Fiat addio, Da lunedì pomeriggio, almeno tra i recinti virtuali dei mercati azionari, si parlerà solo di Fca, acronimo di Fiat Chrysler Automobiles. La precisazione è importante perché, caso unico nella storia del titolo, lunedì mattina a Piazza Affari il titolo non verrà trattato. Si comincerà solo alle 15 e 30, in perfetta sincronia con Wall Street destinata, secondo le intenzioni di Sergio Marchionne, a diventare presto la piazza principale del gruppo Torino-Detroit. Alle 15 e 35, ora di Milano, scatterà la negoziazione continua di Fca sulle due Borse. Alle 22 e trenta saranno John Elkann e Sergio Marchionne a decretare la fine della seduta americana suonando la rituale campanella.
Fin qui i rituali di una cerimonia che, vista l’aria che tira sui mercati azionari, rischia di non avere i connotati della festa: l’automotive, settore ciclico per eccellenza, è tra i primi candidati a pagare la frenata dell’economia. Ne sanno qualcosa i colossi tedeschi (-25% in agosto, sotto la pressione dell’embargo a Mosca) o quelli Usa, in sensibile frenata in Europa, o la stessa Toyota che ha appena subito in Nordamerica il sorpasso di Chrysler ritornata, dopo cinque anni di cura Marchionne, al suo ruolo storico di terzo grande dell’auto a stelle e strisce. Ma la sfida di “Gran Torino” (non a caso Clint Eastwood è stato un fortunato testimonial della nuova Chrysler) non è destinata a un giorno o un mese. L’obiettivo di Fiat-Chrylser, oggi il settimo produttore al mondo con 4,2 milioni di pezzi venduti, è di investire più di 60 miliardi di dollari in più di trenta nuovi modelli con l’obiettivo di vendere oltre 7 milioni di veicoli a fine 2018. Allora, a piano ultimato, Marchionne lascerà la guida del gruppo.
Lunedì comincia perciò una lunga marcia all’interno dell’economia globale dal cui successo dipende in misura non irrilevante il ruolo dell’Italia industriale, punto di riferimento per l’auto di lusso, nell’economia globale. Ma anche la fortuna finanziaria di chi, magari sfruttando la correzione al ribasso di queste giornate, vorrà seguire le orme di Fca. Ma ne varrà la pena ? Proviamo ad esaminare i pro ed i contro.
MARCHIONNE FA IL PIAZZISTA
Il ceo in pullover nero non perderà troppo tempo a festeggiare, comunque vada l’esordio. La sua agenda, infatti, è zeppa di appuntamenti con i gestori Usa. L’obiettivo? Piazzare una bella fetta, 7% circa del capitale, oggi parcheggiato nei conti del gruppo. Si tratta, per un totale di 60,002.027 azioni, dei titoli restituiti dagli azionisti che hanno scelto di esercitare il recesso dopo la fusione tra Fiat e Chrysler, al prezzo di 7,727 euro. Fca li ha ricomprati per 416 milioni di euro. A questo stock Marchionne ha deciso di aggiungere un altro pacchetto di 34, 6 milioni di azioni proprie già detenute dal Lingotto. In tutto fa poco più del 7% del capitale che verrà offerto ai grandi investitori sul mercato americano . L’intento è evidente: dotare Fca del flottante americano sufficiente ad alimentare un volume di scambi degno di Wall Street, che nei disegni del ceo del gruppo dovrà presto diventare la vera Borsa di riferimento del gruppo.
AUMENTO? NO GRAZIE. MA EXOR NON ESCLUDE NUOVI SOCI
Le conseguenze? Primo, ci vorranno alcune settimane perché la matricola Usa trovi il suo equilibrio borsistico, grazie ad una forte iniezione di investitori istituzionali, in linea di massima più stabili del resto del mercato.
Secondo, ancor più importante: la decisione di procedere al collocamento nella finanza Usa esclude, in via logica, l’ipotesi di un aumento di capitale: Marchionne sa benissimo che non si possono collocare azioni e chiedere subito dopo quattrini freschi ai neo azionisti. Wall Street non perdonerebbe un peccato del genere. Non è escluso, però, il lancio di un convertendo che potrebbe accelerare gli investimenti in Alfa Romeo, la partita più complessa ed impegnativa di Fca.
In realtà, l’azionista Exor ha un’altra carta da giocare. Grazie al nuovo statuto olandese, la finanziaria di casa Agnelli, pur avendo il 30% del capitale, dispone del 46% dei diritti di voto. Lo stesso John Elkann non ha escluso la possibilità di utilizzare una parte delle azioni per far spazio ad un nuovo socio, a condizione di non perdere il controllo assoluto del gruppo. Ma è un’opportunità che verrà giocata, probabilmente, per entrare alla grande su un nuovo mercato con un partner forte: l’ideale sarebbe Maruti, il leader del mercato indiano controllato da Suzuki, ma a rendere impossibile l’operazione finora è stato il veto di Volkswagen, azionista al 20% del gruppo giapponese con cui è in causa.
I CONTI? APPUNTAMENTO PER IL 29 OTTOBRE
L’amministratore di Fiat, in queste settimane, ha evitato di rispondere a domande sull’andamento del gruppo. Ogni commento è stato rinviato al 29 ottobre, quando verrà reso pubblico l’aggiornamento sulla guidance, ovvero sulle prospettive di qui a fine anno sulla base dei dati del terzo trimestre. Nell’attesa le opinioni si dividono. Alcuni pensano che Fiat dovrà rivedere al ribasso la guidance, a causa della frenata del Brasile.
In compenso, Fca può contare sul contributo degli Stati Uniti, dell’Asia-Pacifico, dei veicoli commerciali leggeri in Europa e del solido aumento dei volumi di Maserati. Gli analisti di Mediobanca Securities si aspettano per i primi nove mesi ricavi totali per 22,629 miliardi (+9,2% anno su anno), un utile operativo a 976 milioni (+19,5%) e un utile netto a 154 milioni (-15 milioni nello stesso trimestre 2013).
Ma il titolo è da comprare oppure no? Gli umori del mercato sono cauti nel breve termine: le Borse sono entrate in una fase di correzione, l’auto, settore ciclico per eccellenza, è destinato a scendere più di altri.
Ben diverso il discorso sull’orizzonte di medio termine, più adatto ad un investitore a caccia di un bene reale in grado di proteggere il capitale. Con quest’ottica, Paolo Basilico di Kairos e Gianni Tamburi di Tip, due tra i maggiori investitori italiani (figura ben diversa dal broker che compra e vende) hanno dichiarato di aver costituito solide posizioni su Fiat alla vigilia dello sbarco a Wall Street. I motivi?
A) La Fiat si libera dallo “sconto” implicito della Borsa italiana. A Wall Street i titoli dell’auto scontano parametri più favorevoli.
B) Il boom di Maserati e l’effetto Ferrari, controllata al 90% da Fca. La sola azienda di Maranello può contare su una valutazione attorno ai 5 miliardi contro i poco più di 8,5 della Fiat.
C) I record di Marchionne che si affaccia a Wall Street dopo aver salvato Fiat nel 2004 e Chrysler nel 2009. Chissà, se vale il proverbio non c’è due senza il tre…