L’occasione, ok definitivo del Consiglio Affari generali dell’Ue all’ingresso della Lituania nell’Eurozona dal primo gennaio 2015, era invitante; e Jyrki Katainen, neo-commissario europeo per gli Affari economici e monetari, l’ha colta al volo. Così, nel complimentarsi con il piccolo Paese baltico per i progressi ottenuti grazie alle riforme e a un’accorta gestione delle politiche di bilancio, ha lanciato un chiaro messaggio ai governi degli Stati membri che sollecitano l’Europa ad allentare la morsa del rigore finanziario e ad impegnarsi maggiormente in direzione della crescita economica.
“La Lituania – ha affermato Katainen, che si è dimesso da primo ministro finlandese proprio con il preciso obiettivo di dedicarsi all’Europa per proseguire lungo la strada dell’austerità percorsa con determinazione dal suo predecessore e connazionale Olli Rehn – entrerà in Eurozona da una posizione di forza grazie a una crescita del suo prodotto interno lordo superiore al 3% annuo dal 2011 a oggi (e un deficit limitato al 2% l’anno – n.d.r.), con la previsione di ulteriore espansione economica allo stesso ritmo”.
Il messaggio che con queste parole il neo-commissario indirizza a tutti gli Stati membri Ue è chiaro: riforme e rigore finanziario, intende dire, sono la strada maestra e continueranno a esserlo se si vuole completare il risanamento dei bilanci pubblici e favorire il rilancio dell’economia. Una linea, questa sostanzialmente indicata da Katainen, che almeno in parte ha trovato conferma nei risultati raggiunti dalla Lituania nella sua corsa verso l’Eurozona e che, piaccia o no, non si discosta da quella seguita dal suo predecessore Olli Rehn.
Ma, se i dati sulla Lituania citati da Katainen offrono supporto oggettivo alla strategia dell’austerità da lui perseguita, a qualcuno potrebbe risultare difficile sottovalutarne altri che potrebbero far nascere qualche dubbio sull’efficacia, dovunque e comunque, di quella strategia. Come per esempio, con riferimento sempre al Paese baltico, un livello stabilmente basso del Pil pro capite o una burocrazia considerata lenta e poco efficiente.
Ora, a parte le motivazioni addotte dal neo-commissario a sostegno delle scelte di politica economica e finanziaria che hanno condotto la Lituania a raggiungere i parametri richiesti per poter entrare nel club dell’euro, ci si può chiedere se vi siano state altre ragioni che hanno indotto questo Paese ad accettare sacrifici importanti pur di accedere alla moneta unica.
In sintesi si potrebbe rispondere che sono state sostanzialmente due. Innanzi tutto la necessità di allinearsi all’ingresso nell’euro dell’Estonia nel 2011 e della Lettonia all’inizio di quest’anno, per evitare che il naturale rafforzamento dei rapporti commerciali fra questi due Paesi e il resto dell’Unione europea potesse lasciare fuori gioco Vilnius. E inoltre il timore che la Lituania (il cui approvvigionamento energetico dipende totalmente dalle fonti russe) potesse rimanere esclusa dal flusso di investimenti esteri al quale tutta l’area baltica aspira per affrancarsi almeno un po’ dall’inevitabile dipendenza geopolitica dai due grandi vicini, la Russia e la Polonia.
Infine, quanto giova alla “famiglia” della Zona euro l’imminente adozione della moneta unica da parte della Lituania? A questa domanda il nostro sottosegretario agli Affari europei Sandro Gozi, che ha presieduto quel Consiglio Affari generali, risponde affermando che l’evento “riveste una grande importanza per l’intera Eurozona poiché mostra che la moneta unica conferma tutte la sua forza di attrazione”. Opinione condivisa dal primo ministro lituano Algirdas Butkevicius, secondo il quale “una più spinta integrazione dell’Eurozona è anche una più grande garanzia di sicurezza per tutti”.