La FIM-CISL in rappresentanza di oltre 210mila lavoratori metalmeccanici esprime la sua
solidarietà nei confronti di Lula e considera la sua carcerazione, una pagina vergognosa
della storia del Brasile.
La vicenda giudiziaria che ha coinvolto Lula è costellata da una lunga serie di abusi di
potere della magistratura nei suoi confronti, all’interno di una campagna orchestrata
mediaticamente da oligarchi, militari e forze politiche reazionarie affinché l’ex-presidente,
che aveva terminato il suo secondo mandato presidenziale nel 2010 con un indice di
gradimento superiore all’80 per cento e che Obama voleva all’ONU, non potesse
ricandidarsi alle elezioni del 2018.
Nonostante ciò, Lula ha visto crescere negli ultimi due anni le intenzioni di voto verso di
lui in tutti i sondaggi elettorali, che lo danno tuttora vincente contro qualsiasi avversario.
In un paese dove il livello di corruzione è sempre stato altissimo, Lula – sia prima, sia
dopo il suo mandato presidenziale dal 2003 al 2010 – ha superato un ossessivo setaccio
sulla vita privata sua e dei familiari senza che sia stato trovato un centesimo fuori posto,
un arricchimento sospetto. Nonostante ciò, Lula ha subito una condanna per “atos
indeterminados” (come si legge testualmente nella sentenza) e dal 7 aprile 2018 ha
iniziato a scontare una pena di 12 anni. In pratica l’ex-presidente è stato condannato
secondo elementi solo indiziari e presunti di corruzione.
A conferma che nel processo, nella condanna e nell’incarcerazione di Lula sia venuto
meno il rispetto dello stato democratico di diritto, delle sue leggi e della stessa
Costituzione brasiliana, lo dimostrano due fatti.
Il primo riguarda la sentenza di condanna del Giudice Moro che non identifica neppure gli
specifici atti corruttivi di cui Lula è accusato, in cambio dell’immobile (un appartamento di
tre piani nella località di Guarujà), mai pervenutogli in proprietà e nel quale non ha mai
soggiornato, né lui né alcun suo familiare. Lo dimostra il fatto che, prima che Lula fosse
stato condannato, un altro giudice ha pignorato l’immobile ancora di proprietà della
società costruttrice. Paradossalmente ciò che per Moro è stato il principale capo
d’imputazione contro Lula, per un altro giudice brasiliano continuava a essere di proprietà
del costruttore fino al pignoramento.
Il secondo fatto riguarda il giudizio sull’habeas corpus (importante strumento per la tutela
della libertà individuale contro l’azione arbitraria dello Stato), utilizzata nei sistemi giuridici
di common law, per evitare una detenzione senza concreti elementi di accusa e/o senza
che siano stati portati a termine tutti i ricorsi della difesa e i gradi di giudizio. Il Supremo
Tribunal Federal – STF per sei voti a cinque ha deciso che la presunzione d’innocenza
scolpita nell’art. 5, paragrafo 57 della Costituzione brasiliana (“ninguém será considerado
culpado até o trânsito em julgado de sentença penal condenatória”) non si applica a
Lula, costretto a scontare la pena dopo la sentenza di secondo grado. Decisivo è stato il
voto della presidente della Corte, Carmen Lucia che pochi mesi fa è stata altrettanto
decisiva per scarcerare Aécio Neves, senatore del PSDB, candidato presidenziale
sconfitto da Dilma, registrato in flagrante mentre chiedeva ingenti tangenti di denaro al
magnate della carne Joesley Batista.
Sono queste le ragioni, e non solo l’amicizia che ci lega a Lula, che ci portano come
a schierarci, insieme al movimento sindacale internazionale e brasiliano, contro
l’arresto arbitrario dell’ex-presidente, per il ripristino dello stato di diritto e la difesa della
democrazia in Brasile!
#JamaisAprisionarãoNossosSonhos