Dopo circa 3 mesi di diffusione del Covid 19 in Italia una cosa si è capita: che la malattia non si è manifestata secondo gli schemi più frequenti di una polmonite “classica”. Le complicanze di questa infezione rappresentano qualcosa di nuovo e di inaspettato che – solo ora si può dire – prende le mosse da una potente infiammazione dell’organismo, in cui il virus ha trovato terreno fertile per attecchire, proliferare e provocare danni anche letali molto diversi da quelli di una normale polmonite.
Abbiamo chiesto ad Attilio Speciani, immunologo milanese e profondo studioso e conoscitore anche sul campo delle infiammazioni dell’organismo che diventano causa di molte malattie, in che modo si è comportato il virus e quali sono i fattori che hanno offerto per esso il terreno più fertile.
Dottor Speciani, dopo tre mesi di osservazione del virus, che cosa avete compreso di lui, che cosa vi ha sorpreso e come ha agito sugli organismi, risparmiando alcuni e falcidiando altri?
“La conoscenza di questo nuovo virus, causa del Covid-19 sta progredendo giorno dopo giorno. In molti casi le manifestazioni possono essere di lieve entità, spesso paragonabili a quelle di una influenza. Per le complicanze, invece, in un primo momento si era pensato a una azione diretta del virus sul polmone, come se esso rendesse difficile il passaggio dell’ossigeno. Ma non è così. Si è presto capito che il virus agisce determinando una tempesta infiammatoria legata alla attivazione di numerose citochine, che vanno ad agire sul sistema immunitario, alterandone alcune azioni. Ed è qui la novità rispetto a una classica polmonite. Si determina infatti un aumento della coagulazione e la produzione di microcoaguli e microtrombi polmonari, dovuti alla infiammazione dei vasi, che alterano il flusso di sangue e la distribuzione del rapporto tra sangue e aria nei polmoni coinvolti”.
Quindi in modo decisamente diverso rispetto a quanto i medici sono abituati a vedere in una malattia infettiva…
“Esattamente. In una polmonite classica alcune zone polmonari o tutto il polmone si riempiono di secrezioni purulente e si riduce la quantità di polmone sano che può respirare. Qui invece si attiva un processo infiammatorio immunologico che cambia la funzione dei vasi. Aver capito questo è stato fondamentale per modificare via via l’approccio e la modalità di terapia. Ora – con soli due mesi di conoscenza del virus – è già possibile definire dei protocolli ancora parziali, ma innovativi ed efficaci, e il percorso in questa direzione prosegue senza sosta. Per esempio si è capito che gli antivirali non sono stati determinanti, mentre lo sono stati gli anticoagulanti”.
Dunque la parola chiave è infiammazione. Lei da sempre studia gli effetti delle infiammazioni sull’organismo e ne studia le cause. Gli stessi criteri si possono applicare anche nel caso del Covid 19?
“Ci sono tre cause ben definite che aprono la strada anche alle complicanze del Coronavirus: infiammazione, glicazione ed eccesso di zuccheri, alterazioni della sensibilità insulinica e sovrappeso: fattori di rischio importanti che riescono a complicare il decorso della malattia in modo anche grave di cui è indispensabile tenere conto per attuare una vera prevenzione”.
E questo tipo di processi infiammatori possono essere controllati dal cibo che si sceglie?
“Da tempo ormai si sa che l’azione del cibo sull’organismo va ben oltre l’effetto delle calorie introdotte o l’apporto equilibrato di minerali. I segnali infiammatori indotti dal cibo sono molto più potenti. Gli studi più recenti hanno consentito di capire che esiste una relazione diretta e profonda tra ciò che si mangia, il proprio profilo alimentare personale e le citochine eventualmente prodotte“.
Più nel dettaglio, come si sviluppa la catena dal cibo, all’infiammazione, alla malattia?
