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L’occupazione verrà dai privati più che dallo Stato ma per spingere la crescita bisogna sburocratizzare

Chi creerà posti di lavoro: il settore pubblico o quello privato? La risposta dell’Osservatorio Cpi è chiara e numeri alla mano spiega i prossimi scenari dell’occupazione

L’occupazione verrà dai privati più che dallo Stato ma per spingere la crescita bisogna sburocratizzare

Chi crea posti di lavoro: il settore pubblico o quello privato? E’ questa la domanda a cui cerca di dare una risposta l’Osservatorio conti pubblici italiani (CPI) con un articolo scritto da Giampaolo Galli, che lo dirige, insieme a Leonardo Ciotti e Michela Garlaschi. Guardando grafici e numeri, in epoca di great resignation, la conclusione sembra questa: se nei prossimi anni vi sarà creazione di posti di lavoro, deriverà quasi certamente dal settore privato. “Un certo scetticismo sulla capacità del sistema economico di creare “spontaneamente” occupazione e soprattutto posti di lavoro di qualità – osservano i ricercatori – può essere giustificato dal fatto che tra il 2008 e il 2019 l’occupazione ha subito forti oscillazioni in funzione dei cicli dell’economici, ma non è aumentata. La situazione è migliorata nel 2021 e 2022. Alcuni indicatori, come il fabbisogno occupazionale per il 2023-26, suggeriscono che la creazione di posti di lavoro possa continuare nell’anno in corso, seppure a ritmo ridotto, malgrado il previsto rallentamento dell’economia e la difficoltà di reperire le figure professionali necessarie”. Ma vediamo in dettaglio come si è giunti a queste conclusioni.

Tasso di occupazione e numero di occupati 

Senza dilungarsi troppo sul dilemma se siano più importanti i posti di lavoro generati nel settore pubblico o quelli generati nel settore privato, L’articolo dell’Osservatorio conti pubblici va dritto al punto. “Fra l’inizio degli anni Novanta e il 2008 – scrivono i tre economisti – sono stati creati circa 2,5 milioni di posti di lavoro. Ma le cose sono cambiate drasticamente negli anni più recenti.  A seguito della doppia crisi che ha colpito l’Italia (la crisi finanziaria del 2008-09 e la crisi dei debiti sovrani in Europa del 2011-12), fra il 2008 e il 2013 si sono persi oltre un milione di posti di lavoro. Negli anni successivi vi è stato un lento recupero, ma ancora nel 2022 il numero di occupati si collocava leggermente al di sotto del picco del 2008”. Le dinamiche occupazionali, osservano poi, sono anche determinate dalla questione demografica. “Negli ultimi anni vi è stata una forte riduzione delle persone in età lavorativa in quanto i giovani entrati nel mercato del lavoro sono stati di molto inferiori agli anziani in uscita”. E questa è anche una delle ragioni per cui molte imprese si lamentano di non trovare giovani da assumere.

L’occupazione nel pubblico e nel privato

Più delle parole, a questo punto, contano i grafici.

L’andamento dell’occupazione. Fonte Osservatorio Cpi

Da ciò che si vede nella figura qui sopra, si possono trarre alcune considerazioni:

  • L’occupazione pubblica (dati Ocse) è una percentuale modesta di quella totale, collocandosi, a seconda degli anni, fra il 15 e il 16 per cento del totale. Ha registrato un forte ridimensionamento dal 2008 in poi, essendo scesa di quasi il 9,5 per cento, da 3,65 a 3,3 milioni nel 2021. Questa caduta va attribuita interamente ai problemi di finanza pubblica dell’Italia,
  • L’occupazione privata invece ha subito una perdita di quasi 1 milione di posti di lavoro fra il 2008 e il 2013, ed è aumentata a ritmi piuttosto sostenuti; tra il 2014 e il 2019 la crescita è stata del 5,4 per cento, corrispondente a circa il milione di posti di lavoro persi negli anni precedenti. L’occupazione privata ha registrato un crollo nell’anno del Covid (-720 mila posti), ma si è rapidamente ripresa nel biennio successivo, come mostrano i dati sull’occupazione totale. L’occupazione pubblica è invece rimasta costante nel 2020 e si leggermente ridotta nel 2021 (-3 per cento).  

Quali sono le prospettive per i prossimi anni?

Gli scenari previsti nell’ultimo rapporto Excelsior di Anpal-Unioncamere dello scorso giugno – citato nell’articolo dell’Osservatorio Cpi – indicano che nel biennio 2022-23 il settore pubblico potrebbe registrare un aumento di 36 mila occupati. Molto pochi. Nel periodo 2022-26 invece l’aspettativa è di 840 mila assunzioni, incluse quelle previste dal Pnrr, ma il 92 per cento serviranno a sostituire dipendenti in uscita. Sarebbe già poco entusiasmante ma diventa addirittura deprimente se si considera che la Nota di Aggiornamento al Documento di Economia Finanza (Nadef) prospetta una riduzione nei prossimi anni della spesa per i redditi da lavoro delle pubbliche amministrazioni. “Dopo un incremento nel 2022 del 6,6 per cento fino a 188 miliardi (interamente dovuto al recupero, peraltro parziale, dell’inflazione), la spesa per i redditi da lavoro dovrebbe scendere a 187, 185 e 186 miliardi rispettivamente nel 2023, 2024 e 2025.” Non sarà dunque dallo Stato che arriverà, numeri alla mano, un aumento dell’occupazione è la conclusione dell’Osservatorio.

Vediamo invece cosa si prevede possa succedere nel settore privato. L’ultimo bollettino Excelsior “indica in ben 504mila i lavoratori ricercati dalle imprese a gennaio e 1,3 milioni per il primo trimestre dell’anno. Ciò comporterebbe 46mila assunzioni in più rispetto a gennaio 2022 (+10 per cento) e +149mila assunzioni (+12,9 per cento) prendendo come riferimento l’intero trimestre.Secondo questi scenari, “la domanda di lavoro prevista ad inizio d’anno si colloca sopra i livelli pre-Covid e segna un +14,0% (+62 mila assunzioni) rispetto a gennaio 2019″.

Tuttavia a raffreddare gli entusiasmi gioca una fattore decisivo: la difficoltà a reperire figure professionali da parte delle aziende: la difficoltà di reperire dirigenti è addirittura al 66% e sfiora il 62% per quanto riguarda gli operai specializzati.

Solo la crescita economica può creare occupazione

La conclusione dell’Osservatorio è, a questo punto, che solo la crescita economica possa creare nuova occupazione. sia essa pubblica o privata. E se per gli Stati Uniti può valere ricordare la legge di Okun – dal nome del dell’economista statunitense che nei primi anni Sessanta sviluppò un modello econometrico che metteva in relazione la crescita del Pil con il tasso di disoccupazione – per l’Italia i tre economisti si affidano al modello econometria della Banca d’Italia. “In base a questo modello – ricordano – un aumento dell’1 per cento dell’output genera un aumento della domanda di lavoro nel settore privato (al netto dei settori dell’energia e dell’agricoltura) pari allo 0,4 per cento nel primo anno e allo 0,6 nel secondo; successivamente l’occupazione aumenta lentamente fino a +1 per cento a regime”.

La conclusione è limpida: “È indubbio che per migliorare la quantità e la qualità dei posti di lavoro siano cruciali le politiche per la crescita, fra le quali va senz’altro annoverata l’eliminazione o l’alleggerimento dei tanti oneri burocratici che rendono difficile fare impresa in Italia”. 

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