Anche se le Banche centrali mantengono una postura espansiva, ci sono segnali che i tassi di mercato cercano di rialzarsi da quegli storici nadir degli ultimi mesi. In alcuni casi, come per i BTp, questo rialzo è stato patologico, frutto dell’allucinante vicenda del Mes. Ma negli altri casi – vedi Bund e T-Bond – queste prove di rialzo devono qualcosa al fatto che la congiuntura mondiale dà – grazie a Cina e Usa – segnali di stabilizzazione e i prezzi stanno scongiurando la deflazione.
Rimane valida anche la ragione già citata il mese scorso a proposito delle prove di rialzo. Nell’Eurozona il surplus primario strutturale dei bilanci pubblici si sta leggemente riducendo e questa riduzione dura da tre anni. Naturalmente, la riduzione è così timida che non fa molto per contrastare la debolezza dell’economia, e gli inviti pressanti a una politica di bilancio espansiva in Europa si moltiplicano. Anche se detti inviti non avranno molto esito, i tassi sentono questa tendenza verso maggiori deficit o minori surplus. La stessa cosa vale per i tassi dei T-Bond Usa: in America non c’è bisogno di pressanti inviti ad allargare i cordoni della Borsa, come dimostra il deficit pubblico di 1582 miliardi di dollari (annualizzato e destagionalizzato) del 3° trimestre 2019 (7,3% del Pil!).
Il combinato disposto di tassi a lunga e inflazione sta riducendo lo spread fra i tassi reali dei T-Bond e dei Bund, e storicamente il differenziale dei tassi a lunga reali è stato un importante determinante dei cambi. Questo gioca, quindi, a sfavore del dollaro e a favore dell’euro. E, sempre a proposito di cambi, l’imprevedibile presidente americano ha trovato un’altra ragione per alzare i dazi. Dato che Argentina e Brasile hanno visto le loro monete svalutarsi (per fatti di mercato, non per manipolazione dei cambi), Trump ha deciso che alzerà i dazi su acciaio e alluminio in provenienza da quei due Paesi, per “punire” quelle svalutazioni. «OK Corral», insomma, per le tariffe daziarie in giro per il mondo, con buona pace del WTO.
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La moneta cinese è variata poco, e si mantiene sopra il livello di 7 contro dollaro. Ma non bisogna dimenticare che, dall’inizio della Grande Recessione a oggi (sono passati ormai una dozzina di anni) lo yuan si è rivalutato del 40% circa in termini della misura principe della competitività-prezzo (il cambio effettivo reale).
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I mercati azionari, almeno in America, sono forti, e Wall Street ha macinato nuovi record. C’è però molta “schiuma”. Sia l’indicatore Shiller (il p/e ratio su 10 anni) che un confronto di lungo periodo fra l’andamento dei profitti e quello del mercato azionario, indicano che le quotazioni Usa sono largamente sopravvalutate. Ma qual è l’alternativa per gli investitori con tassi così bassi e per lungo tempo?