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L’Italia resta la seconda meta più ambita dagli studenti Usa, ma pochi studenti nostri vanno lì

L’Italia affascina sempre. Sarà la storia, l’arte, la cultura, ma il Bel Paese attira ogni anno milioni di persone. Turisti, lavoratori, ma anche studenti. Persino dagli Stati Uniti d’America, il Paese nel mondo che più ospita giovani dall’estero che vengono a formarsi (o specializzarsi) nelle prestigiose università nordamericane.

Insomma, noi che ci lamentiamo del nostro sistema accademico, all’estero ci andiamo ancora troppo poco. Chi invece vanta una rete universitaria che attira ragazzi da tutto il mondo, spesso e volentieri sceglie l’avventura fuori casa. E il più delle volte, proprio nella terra di Dante.

I dati sono contenuti nel rapporto «Open Doors» dell’Institute of International Education (IIE), l’organizzazione americana che gestisce gli scambi accademici da e per l’estero, e le borse di studio Fulbright.

L’Italia è infatti nella top five delle destinazioni preferite, con 28mila presenze, dietro solo alla Gran Bretagna con 32.600 arrivi, mentre la Spagna cresce e si piazza al terzo posto con 25mila. Quarta e quinta Francia e Cina, mentre più indietro sono Germania, Irlanda, Australia, Messico e Giappone con meno di 10mila ragazzi “scambiati”.

I costi vanno da 4.200 dollari per l’estate, fino a 10.300 per un semestre. La maggior parte degli iscritti vengono a studiare in inglese materie utili per la loro laurea americana, ma comunque scelgono di farlo in Italia. “La ragione – spiega Allan Goodman, presidente dell’IIE – è che voi avete tutto: un bellissimo Paese, con una grande tradizione culturale, dove si può studiare dall’economia alla moda. Siete sempre stati un’ispirazione per gli Stati Uniti, e molti americani hanno radici da voi“.

La prospettiva però si ribalta andando a vedere i dati dell’incoming, ovvero da quali Paesi provengono gli studenti che scelgono gli States per lauree, dottorati, specializzazioni, masters? In quel caso gli italiani, i famosi “cervelli in fuga”, sono appena 4.308, contro 9.458 tedeschi, 8.947 inglesi e 8.098 francesi, per non parlare dei 157.558 cinesi o dei 103.895 indiani, che sono i primi due Paesi di provenienza davanti a Corea del Sud, Canada e Taiwan (da sole, queste 5 nazioni rappresentano il 54% del flusso). Anche il Kenya ci batte, con 4.666 studenti.

Come mai? “Io credo risponde Goodman – che molto dipenda dalla crisi economica. I costi delle nostre università sono arrivati alle stelle, e parecchi faticano a sostenerli, anche perché due terzi degli studenti stranieri negli Stati Uniti non ricevono borse di studio e devono pagare tutto da soli”.

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Ma la crisi c’è per tutti, figurarsi per i keniani. Se noi siamo indietro rispetto a tedeschi, inglesi, francesi e spagnoli (4.330), è perché forse diamo meno importanza all’aspetto internazionale dell’istruzione, che invece cresce negli Usa ed ovunque.

E cosa si va principalmente a studiare negli Usa? Soprattutto Business e Management, di cui i cinesi sono i più grandi frequentatori, mentre gli indiani sono destinati a diventare futuri ingegneri. I coreani, per esempio, sono più estrosi, e scelgono anche Scienze sociali, Arti, e un non meglio specificato “altro” al 15%.

In ogni caso, una cosa è certa: sia da una parte che dall’altra il biglietto non è quasi mai di sola andata. “Cinesi e indiani vengono in massa – spiega Goodman – perché sono di più, ma anche perché stimano la qualità dell’educazione che ricevono qui. Lo dimostra il fatto che la maggioranza torna a lavorare nei paesi d’origine: non vengono a cercare un posto, ma a specializzarsi“. Una ragionamento che fanno anche gli americani: “I nostri studenti all’estero aumentano perché giudicano fondamentali queste esperienze. Vedono il loro futuro nell’economia globale, e per avere successo in questo mercato devi avere gli occhi aperti sul mondo“.

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