Lo scontro sull’energia tra Russia e Europa è appena all’inizio ma porterà enormi cambiamenti. “Nessun Paese controlla il Sole o il Vento”. Parla così, con un piglio da cantautrice Janet Yellen, la segretaria al Tesoro Usa, rivolgendosi ai giornalisti prima dell’incontro con i ministri delle Finanze del G7. Sì alle rinnovabili, dunque, perché “questa dev’essere l’ultima volta in cui l’economia globale è ostaggio di chi controlla l’energia fossile”.
Vaste programme, direbbe il generale De Gaulle, che impegnerà buona parte delle risorse della Ue nei prossimi anni: fino a 300 miliardi di euro entro il 2030 per porre fine alla dipendenza del blocco dal petrolio e dal gas russo. “L’Italia – ha sottolineato Mario Draghi al Senato – potrebbe rendersi indipendente dal gas russo nel secondo semestre del 2024. E i primi effetti di questo processo si vedranno già alla fine di quest’anno”.
Lo scontro sull’energia: saltano i progetti Lng
Ma l’Europa può davvero emanciparsi dall’energia russa? E’ credibile l’obiettivo dell’indipendenza dal gas in meno di due anni? Per capirlo serve fare il punto sui danni inferti all’industria russa del settore è un lungo servizio dell’analista Stanley Reed sul New York Times. Il risultato? Il boicottaggio delle Big Oil occidentali ha, innanzitutto, inflitto un duro colpo ai progetti russi di espansione nella produzione di gas liquefatto, la grande risorsa per il futuro dell’economia che passa dal completamento di Arctic Lng 2, l’enorme investimento sotto il Polo Nord lasciato a metà dopo che sono scattati i veti dell’Unione Europea alla vendita di apparecchiature per l’estrazione del gas a temperature polari. “In queste condizioni è quasi impossibile completare il progetto” ha commentato il Ceo della francese TotalEnergies Patrick Pouyanne. E così il colosso parigino, che vanta il 10% della jv, ha cancellato asset per 4,1 miliardi di euro.
Fino a pochi mesi la strategia russa faceva grande conto sull’espansione della produzione di gas liquefatto, un settore finora dominato dal Qatar, dall’Australia e dagli Stati Uniti. L’interesse era dettato dalla volontà di allargare la sfera commerciale del gas che oggi viaggia solo sui gasdotti verso l’Europa continentale. Di qui i progetti sull’isola di Sakhalin con Shell e con Exxon Mobil, entrambi avviati alla chiusura. La Russia dovrà così dimezzare i progetti di produzione previsti per la fine del decennio.
Energia, Mosca nei guai anche sul petrolio
I guai di Mosca non finiscono qui. Causa l’assenza di un sistema di stoccaggio adeguato, la produzione di petrolio è scesa di 900 mila barili ad aprile con la prospettiva di perdere fino a tre milioni di barili entro la fine dell’anno. Il peso del Paese nel mercato dell’energia subirà senz’altro un forte ridimensionamento, compresa la rottura dell’accordo per la costruzione di un reattore (7 miliardi di euro) per l’energia nucleare già siglato con la Finlandia. Al punto che alcuni analisti non escludono che Mosca sia costretta a cedere la co-presidenza dell’Opec+ nonostante la prudenza esercitata finora dall’Arabia Saudita.
Ma grazie al caro-prezzi sono triplicati gli incassi del gas
Insomma, vista da Est, la situazione presenta non poche incognite. Ma ciò non toglie che dall’inizio della guerra in Ucraina Mosca abbia incassato 26 miliardi di dollari dalle vendite di gas, più di tre volte di quanto incassato l’anno prima, grazie all’aumento dei prezzi. Diversi analisti spiegano poi che le condizioni dell’industria estrattiva in questi anni hanno compiuto progressi, come dimostra la crescita della produzione dal 2014 e lo sviluppo di tecnologie domestiche da parte di Novatek. In sintesi, come dice un analista di Bernstein, “la Russia resta una grande potenza petrolifera, ma assai meno forte di qualche anno fa”. Questo potrebbe spingere Mosca, che ha comunque bisogno delle entrate assicurate dal gas, di tentare un blitz, prima che s’invertano i rapporti di forza con l’ingresso di nuovi protagonisti. A dare concretezza ai timori europei è la riduzione dei flussi di gas di almeno un terzo: 49 milioni di metri cubi lunedì, 51,6 milioni ieri causa la chiusura di una stazione di pompaggio in Ucraina.
E’ in questa cornice che s’inquadra la sfida europea, tutt’altro che facile in tempi di aumento del costo del denaro e di possibile recessione. Le misure previste dal RePowerEu per diminuire la dipendenza energetica da Mosca non sono solo una risposta ambiziosa ed articolata in più capitoli (transizione verde, idrogeno e pannelli solari). Ma anche l’occasione di affiancare, finalmente, alla politica monetaria scelte fiscali all’altezza delle ambizioni della Ue. Un fiume di miliardi è in arrivo: 86 per le sole energie rinnovabili, 27 per le infrastrutture a idrogeno, 29 per le reti elettriche e 56 dedicati a progetti per il risparmio energetico.