Dal gennaio del 2020, quando la pandemia era agli inizi, le tariffe per trasportare un chilo di merce via mare sono cresciute di cinque volte, fino a superare il tetto dei 10 mila dollari per container. L’aumento provocato dalla congestione dei porti, dal blocco di Suez e dalla penuria di container disponibili ha già avuto un impatto rilevante sui costi del trasporto (+11%) e sullo stesso livello dell’inflazione: in media +1,5% sui prezzi al consumo. Un rialzo che colpisce soprattutto i Paesi poveri, i più esposti all’andamento dei noli. Ecco l’effetto dei famigerati “colli di bottiglia”, dalla crisi provocata dall’incidente di Suez, appena superato, agli ingorghi del porti della California, ancora in emergenza. Fino ai problemi di Rotterdam, in attesa di ricevere il gas naturale Usa per compensare la chiusura dei gasdotti di Putin.
Si combatte sui mari una guerra silenziosa, importante, anzi vitale seppur misconosciuta, che sta cambiando alcuni aspetti dell’economia mondo. Soffre l’industria dei servizi: il mondo delle crociere, nonostante gli sforzi per contenere i costi e sterilizzare gli effetti del Covid -19, è ormai rassegnato a rinviare di mesi (se non di più) la riscossa. Intanto, nell’industria, il settore dell’automobile, così come l’elettronica e l’informatica, sta cercando di correre ai ripari accorciando le catene di produzione, anche a costo di affidarsi a produttori meno efficienti degli operatori asiatici, i più colpiti dalle difficoltà sugli oceani: i cinque Paesi più esposti al traffico marittimi sono Cina, Hong Kong, Malaysia, Corea del Sud e Singapore. Il rimedio, per ora, dà risultati modesti, anche perché, nonostante le varianti del Covid, il traffico di merci ha avuto finora flessioni modeste. Anzi, il 2021 si chiude con un lieve progresso (+1,5%) nonostante il calo dei trasporti petroliferi (-7%) e per il 2022 è in vista un aumento del 4,3%.
Ma, come sempre capita, nelle stagioni di crisi non mancano i vincitori. I giganti della logistica dei mari si avviano al Capodanno con alcuni botti epocali e l’ambizione di sbarcare a terra e volare nei cieli, come dimostrano i tre deal miliardari in meno di venti giorni.
Andiamo in ordine: l’8 dicembre scorso la francese CMA-CGM ha acquistato il controllo del terzo terminal del porto di Los Angeles assieme al colosso logistico Ingram Micro.
Il 20 dicembre Msc, il gruppo guidato dal salernitano Gianluigi Aponte da Ginevra, ha sottoscritto il preaccordo per l’acquisto della rete logistica controllata in Africa dal gruppo Bolloré per 5,7 miliardi di euro. Non solo di porti si tratta, ma, ancor più preziosa, è la rete ferroviaria e il sistema di terminal che, spiegano al quartier generale del gruppo, “ci consentiranno di garantire se necessario la priorità alle nostre navi favorendo una miglio gestione della catena di approvvigionamento”. Per questo Msc, che già conta 62 terminal in giro per il mondo, ha accettato di pagare una valutazione ben superiore ai 3 miliardi ipotizzati quando il finanziere bretone si è deciso a vendere.
Il terzo colpo epocale l’ha messo a segno il 22 dicembre la danese Maersk, numero uno al modo, che ha acquisito per 3,6 miliardi di dollari il controllo della cinese LF logistica, che controlla 223 depositi e una flotta di camion che copre l’intera Asia. Non è da tutti i giorni registrare un acquisto così importante in Cina, specie nella logistica. Ma Soren Skou, il ceo del gruppo scandinavo, non nasconde l’obiettivo finale: gestire il viaggio dei container dalla fabbrica dove vengono caricate le merci fino alla destinazione finale. Un viaggio “porta a porta” via mare ma anche terra, vuoi in ferrovia o in strada. E, tanto per dimostrare che fa sul serio, Maersk ha anche rilevato per 644 milioni di dollari la tedesca Senator, specializzata nel trasporto merci via aereo.
La logica delle operazioni è la medesima: “I porti oggi non sono così efficienti come vorremmo – dichiara Skou – Di qui la necessità di recuperare flessibilità con soluzioni integrate”. La stessa filosofia enunciata da Aponte per l’Italia: “bisogna sviluppare di più una rete di interporti, collegati via ferrovia e localizzati ogni 150 chilometri dalla destinazione finale delle merci. Così viaggerebbero su gomma solo per tragitti brevi mentre le lunghe percorrenze verrebbero effettuate da treni”.
Propositi virtuosi, favoriti da una situazione di eccezionale benessere: il prezzo medio del trasporto via container è salito, come abbiamo visto, fino a 10.000 dollari o poco meno (+169% in un anno) mentre l’indice Baltic Dry, che misura il prezzo del trasporto marittimo dei prodotti secchi, sale del 300% da inizio anno. I conti di CMA-CGM registrano un aumento del 90%, a 5,6 miliardi di dollari. E Maersk ha appena licenziato la trimestrale più ricca dalla sua fondazione, nel 1904. Non meno solida Msc, che, tra l’altro, rafforza la sua flotta croceristica nonostante i problemi del Covid -19.
Insomma, i giganti del mare vivono una stagione con il vento in poppa. Forti anche di privilegi accumulati in anni meno prosperi. O di singolari guarentigie. Il progetto di riforma fiscale dell’Ocse che prevede una global minimum tax del 15% sulle multinazionali con un giro d’affari superiore a 750 milioni non si applica al mondo del trasporto via nave.