Un piccolo fazzoletto di spiaggia ghiaiosa, un mare dalle tonalità verde ramina, il colore dei piatti e delle ceramiche di Vietri che decorano le abitazioni della costiera, una baia incantata e sonnolenta di stregante bellezza dove il tempo non conosce ritmi e frenesie, ma scandisce ore lente e pacate, come il dolce sciabordio dell’acqua sui ciottoli della battigia, è in questa magica combinazione di elementi che Marina del Cantone, località della costiera amalfitana, esercita fin dai tempi dei romani una fascinosa attrazione nei suoi ammiratori. Lo stesso imperatore Tiberio Nerone che si era stabilito nella vicina Capri, rimase talmente incantato dalla sua bellezza al punto da farsi costruire una villa oltre quella isolana che avrebbe dato poi il nome a Nerano, il piccolo borgo che sovrasta la spiaggia. Una baia che, ancora a inizio secolo, era raggiungibile solo a piedi attraverso un impervio camminamento. E questo l’ha preservata dalle colate di cemento e mattoni che si sono abbattute su tutta la costiera al di qua e al di la del parco naturale di Punta Campanella.
Quest’angolo di Paradiso per anni è stato scoperto solo dai naviganti che vi si recavano, allora come oggi, per assaporare la prelibatezza di un piatto straordinario di semplicità e di sapori suadenti: gli spaghetti con le zucchine alla Nerano. Se ne discute da decenni su chi sia l’inventore e su come si cucinino, una leggenda metropolitana sornionamente alimentata dagli stessi abitanti del luogo che custodiscono gelosamente la ricetta, tradizione di famiglia, e non la rivelano a nessuno per nessun prezzo. E va detto, senza nessuna offesa per Nerano e le bellezze naturalistiche di Marina del Cantone, che se oggi questa baia è famosa nel mondo lo deve proprio agli Spaghetti con le Zucchine. Le cui origini si perdono nel tempo. C’è chi dice che le inventò un giorno una anziana ostessa, donna Maria Grazia, che possedeva dagli inizi del novecento una locanda sulla baia, apprezzata prima dai pescatori poi anche dai naviganti e infine, negli anni ruggenti della dolce vita, da un pubblico internazionale. E sembra che per gioco un giorno si sarebbe inventata il piatto che le diede notorietà universale, preparandolo con quello che aveva a portata di mano: zucchine dell’orto, basilico e formaggi locali.
Un piatto tanto semplice quanto di difficile esecuzione che è rimasta l’icona del ristorante che ancora porta il suo nome, oggi in mano ai pronipoti. Altra leggenda vuole che sia stata invece una invenzione del principe Pupetto Caravita di Sirignano, che si dichiarava discendente da San Gennaro per via di una macchiolina rossa che gli sarebbe comparsa sulla testa contemporaneamente al miracolo della liquefazione del sangue del santo, bon vivant, gran seduttore, gran protagonista della vita mondana a Capri, gran dilapidatore di notevoli fortune, che amava caricare in barca artisti, nobili, industriali e portarseli a Marina del Cantone a mangiare gli spaghetti con le zucchine. Certo è che gli spaghetti hanno dato una fama gastronomico-turistica a questo angolo di paradiso dove, nel tempo, sono nati una serie di ristoranti di altissimo livello come è difficile incontrarne altrove così concentrati.
È qui che oltre alla mitica Maria Grazia (per dovere di cronaca va detto che se si va su internet e si digita Spaghetti alla Maria Grazia escono fuori 1.450.000 risultati, se si digita viceversa Spaghetti alla Nerano ne escono fuori solo 176.000) gomito a gomito si possono trovare Il Cantuccio, un ristorante che da 40 anni a questa parte ha fatto della stagionalità e dell’attenzione verso le radici del territorio il suo vessillo di ristorazione eccellente. Poco più in là arroccato su una palafitta di legno e un grande masso, da 60 anni impera lo Scoglio, la creatura di «Ntunetta» (Antonietta) De Simone, recentemente scomparsa, meta preferita di Eduardo De Filippo che lasciò una ironica testimonianza per l’umile ma straordinaria “Ntunetta” amata da vip di mezzo mondo come Naomi Campbell che la chiamava “Mamma Antonietta”: «Antunè, si cucine cume vogl’jo/io te paco cume vuò tu./Ma si paco cume vuò tu e nun magno cume vogl’jo/io te paco cume vuò tu,/me ne vaco e nun torno chiù!».
