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Lombardia: grandi imprese oltre i livelli pre-Covid

Imagoeconomica

La crisi da Covid non ha colpito tutti allo stesso modo, né in Italia né altrove. E tantomeno in Lombardia, la locomotiva del Paese dove si produce circa un quinto del Pil nazionale. Secondo il rapporto “L’economia della Lombardia” presentato dalla Banca d’Italia, ad esempio, la produzione industriale è sì scesa di circa il 10% nel 2020, in linea con la media italiana, ma in alcuni settori le imprese con più di 250 addetti (quindi le grandi imprese) hanno recuperato i livelli pre-pandemici già alla fine dell’anno scorso, cioè ancora in piena pandemia, mentre le Pmi hanno sofferto al punto da rimanere significativamente sotto quel livello. La curva lombarda ricalca quella già nota a livello nazionale: profondo rosso nel primo semestre, ripresa sostenuta nel terzo e nuovo rallentamento della produzione nell’ultimo scorcio del 2020. Anche il 2021 è iniziato in maniera fiacca, e le previsioni della Banca d’Italia si fermano lì, al primo trimestre.

Stesso discorso vale per il Pil regionale, che è diminuito del 9,4% secondo le stime di Prometeia, in misura leggermente più marcata che nella media nazionale. Anche qui il copione è di un crollo nel secondo trimestre 2020, con un recupero successivo ma una nuova flessione in inverno. Sebbene ci sia ora del moderato ottimismo per questa seconda parte del 2021, grazie alle riaperture e anche alla prima tranche di fondi europei che dovrebbe arrivare già in estate, la pandemia ha lasciato segni pesanti sia a livello numerico che strategico, persino sull’economia forte del Paese a livello regionale. Banca d’Italia ad esempio rileva che il fatturato delle imprese lombarde è diminuito del 6% ma soprattutto che la caduta della domanda e il timore di conseguenze permanenti sull’economia hanno avuto ripercussioni negative sull’accumulazione di capitale: quasi il 60% delle imprese ha ridotto gli investimenti nel 2020, determinando un calo dei flussi del 12,6%, molto peggio rispetto al 2019.

Ne paga le conseguenze anche la transizione ecologica, il grande paradigma del momento, quello che orienterà gran parte delle politiche a livello mondiale e degli investimenti privati nei prossimi anni. Tra gli investimenti venuti a mancare a causa della pandemia, i primi a saltare sono stati proprio quelli legati alla sostenibilità: in Lombardia il 45% delle imprese ha sospeso o rimandato quel tipo di operazioni, comunque meglio che nel resto d’Italia dove si è arrivati al 50%. Va anche rilevato però che sempre in Lombardia il 37% delle imprese ha trovato la forza e la volontà di credere a maggior ragione nelle politiche ambientali e di fare persino investimenti aggiuntivi a quelli previsti: qui il dato è sensibilmente migliore rispetto a quello nazionale, dove solo il 28% delle imprese ha seguito questa strategia.

Nel 2020 l’emergenza sanitaria ha interrotto bruscamente la fase di moderata ripresa che aveva interessato il settore delle costruzioni dal 2016. La produzione si è arrestata nei mesi di marzo e aprile, in seguito alle misure governative di sospensione delle attività. Secondo l’indagine di Bankitalia, la produzione totale del settore è diminuita di circa il 10%. La crisi sanitaria ha avuto ripercussioni anche sul mercato immobiliare, che nel 2019 aveva invece registrato un’espansione sostenuta. Le compravendite di abitazioni sono scese nel 2020 del 7,9% rispetto all’anno precedente, in linea con l’andamento registrato nella media italiana. In compenso però i prezzi sono aumentati, molto di più rispetto alla media nazionale, trainati soprattutto dalla città di Milano, che in questo senso si è confermata una eccezione rispetto al panorama del resto del Paese.

Ovviamente sono crollate a doppia cifra le esportazioni e in generale gli scambi con l’estero: le maggiori difficoltà di approvvigionamento per le aziende lombarde si sono registrate da e verso la Cina, mentre molto meno complicati sono stati il commercio e la supply chain con gli Stati Uniti, oltre che ovviamente con i partner europei. Infine, il lavoro. L’ecatombe di posti di lavoro c’è effettivamente stata, ma è stata in parte compensata da nuove assunzione sempre nel 2020: il calo dell’occupazione è stato dell’1,7% (-2% in Italia), corrispondente a circa 77.000 occupati in meno rispetto al 2019, ma alla fine il saldo tra assunzioni e cessazioni è stato negativo “solo” per un po’ meno di 22.000 posizioni lavorative (ma sono stati creati quasi 100.000 posti in meno che nel 2019). A dimostrazione che il dibattito sul massacro delle partite Iva lascia il tempo che trova, e i dati confermano che i dipendenti sono stati i più colpiti dalla crisi nonostante il ricorso alla CIG: i lavoratori autonomi e i dipendenti a tempo determinato sono diminuiti rispettivamente del 2,1 e del 14,6%.

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Categories: Economia e Imprese