Forza azzurri! L’urlo è esploso ieri sera anche a Herzogenaurach, la cittadina bavarese che dal 1948 si divide tra i tifosi di Adidas, la premiata ditta fondata da Adolf Dassler, e quelli di Puma, più piccola, promossa dal fratello maggiore Rudolf, sponsor della Nazionale di calcio italiana. Una scelta disgraziata fino a ieri, perché dopo il rinnovo del contratto nel 2015, la squadra tricolore non ha fatto granché per meritarsi i soldi dell’ingaggio: 22 milioni annui fino al 2023. Nemmeno troppi, anzi un vero affare se si considerano i 400 milioni di euro che Nike si è impegnata a versare alla federazione inglese dal 2018 al 2030, ovvero 33 milioni annui come rivela Brand Finance, l’organizzazione indipendente che monitora l’andamento del mercato dei marchi, un settore, almeno nel soccer, assai esposto ai risultati delle varie Nazionali.
Basti dire che la Francia, accreditata di un volume d’affari di 71 milioni fin al 2018, ha visto schizzare le entrate a 91 dopo il successo a Mosca, mentre l’Inghilterra, grazie all’onorevole quarto posto ai Mondiali, già era salita a 77 milioni di euro annui. Ora, grazie alla prova di Kane e compagni, la federazione può aspirare a raccogliere dagli sponsor almeno 20 milioni in più, fino alla cifra record di 95 milioni di euro.
E gli Azzurri? Ad un primo calcolo le parate di Gigio Donnarumma valgono fin da subito un 13-14 milioni di incasso in più per la federazione. Manco a farlo apposta una cifra in linea con l’ingaggio che il portiere andrà a percepire dal Paris Saint Germain. Il budget della federazione, già in calo dopo la mancata qualificazione a Mosca salirà attorno ai 60 milioni. Tanto per cominciare perché gli sponsor, a partire da Puma, intendono tenersi ben stretto un marchio ben spendibile, alla faccia della concorrenza più solida ed agguerrita: Nike, il colosso Usa che vanta un valore di Borsa ai 250 miliardi di dollari, sponsorizza 9 squadre; Adidas (65 miliardi di capitalizzazione) otto. Puma (15 miliardi di valore, François-Henri Pinault di Kering primo azionista singolo anche dopo la cessione della maggioranza ai soci della maison di Gucci) solo quattro. E tra queste (Austria, Svizzera, Repubblica Ceca) nessuna ha l’appeal della maison Macini.
L’Italia promette infatti di dar grandi soddisfazioni, finalmente, a chi punta sul lifestyle trionfante nel dopo pandemia. Crollano le vendite di cravatte, le proverbiali grisaglie da ufficio giacciono nei magazzini nonostante gli affaroni in saldo, la moda, ai tempi della pandemia e dello smartworking, guardia sempre di più al modello sportivo, amplificando una tendenza in atto da tempo grazie ad un mix ben assortito: lo stile di vita che cambia, l’aumento esponenziale del fitness e della domanda di vestiario sostenibile, nonché la crescente partecipazione delle donne negli sport. Una stima di Research and Markets evidenzia un incremento ad un tasso annuo del 7% fino al 2026.
In questa cornice le armi vincenti sono il richiamo alla pratica sportiva combinata con la resa tecnica dei materiali, sempre più sofisticati e indispensabili a chi vuol sentirsi Soldini (in mare), Messner (sulle vette) o Tamberi (che sia di buon augurio al saltatore italiano in partenza per Tokyo). Esemplare in materia, l’offerta di Puma che ha replicato la maglietta della nazionale italiana di calcio anche in versione donna e bambino, per permettere a queste fasce di partecipare a “eventi” internazionali utilizzando un tessuto performante e sostenibile.
Ma gli esempi possono essere mille. Molta acqua è passata sotto i ponti dai tempi in cui René Lacoste, un mito dei campi del Roland Garros, sdoganò gli abiti del tennis per creare la maglietta più famosa. O da quando Remo Ruffini ha reinventato il Moncler. Oltre oceano Lululemon, che ha fatto fortuna grazie allo yoga (ricavo nel trimestre +88%), ha presentato in questi giorni il suo nuovo progetto: tappettini e borse per la meditazione realizzati in Mylo, un materiale che simile alla pelle creato attraverso le radici dei funghi. “Per noi sfruttare un materiale come Mylo dimostra il nostro impegno a creare un ambiente più sano attraverso prodotti a basso impatto”.