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“L’Oro di Napoli” in preapertura alla Mostra del cinema di Venezia. L’omaggio a Vittorio De Sica

Il riconoscimento della Biennale di Venezia al capolavoro di Vittorio De Sica girato 70 anni fa. È tra i migliori film italiani e rappresenta la forza e i sentimenti di un popolo. Pellicola completamente restaurata.

“L’Oro di Napoli” in preapertura alla Mostra del cinema di Venezia. L’omaggio a Vittorio De Sica

Il cinema non può fare a meno di Napoli. Non è una frase a effetto, l’hanno ripetuta tutti quelli che nella loro carriera si sono misurati con la città. Registi, interpreti sceneggiatori produttori, prima o poi sentono il richiamo della città più “teatrale” d’Italia. Da napoletani lo sappiamo e quando vediamo la città in pellicola, raramente esprimiamo giudizi, perché Napoli è una, cento, mille. La narrazione è semplice e complessa al tempo stesso, come sa bene chi scrive un copione, scrittura gli attori, poi ai primi ciak cambia tutto. La città e la sua gente pesano sull’idea di partenza. Dal dopoguerra accade questo, tutti storditi da “Napule mille colori” come cantava Pino Daniele.

C’è un film in particolare che dopo 70 anni suscita ancora i sentimenti più genuini di un popolo sofferente e spensierato, triste e beffardo, semplice e marchiano: è L’Oro di Napoli per la regia di Vittorio De Sica. Sarà questo film a essere proiettato alla preapertura dell’81^ Mostra del Cinema di Venezia. Restaurato dalla Filmauro di Aurelio e Luigi De Laurentiis, con la  supervisione artistica di Andrea De Sica, avrà la prima mondiale martedì 27 agosto nella Sala Darsena del Lido. La proiezione omaggia tre eventi: i 50 anni dalla morte di Vittorio De Sica, i 70 dall’uscita del film, i 90 anni di Sofia Loren, il 20 settembre.

Tra i cento film da salvare

La pellicola in sei episodi è uno dei capolavori del cinema italiano e del suo regista. De Sica era nato a Sora, in provincia di Frosinone, ma per tutta la vita è stato legatissimo a Napoli, che riteneva la sua città d’adozione e dove ha girato diversi film. Per l’Oro di Napoli nel 1954 scelse i migliori attori del momento: Sophia Loren, Totò, Silvana Mangano, Paolo Stoppa, Eduardo De Filippo, Tina Pica. Non si risparmiò sulle comparse prese dalla strada, come fece tutto il neorealismo che così diede vita a un disegno culturale e artistico copiato in seguito in altri paesi.

Tutto inizia con un testo scritto. Lo scrittore napoletano Giuseppe Marotta si era ispirato alla Napoli del dopoguerra per i suoi racconti e Cesare Zavattini da straordinario autore neorealista, ne trasse una sceneggiatura che ha ispirato decine di altri registi e sceneggiatori per l’iconagrafia di una o più set. I più giovani a Venezia avranno l’ occasione di rivedere uno dei 100 film prodotti nel mondo da salvare. Rivivranno attraverso la bravura di un maestro, i momenti complicati di una città mai doma rispetto alle sconfitte subite che anche il ‘900 le aveva addossato. C’è tutta l’Italia in quella pellicola, un paese meno scenico, più chiuso, forse perbenista.

Napoli nella storia ha avuto dominazioni di ogni tipo, fasi di splendore e di oscurità, capitale d’arte con Parigi e Londra, è stata molto offesa ma si è sempre riscattata. Le scene autentiche del film con i vicoli e i personaggi che li animano, furono presi da De Sica per quello che realmente erano: Sofia Loren, pizzaiola-icona di bellezza e gelosia, Totò vittima e ribelle di un guappo, Eduardo professore di saggezza, maestro di un pernacchio a un nobile austero e antipatico.

Pellicola da studiare

Non c’è caricatura nella narrazione ma la raffigurazione di un popolo scanzonato e discordante, mai unico. Strepitosa la parte che De Sica scelse per se stesso di giocatore di carte -perdente- contro un ragazzino vivace. Il regista era noto per la sua passione per il gioco, ma nello scritto di Marotta, e quindi nel film, riportò il gusto per l’azzardo, la sfida tenace contro le avversità della vita, simbolicamente individuate in 40 carte da gioco

Il film fu presentato a Cannes nel 1955 e ottenne il Nastro d’argento per l’interpretazione di Silvana Mangano. In occasione della presentazione alla Biennale è stato ricordato il giudizio di Martin Scorsese, colpito dal modo in cui si muove senza sforzo tra la commedia e la tragedia”. De Sica è stato un interprete autentico della vita della Napoli che paradossalmente quando è stato girato “L’oro” si preparava a vivere una nuova stagione di aggressioni per mano di una parte avida di potere della sua gente. De Sica lo dirà spesso nelle interviste degli anni ’60 e ’70. Vivendo oggi la città tutti noi riconosciamo che L’Oro di Napoli è stato, dieci anni prima, l’opera artistica più di contrasto alla depredazione urbanistica degli anni ’60 rappresentata in un altro capolavoro del 1963 di Francesco Rosi “Mani sulla città”. La preapertura della Mostra di quest’anno, dunque, con un capolavoro da studiare rende omaggio a tre circostanze storiche ma soprattutto a un intero popolo che sa riconoscere il valore del proprio oro.

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