“Come avevamo già visto, la ripetuta assunzione di un cibo appartenente ad uno stesso gruppo alimentare o l’eccessiva introduzione di un alimento, può portare alla produzione di particolari citochine come BAFF – fortemente correlato all’attivazione immunologica – che può essere un fattore scatenante, insieme ad altre sostanze infiammatorie, di molti dei fenomeni immunologici e reattivi (come le vasculiti) che coinvolgono i vasi polmonari durante un’infezione da Coronavirus. Il PAF (Fattore di attivazione delle piastrine, ugualmente correlabile ad alcune abitudini alimentari) si è rivelato essere un possibile attivatore della coagulazione e un suo livello elevato può facilitare la formazione dei microcoaguli oltre che mantenere un elevato livello infiammatorio di tutto l’organismo. Tenere quindi sotto controllo l’infiammazione dell’intero organismo attraverso alcune scelte alimentari personalizzate può contribuire a migliorare la capacità di adattamento agli stimoli negativi dell’ambiente, virus e Coronavirus compresi. In parte è possibile tornare ‘artefici del proprio destino’ “.
Come avviene il processo di trasformazione degli zuccheri nell’organismo?
“L’eccesso individuale di assunzione di zuccheri (tutti! includendo anche fruttosio e sostanze con metabolismo analogo, come l’alcol) può determinare infiammazione e fenomeni di glicazione. Con la glicazione (il cui significato clinico è stato compreso solo nel 2017) si formano nell’organismo numerose sostanze chiamate glicotossine o allarmine. La più nota è il metilgliossale (o metilglioxale o MGO), una sostanza ossidativa, che genera infiammazione, induce resistenza insulinica ed è purtroppo anche cancerogena, essendo capace di danneggiare il DNA. Il fruttosio è una sostanza chiave nella sua formazione”.
Il fruttosio? Quello che sembra ai più così innocuo e naturale ?
“Dipende. Il fruttosio – come anche il saccarosio (glucosio + fruttosio) – sono tra i prodotti che crediamo “naturali” e che invece al di fuori del loro contesto “vero” (la frutta fresca e intera ad esempio) generano la formazione di prodotti di glicazione pericolosi. L’innalzamento della glicemia o i picchi di fruttosio o di alcol o di polioli portano alla facile glicazione di alcune proteine e alla loro trasformazione in prodotti dannosi.
Queste sono cruciali per l’attivazione di reazioni allergiche, aumentando il livello di infiammazione”.
Uscendo per un attimo dal contesto Covid19, quali sono le ultime scoperte circa la connessione infiammazione – malattia ?
“Dopo che abbiamo visto sempre più relazioni tra processi infiammatori e cancro, questi stessi prodotti sono messi da molti autori in stretta correlazione con la comparsa di Alzheimer per esempio, ma anche con la induzione e il mantenimento della maggior parte delle malattie autoimmuni (dall’artrite reumatoide alla tiroidite di Hashimoto), con le malattie infiammatorie intestinali (Crohn e colite ulcerativa) e anche con la semplice ma diffusissima colite”.
È dunque importante conoscere il grado di infiammazione del nostro organismo. Come possiamo misurarlo? Quali sono i test più efficaci?
“L’infiammazione da alimenti e da zuccheri può oggi essere misurata per arrivare ad una impostazione terapeutica personalizzata. Test PerMè (che studia insieme l’infiammazione da alimenti e da zuccheri), Recaller 2.0 (BAFF, PAF, predisposizione genetica alle malattie autoimmuni e Profilo alimentare personale) e GlycoTest (Metilgliossale, Albumina glicata e predisposizione genetica a obesità e diabete) fanno ormai parte di una possibilità diagnostica utilizzabile da chiunque. Capire il proprio profilo personale e il livello di infiammazione consente di rifasare gli aspetti di disagio da squilibrio alimentare. E ciò è particolarmente utile in questo periodo in cui molti hanno ecceduto con cibi sregolati e consente di dare una regolata al proprio metabolismo, riducendo la resistenza insulinica profondamente connessa con l’infiammazione. La corretta gestione alimentare consente di mettere l’organismo nelle migliori condizioni di risposta alla possibile infezione da Coronavirus. E ciò sembra un “plus” importante, di sicuro supporto per la vita dei prossimi mesi”.