Si salgono pochi gradini ed ecco un altro regno storico dell’eccellenza, “La Taverna del Capitano” di Mariella e Alfonso Caputo, ristorante con 50 anni di storia, di lavoro, di passione e sacrificio di 3 generazioni che si può fregiare di ben due stelle Michelin, con una cucina stupefacente e una ancor più stupefacente cantina da far invidia ai più blasonati ristoranti francesi. E non è finita perché inerpicandosi su per la strada, che dalla Marina porta al borgo di Nerano, a poche centinaia di metri, “Ai quattro passi” per l’appunto, troviamo un altro genius loci della ristorazione, Antonio Melillo, due stelle Michelin, un ristorante anche a Londra testimonianza della sua fama internazionale, sbarcato qui quarant’anni fa dalle navi da crociera e da allora ancorato ad una raffinata cucina innovativa pur nel confronto con la tradizione di queste parti.
Non c’è da meravigliarsi dunque se poi in questa piccola baia che è come un’enclave di antico tempo perduto accanto ai piccoli gozzi dei pescatori si trovino spesso ormeggiate al largo grandi barche, a volte vere e proprie navi da crociera, dalle quali scendono Mariah Carey, Naomi Campbell, Steven Spielberg, Dolce&Gabbana, Danny De Vit, lo stilista Brian Atwood, Tom Hanks, Bruce Springsteen, Bejonce, Rihanna, Jennifer Lopez, Richard Gere, Hugh Jackman (ed è un elenco molto ristretto) che oggi come ieri quando approdavano Giovanni Agnelli, Montezemolo, Rothschild, e quarti di nobiltà vari, smettono i loro panni da protagonisti dello smart set internazionale per respirare una boccata di autentica vita marinara accanto a vecchi amici come Alfonso Caputo, la famiglia De Simone, la Famiglia di donna Maria Grazia, Antonio Melillo, Olimpia e Giorgio Fontana.
Pensare in un contesto così autorevole di crearsi un posto al sole per lanciare la proposta di una cucina di qualità che affermi una identità definita e originale è cosa di inveterata audacia. Fra tanti Golia dei fornelli il Davide che proponiamo oggi si chiama Luigi Mollo, lo Chef di Mary Beach, un ristorante a conduzione familiare proteso sull’acciottolato della spiaggia, così proteso che spesso le mareggiate invernali ne distruggono parti sostanziali, ma loro puntualmente le ripristinano. Una testardaggine e una volontà di pensare positivo che sono paradigmatiche del carattere del giovane Luigi. Il quale se è figlio d’arte, avendo ereditato la conduzione del vecchio ristorante dal padre Nicolas e dalla madre insegnante elementare, è riuscito i pochi anni a prendere il volo verso livelli superiori di qualità e di servizio solo sulla forza di volontà senza essere passato per nessuna scuola alberghiera che gli abbia impostato i fondamenti del mestiere.
In questo volo acrobatico lo ha supportato indubbiamente la sua passione giovanile. Da ragazzo Luigi pensava di fare lo scienziato, si vedeva immerso fra formule matematiche e logaritmi a ripercorrere le orme dei grandi che hanno cambiato la vita del mondo. Si era anche iscritto all’università. Poi un giorno ha guardato il mare verde ramina di Marina del Cantone, le sue acque trasparenti, i gozzi dei pescatori in acqua con le loro tante storie di privazioni e di sofferenza, i posti della sua infanzia e al pensiero di abbandonare questo fascinoso mondo per una scrivania in un avveniristico centro di ricerca negli States o in Francia a Sophie Antipolis, gli ha fatto gelare il sangue. E così il mancato scienziato si è trasformato in un cuoco per vocazione portandosi appresso dai suoi sogni infantili la curiosità su quali reazioni potessero scaturire dalla mescolanza di diversi ingredienti.
