I titoli di stato italiani e in generale la situazione in generale del nostro paese potrebbe essere più appetibile per gli investitori di quello degli altri maggiori stati, come Germania e Francia, dicono gli analisti. L’Italia non è piuù considerato il maytalto d’Europa come un tempo. Ciò potrebbe tradursi in un circolo virtuoso per l’Italia con la riduzione dello spread Btp/bund, già ai minimi di oltre 3 anni, fin sotto i 100 punti base, da un miglioramento del rating e a catena a una riduzione dell’imponente zavorra della spesa per interessi sul gigantesco debilto. Certo, non che tutti i problemi dell’Italia, gravata da un debito monster, siano svaniti. Ma per una volta gli strategist sono più ottimisti.
L’Italia non è più il malato d’Europa
I problemi dell’Italia non sono svaniti con una bacchetta magina. La terza economia della zona euro mostra una crescita non sfolgorante e un debito (il secondo più grande dell’area dell’euro) che continuerà ad aumentare fino al 2026. Ma per molti investitori i conflitti in Francia e Germania sembrano più immediati. “L’Italia non è più considerata il malato d’Europa”, ha affermato a Reuters Christopher Dembik, consulente senior per gli investimenti di Pictet AM facendo riferimento all’etichetta affibbiata all’Italia nel maggio 2005 da The Economist. Oggi, ha osservato anche il governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta “quando parlano del grande malato d’Europa tendono a indicare la Germania. Le cose cambiano”. Chiaro il riferimento alla difficile congiuntura economica con cui è alle prese l’ex “locomotiva” tedesca, che deve fronteggiare per il terzo anno consecutivo una recessione che sta mettendo in discussione il suo stesso modello produttivo.
In Italia la crescita rallenta ma non è più il fanalino di coda. Le ultime previsioni economiche messe a punto dalla Commissione europea fissano allo 0,7% la crescita del Pil per l’anno in corso. A maggio la stima era dello 0,9%, contro l’1% previsto dai documenti programmatici del Governo.
I Btp risultano più attraenti di Oat e Bund. Anche per i giapponesi
Lo spread di rendimento tra i Btp di riferimento italiani e i Bund tedeschi si è ridotto questo mese a un minimo di oltre tre anni. E con la Germania vicina alla recessione, gli specialisti obbligazionari si aspettano che questa tendenza continui e potrebbe accelerare.
I mercati considerano inoltre i Btp italiani, relativamente ad alto rendimento, un’alternativa interessante agli Oat francesi, mentre Parigi è alle prese con sconvolgimenti politici e di bilancio. In particolare, gli investitori giapponesi stanno ora passando dal debito francese a quello italiano, ha affermato Dembik. Il governo italiano ha ricevuto l’ordine dall’UE di ridurre il deficit, ma i mercati ritengono le misure restrittive pianificate dal Primo Ministro Giorgia Meloni, stabilmente al potere dopo due anni di mandato, più convincenti del caos a cui si sta assistendo in Francia. Con il restringimento degli spread di rendimento in tutta la zona euro, Althea Spinozzi, responsabile della strategia a reddito fisso di Saxo Bank, dice che un restringimento “impensabile” in precedenza dello spread BTP-Bund a zero è ora possibile. Invece Francesco Maria Di Bella, strategit di UniCredit dice che è improbabile che lo spread BTP-Bund, che in questi giorni si aggira intorno ai 115 punti base, scenda sotto i 100 punti base.
Il beneficio sull’intero debito: al pari di una manovra da 17.000 miliardi
Il calo dello spread alleggerisce anche la zavorra rappresentata dagli interessi pagati sul gigantesco debito dell’Italia. Nella prima metà di dicembre, dice l’Ufficio Parlamentare di Bilancio, la riduzione di 35 punti base da inizio agosto nel differenziale tra Btp e Bund decennali (minimi degli ultimi tre anni) porta le curve dei rendimenti italiani a un livello più basso in media di circa 30 punti base l’anno rispetto alle stime 2025-2029 delineate dal Piano Strutturale di Bilancio. Nello stesso periodo, i rendimenti dei titoli italiani hanno registrato una riduzione sia sulle scadenze a breve (-60 pb) sia su quelle a lungo termine (-45 pb) complici anche i tagli dei tassi Bce. Il che si traduce in una riduzione della spesa per interessi (che oggi si attesta sui 100 miliardi e nel 2025 dovrebbe salire a 112 miliardi) di 17,1 miliardi così suddivisi: 1,7 miliardi il prossimo anno, 2,6 miliardi nel 2026, 3,6 miliardi nel 2027, 4,5 miliardi nel 2028 e 4,7 miliardi nel 2029. In termini di pil, l’impatto positivo sarebbe dello 0,1% annuo nel 2025-27 e dello 0,2% annuo nel 2028-29.
Benefici su deficit e debito
Effetti favorevoli, sottolinea l’ufficio guidato da Lilia Cavallari, si avrebbero poi nel breve-medio termine anche sul disavanzo (altro tasto dolente dell’Italia, che a giugno è finita in procedura di infrazione Ue per deficit eccessivo in relazione al 2023) e sul debito: una buona notizia alla vigilia di un 2025 in cui il debito pubblico (che ad ottobre Bankitalia quantifica a 2.981,3 miliardi) si prepara a superare la soglia psicologica dei 3 mila miliardi.
