Greta Thunberg è sicuramente l’attivista ambientale più famosa al mondo, ma forse non ama l’eolico. È l’icona, soprattutto giovanile, della mobilitazione per salvare il pianeta dall’inquinamento e dalla CO2. E oggi c’è un nuovo sciopero per il clima.
Gli slanci di Greta e del suo movimento, tuttavia, qualche volta lasciano perplessi. L’altro giorno in Norvegia l’attivista è stata fermata dalla polizia perché protestava contro un parco eolico che bloccherebbe i pascoli degli indigeni Sami. Il popolo della Lapponia con antiche e rispettabili tradizioni sarebbe danneggiato, cioè, da una centrale che produce quell’energia pulita che Greta e il suo movimento invocano da anni in tutto il mondo. Per non andare in confusione rispetto alla transizione energetica e sul sostegno dei movimenti green concreti, ricordiamo che la sola Europa entro i prossimi sette anni vuole produrre il 43 per cento di energia dal vento. Già oggi ha 255 GW di capacità installata. Bisogna fermarsi? E perché poi, se le pale non hanno emissioni, lavorano con la forza della natura?
Dai pascoli minacciati, agli uccelli disturbati, al paesaggio disturbato dalle pale il mondo dell’eolico fronteggia ogni tipo di opposizione. Italia Paese simbolo di questi problemi. I fronti del NO però per contrappasso e gusto (?) della polemica, spesso finiscono per dare ragione a chi sostiene ad oltranza le vecchie fonti inquinanti. Senza nemmeno, come è necessario, un mix transitorio bilanciato.
La Germania spinta dal vento
L’ultimo report di WindEurope dice che la Germania è il Paese più avanti nei 19 GW si energia eolica installata nel 2022. Al secondo e terzo posto ci sono Svezia e Finlandia, Paesi molto vicini alla Norvegia «assediata» da Greta Thunberg. L’eolico deve crescere con un incremento di 31 GW all’anno fino al 2030. Attualmente solo il 17% della domanda Ue è coperta da energia del vento, mentre ci si muove sulla riforma del mercato elettrico.
I governi discutono, litigano, cambiano posizioni, ma il Green Deal resta una via maestra, sebbene con qualche buca. Le scelte sulle rinnovabili somigliano sempre di più ad una bussola impazzita. «L’87% della nuova capacità eolica in Europa lo scorso anno era onshore. Solo 2,5 GW sono su nuovi parchi eolici offshore» spiega l’Associazione delle industrie italiane dell’eolico, Anev. In una nota si sofferma sulla situazione italiana. Nonostante le buone indicazioni contenute nel PNRR l’Italia continua a perdere posizioni ed è al settimo posto per potenza installata. Il dato del 2022 è ancora molto basso con solo 526 MW installati, 30 dei quali offshore. Gli investimenti privati sono pronti e il territorio ha potenzialità da sfruttare. Poi bisogna decidere.
L’Italia settima in Europa chiede norme snelle
Tra polemiche mai spente del tutto sui siti prescelti e autorizzazioni lente, infatti, i numeri italiani non incrociano la strategia europea. Ci sono strumentalizzazioni politiche di ogni tipo. Si attaccano Regioni, imprese ed enti territoriali. Nel Sanno é in corso l’ultima protesta per un parco già progettato. «Ci si aspetta che i Paesi Europei riescano ad installare in media 20 GW di nuovo eolico all’anno, ma non è sufficiente per raggiungere gli obiettivi energetici e climatici posti in sede europea» scrive ancora l‘Anev. E rilancia sulla semplificazione delle norme, nuovi investimenti per una catena del valore tra fabbriche, reti, porti, navi e lavoratori qualificati. Un quadro che non entusiasma.
Ma non tutto trama contro investitori e industrie. Più slancio deve arrivare anche dalla politica la cui visione deve essere continentale e non limitata ai confini nazionali. Il REPowerEU con progetti e fondi per la ricerca ha aiutato le rinnovabili, ma se per una fonte privilegiata si resta inchiodati al 17%, qualcosa non gira come dovrebbe.