Con questo approccio mentale e senza scuola alle spalle ma animato dalla sua forte determinazione il giovane Luigi riesce a farsi accettare nelle cucine dell’unico ristorante stellato di Sorrento, il Buco di Giuseppe Aversa. Con Aversa è simpatia immediata, lo chef percepisce la fame di cultura culinaria del ragazzo di Nerano e per tre anni lo guida nell’apprendimento delle regole fondamentali gettando le basi della sua professionalità. Il passo successivo è non meno importante. Luigi va da Mellino che lo manda a irrobustirsi nel ristorante Ai quattro passi che ha aperto a Londra a Mayfair, nel cuore della Londra aristocratica. È una esperienza importante e di grande responsabilità.
Al 34 di Dover Street Luigi Mollo lavora gomito a gomito con il figlio di Antonio Mellino, Fabrizio, poco più che ventenne che ha fatto un percorso importante da Paul Bocuse a Ducasse. E’ un ristorante da far tremare i polsi, arrivano ospiti americani, arabi e molti vip. Non si può sbagliare. E Luigi supera così bene la prova che Mellino nel 2015 se lo chiama nella casa madre Ai quattro passi di Marina del Cantone.
Durante l’inverno dello stesso anno Luigi segue anche un corso di formazione presso l’Italian Food Academy. L’anno successivo Mollo da Soul&Fish a Sorrento con lo Chef Vincenzo Incoronato e segue – ritorna la sua passione giovanile di scienziato – un Corso di cucina molecolare. Oramai la sua voglia di perfezionarsi in una cucina innovativa che sappia gestire materia prima e ingredienti inconsueti non ha più freni. Nel 2017 frequenta un corso per approfondire le sue conoscenze sul mondo dei fermenti. Nel mese di Dicembre del 2018 consegue uno stage presso il Ristorante Maritozzo di Mosca con lo Chef Andrea Imperatore che lui ha conosciuto quando quest’ultimo era Sous chef alla Taverna del Capitano”. La regola di Imperatori è la sua “bisogna saper imparare da chi ne sa di più. E non smettere mai di studiare, di migliorarsi, di mettersi alla prova”.
Il vecchio ristorante gestito da Antonio Mollo assume una nuova veste, arriva anche la clientela importante, il menù imbocca la via di preparazioni raffinate con prodotti di alta qualità locale che Mollo sceglie personalmente andandosene su per i monti Lattari e per gli impervi terreni scoscesi a picco sul mare delle due costiere sorrentine e amalfitane alla ricerca di rarità gastronomiche. Anche nella preparazione dei piatti Luigi introduce un tocco d’artista come si conviene ad un ristorante che ora può definirsi di tono e che cura oltre al gusto anche il buongusto del vedere.
Nella spiaggia degli Chef-Golia, Luigi-Davide si è conquistato un posto di tutto rispetto. E’ stata dura ma ne è valsa la pena. Quando parla della sua rapida carriera, ammette: “Le più grandi difficoltà le ho riscontrate ad inizio del mio percorso in cucina, poiché provenendo da un’istruzione liceale e non alberghiera mi sono ritrovato a dover colmare velocemente alcune lacune in materia. Sono un’autodidatta e ho sempre sentito la mancanza di un’istruzione gastronomica ordinata, ma fortunatamente sono provvisto di una forte attitudine all’approfondimento”.
E nessuno lo dubita visti i risultati raggiunti.
Provare per credere Il suo Gamberó in pasta kadaifi con insalata si zucchine alla scapece e arancia, mayonese all’aglio che può essere considerato uno dei piatti iconici del Mary’s Beach, o il suo risotto rombo zenzero e carote che è un mix di sapori perfettamente allineati fra loro e che rappresenta a pieno la sua filosofia cuciniera, o Il tagliolino lupini, verza e caprino un piatto nato da un tocco di fantasia che ha sorpreso tutti per la sua riuscita e anche lo stesso Chef che forse non ci credeva appieno. Certo è che la sua cucina è fatta di tradizione e innovazione, di sapori forti e accostamenti audaci, ma al contempo equilibrati. “Mi piace giocare con le materie prime offerte dal nostro territorio – dice – abbattendo l’ordinario ma senza stravolgere l’ingrediente. Quando creo un piatto, cerco sempre l’umami, ovvero una perfetta sintonia tra acidità, sapidità, amarezza, croccantezza e dolcezza”. Un’equazione da scienziato o meglio da mancato scienziato che però è riuscito a diventare un ottimo chef di talento. E che ha ancora molta strada davanti a sé.