Nel 2025 verranno emessi meno titoli rispetto al 2024
Il ministero dell’Economia e delle Finanze ha annunciato che nel corso del 2025 le esigenze di finanziamento saranno determinate dalle scadenze dei titoli in circolazione che, al netto dei BOT, saranno pari a circa 234 miliardi di euro e dal nuovo fabbisogno del settore statale dell’anno che, in base alle stime di finanza pubblica, dovrebbe attestarsi intorno ai 135 miliardi di euro, si legge nelle Linee Guida per la Gestione del debito pubblico.
Considerando i prestiti del pacchetto NextGenerationEU (Ngeu), lo strumento temporaneo pensato per stimolare la ripresa, e l’attività di gestione delle disponibilità di cassa, il Mef, guidato dal ministro Giancarlo Giorgetti, ha reso noto di stimare emissioni lorde complessive di titoli a medio lungo termine in un intervallo compreso tra i 330 ed i 350 miliardi di euro, in calo rispetto alle emissioni del 2024, quando sono stati emessi titoli a medio-lungo termine per 361 miliardi di euro (senza tenere conto dei 16 miliardi emessi via concambio) e poco oltre 171 miliardi di euro di Bot. E come si sa, la riduzine dell’offerta fa crescere la domanda.
I rischi dell’Italia ancora in essere
Certo, l’attenzione degli operatori è anche per la situazione in generale. L’indebolimento dell’economia italiana potrebbe compromettere il promesso consolidamento fiscale, la diminuzione dei rendimenti dovuta ai tagli dei tassi della Bce potrebbe rendere i titoli italiani meno attraenti, oppure un ritorno del sentiment globale di avversione al rischio potrebbe colpire i Btp. Un altro rischio potrebbe venire dalla Francia stessa, ha detto a Reuters Aymeric Guedy, co-gestore della società francese di gestione patrimoniale Carmignac. “Finora la crisi politica e fiscale francese non ha avuto alcun impatto sugli spread europei più ampi, ma se dovesse accelerare e trasformarsi in una crisi finanziaria, i Btp non ne saranno immuni”. Un altro fattore importante che determinerà le sorti dell’Italia sarà se riuscirà a continuare a rispettare “i traguardi e gli obiettivi” politici per ricevere decine di miliardi di euro dal Fondo di ripresa post Covid-19 dell’Unione europea , affermano gli analisti. Finora Roma ha avuto i requisiti per ricevere le rate regolari, ma in alcuni casi non ha mostrato i migliori risultati nell’investire in modo produttivo le risorse. “La crescita nel 2025 dipenderà in modo cruciale da come verranno spesi i fondi del Recovery Fund”, ha affermato Paolo Pizzoli, economista senior di ING. Occorrerà poi quantificare l’impatto che gli Usa vorranno imporre sull’Europa.
Le valutazioni delle agenzie di rating
Se tutto va nel migliore dei modi, secondo gli analisti, le agenzie di rating potrebbero svolgere un ruolo significativo nel 2025, prevedendo che spread più stretti potrebbero innescare miglioramenti per l’Italia e altri paesi periferici. “Le agenzie potrebbero trovare più facile premiare che punire” dice Filippo Mormando, strategit del reddito fisso di Bbva. Fitch e DBRS hanno alzato l’outlook dell’Italia a positivo a ottobre, lasciando invariato il suo rating. Moody’s, che inaspettatamente ha declassato la Francia questo mese, valuta ancora l’Italia solo un gradino sopra il livello “junk”, ma con un outlook stabile.
E’ la Germania ora il malato d’Europa
Il problema numero uno per la Germania, colpita da una crisi industriale che potrebbe peggiorare a causa dei dazi promessi dal presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump, si chiama ora stagnazione/recessione, con le elezioni che si avvicinano a febbraio. È la stessa Commissione Ue a segnalare che quest’anno la Germania vedrà il proprio Pil flettere dello 0,1%, per poi crescere dello 0,7% nel 2025 e dell’1,3% nel 2026. Previsioni messe a punto in base ai dati disponibili al 31 ottobre, che non incorporano le possibili conseguenze economiche della svolta protezionistica negli Usa. Secondo alcune recenti stime di diversi istituti di ricerca, i dazi di Trump ridurrebbero la crescita dell’eurozona dell’1,5% entro il 2028 e fino all’1,6% del Pil tedesco.
Non pare aver alcun problema invece la Germania sul versante del deficit che dovrebbe attestarsi quest’anno al 2,2%, nel 2025 al 2% e all’1,8% nel 2026, e ancor meno sul fronte del debito che nel 2023 era al 63,6% del Pil e che dovrebbe mantenersi stabile attorno al 63 per cento. In discussione il freno all’indebitamento inserito nella Costituzione nel 2009, poi sospeso per far fronte al Covid e alla crisi energetica. La stagnazione dell’economia sta riaccendendo il dibattito in Germania, che peraltro a febbraio andrà alle urne.
Per quanto riguarda la Francia, il Pil è indicato quest’anno all’1,1%, allo 0,8% l’anno prossimo, per risalire all’1,4 nel 2026. Male il deficit (attorno al 6%) e il debito (112,7%). La Spagna evidenzia numeri incoraggianti: Pil al 3,% quest’anno e al 2,3% nel 2026, deficit al 2,6%, debito poco sopra il 100%. Il punto debole della Spagna rimane invece la disoccupazione, che quest’anno sarà dell’11,5%.