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L’Italia in testa nella ripartenza

FIRSTonline - Lorenzo Gennari

I primi saranno i primi, non gli ultimi. Con molte scuse al Vangelo secondo Matteo, l’Italia, che è stata la prima in Europa a essere pesantemente colpita dal virus, potrà essere anche la prima ad uscire da questo tragico tunnel.

Gli indici PMI italici segnalano un rimbalzo più marcato rispetto agli altri Paesi e si allarga l’evidenza aneddotica di una forte voglia di ripresa.

Naturalmente, la ripresa non assomiglierà alla partenza del Falcon 9 verso la ISS (che non è l’Istituto Superiore di Sanità, ma l’International Space Station), ma neanche è probabile una ricaduta, dato che il virus appare in netta ritirata.

Fuori d’Italia, preoccupa la situazione epidemica in America (Nord e Sud): le popolazioni latinoamericane non amano il distanziamento (specie quando vivono, non per scelta, nelle favelas) e le proteste in Usa creano assembramenti…

Comunque, il supporto all’economia – dai bilanci e dalla moneta – è impressionante, un po’ dappertutto, anche se non potrà compensare in toto né i danni emergenti né i lucri cessanti.

I grandi previsori – dal Fondo monetario all’Ocse alla Commissione Ue – stanno rifacendo i calcoli del Pil ma sono senza bussole: la storia passata non ha niente che possa indicare la traiettoria di un’economia ferita da un virus, e i modelli econometrici non sono attrezzati per tenere in conto i cigni neri, che in quanto tali sono imprevedibili.

Invece della bussola ci contentiamo di guardare ai dati giorno per giorno. I dati di maggio segnalano un variegato “meno peggio” rispetto al nadir di aprile (o di febbraio per la Cina). E preghiamo per il vaccino.

Ma forse non servirà attendere e arrivare a tanto: se verranno confermate le evidenze cliniche italiane, che inanellano una fila di zero nei nuovi ospedalizzati, il virus verrà derubricato da angelo della morte a una grave influenza. Contro cui le equipe mediche italiane hanno messo a punto una terapia vincente riscoprendo antiche cure.

L’inflazione ignora i fiumi di nuova moneta che sciacquano per il mondo, e la temperatura dei prezzi è in discesa, a livello sia dei prezzi al consumo che di quelli alla produzione.

Il fattore principale sta nella debolezza della domanda, e poi c’è la (ri)scoperta delle vendite online, che aumentano la loro quota sul totale, schiacciando i margini dei produttori. E ancora ci sono gli eserciti industriali di riserva, come li avrebbe chiamati Marx, ingrossati dalle enormi perdite di posti di lavoro.

Nel mercato del greggio i tagli alla produzione, forzati dalla caduta delle vendite di derivati (trasporti e mobilità sono stati pesantemente colpiti), hanno riportato le quotazioni poco sotto i 40 dollari: un livello comunque molto più basso rispetto ai 50-70 d/b che prevalevano nel 2018-2019. Un livello, tuttavia, che permette al petrolio da scisti americano di sopravvivere. Le altre materie prime danno segnali di stabilizzazione, di seguito alla migliorata salute medica ed economica dell’assorbitore numero uno, la Cina.

I tassi a lunga, sia in America che in Germania, hanno smesso di discendere e danno leggeri segnali di risalita (se così si può chiamare, in Germania, un tasso un po’ meno negativo). Piace pensare che questi cenni di risalita siano dovuti al “meno peggio” delle prospettive di domanda, dato che non possono essere dovuti alle difficoltà di finanziamento degli immani deficit di bilancio: a quelli provvede il pozzo di San Patrizio delle Banche centrali.

In Italia i rendimenti dei BTp sono di nuovo – ma questa volta beneficamente – in controcorrente: dopo essere saliti quando gli altri rendimenti stavano fermi, ora sono scesi, grazie all’Europa e al massiccio sostegno che si profila. Ma ogni rosa ha le sue spine: la discesa dell’inflazione appesantisce i tassi reali.

L’ euro questa volta si rafforza: nella staffetta fra differenziali di tassi e differenziali di crescita un mese prevale l’uno e un mese prevale l’altro. Ma questa volta c’è un altro convitato al tavolo delle valute: l’Europa ha battuto un colpo con il Recovery Fund e altre misure; i capitali internazionali si stanno accorgendo che i Paesi europei sono capaci di accordarsi e contrastare la mazzata del coronavirus. E le manifestazioni e le proteste in America per le note vicende razziste non aiutano certo il biglietto verde. Le rinnovate tensioni fra Usa e Cina (complice il caso di Hong Kong) hanno colpito (col beneplacito di Pechino), lo yuan, che peraltro si è un po’ ripreso negli ultimi giorni.

Le Borse continuano a credere nel migliore dei mondi possibili, e magari hanno ragione. Ma, così come hanno previsto – la vecchia battuta è di Paul Samuelson – sette delle ultime cinque recessioni, potranno anche prevedere sette delle ultime cinque riprese.

I dati di contabilità nazionale sui profitti netti delle società americane nel 1° trimestre di quest’anno, in caduta di oltre 100 miliardi di dollari, continuano a segnalare una sopravalutazione delle quotazioni di Wall Street. Questo non è un invito a comperare put sulla Borsa americana. Come osservò un altro grande economista, Keynes: «Il mercato può rimanere irrazionale più a lungo di quanto tu possa rimanere solvente».

A seguire i tre articoli sull’economia reale, sull’inflazione e su tassi, moneta e cambi

I termo-scanner della congiuntura mettono il Belpaese in pole nella ripresa
Giù i tassi sui BTP, su quelli su T-Bond e Bund. L’euro risale. Le Borse insistono sull’ottimismo
Fiducia nelle banche centrali e incertezza terranno a bada l’inflazione

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Categories: Economia e Imprese