Un’opera completa sull’Italia, sull’Italia che era, che sarebbe potuta essere e che non è diventata. Dieci saggi di autori diversi che, nei rispettivi campi e dai rispettivi punti di osservazione, mettono a confronto “le due Italie”, come scrive il giornalista Cesare De Carlo nell’introduzione, “quella che venne costruita negli anni del dopoguerra e quella che ci ritroviamo ora”. Ci sono il manager, il grande clinico, il tributarista, l’economista, il banchiere, il religioso, l’architetto, gli accademici, nomi come quello di Umberto Veronesi, Victor Uckmar, Vittorio Gregotti, Tancredi Bianchi, Piergaetano Marchetti, Roberto Artoni, Ennio Apeciti, Francesco Billari. È L’Italia che abbiamo trovato, quella che lasciamo (Egea, 2013, 272 pagg., 28 euro) volume ideato e curato da Luigi Guatri, che è anche autore di due dei capitoli.
Un paese, l’Italia, che è quello che soffre di più tra i grandi paesi europei nonostante alcuni indicatori economici dimostrino che anche altri, come la Francia e la stessa Germania che detta le regole nell’Unione, per non parlare di Giappone e Stati Uniti, se la passano male e nonostante ciò continuano a essere considerati ricchi. Gli autori, nei loro saggi, raccontano come si è potuti arrivare a questo punto a partire dagli anni della ricostruzione e da quelli del boom, gli anni ‘60 nei quali il “marchio Italia”, con i suoi prodotti di grande qualità, era stimato e ambito in ogni parte del mondo, prima che un susseguirsi di politiche irresponsabili basate sulla spesa e l’indebitamento, e non sul rigore come la Germania che ha saputo risparmiare nei momenti difficili, determinasse lo stallo e poi il declino. “Le imprese italiane erano semiparalizzate. Persero in pochi anni le quote conquistate nel decennio precedente”, scrive ancora De Carlo, “e questo nonostante le svalutazioni monetarie”. Riusciremo a risollevarci?