutela della privacy e la banche centrali, tanto nella loro funzione di sorveglianza sul sistema dei pagamenti quanto di vigilanza sugli intermediari autorizzati.
Per essere un settore di attività a basso rischio, l’azione pro concorrenza non si può certo dire che sia mancata, ma è anche vero che duplicazioni, visioni e interessi differenti e una miriade d’interventi di dettaglio sono risultati alla fine dispersivi e poco efficaci.
La proposta è dunque semplice: una sola autorità europea con diramazioni nazionali (presso le stesse banche centrali che pure possiedono un’expertise secolare nei pagamenti), con l’unico mandato della tutela del consumatore e della sburocratizzazione normativa e con un preciso cap istituzionale; nessuna situazione va cambiata, nessun strumento di pagamento può essere modificato, se non se ne dimostri il vantaggio in termini di prezzo per il consumatore e se questo non accade, si ripristini, senza esitare, la situazione ex ante. Questo sembrerebbe ancora il passo del gambero, ma, a differenza di quello che si è finora verificato, sarebbe pragmaticamente un passo del gambero virtuoso.
Try and see, direbbero i pratici. In attesa che a livello europeo si giunga auspicabilmente a questo approccio, conviene dare un’occhiata a ciò che succede fuori del nostro continente.
Così, per esempio, la più che decennale diatriba se proibire o meno le commissioni interbancarie sulle carte ha trovato in Australia una facile soluzione: si prova e se i prezzi finali aumentano, si torna pragmaticamente indietro.
Un altro caso di cui si ha notizia in questi giorni riguarda gli Stati Uniti, dove un giudice distrettuale ha ritenuto che un tetto massimo sulle cd “interchange fees” pagate dai consumatori sulle transazioni mediante carte di debito era stato fissato troppo in alto dalla FED e che pertanto doveva essere ridotto, prendendo una decisione che l’American Bankers Association ha stigmatizzato perché avrebbe avuto per le banche conseguenze disastrose (Financial Times, 31 luglio 2013). Al solo annuncio del possibile negativo impatto reddituale, le azioni di VISA e MasterCard, hanno infatti immediatamente subito pesanti contraccolpi al NYSE. Bisognerà trovare un compromesso.
Sarà quindi ancora il passo del gambero a guidare – questa volta saggiamente – i policy maker per innescare una spirale con effetti virtuosi, provando e riprovando in termini pratici le misure che la teoria economica e quella giuridica non sono ancora riuscite, in via generale, a stabilire per la soluzione di questioni tanto complesse, ovviamente con l’unico imperativo di scongiurare che, a causa di errori di valutazione e provvedimenti inadeguati, si dia paradossalmente luogo all’infausto ritorno al contante.