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L’Italia e le sbandate in politica estera: ci si può ancora fidare di noi? “L’inesperienza si corregge, l’ideologia no”. Parla Silvestri

FIRSTonline

Ci si può fidare dell’Italia in politica estera? Prendiamo la guerradella Russia contro l’Ucraina. Da Draghi a Meloni, il governo italiano è stato con chiarezza accanto a Kiev, saldando un asse forte con i paesi occidentali, Usa in primis, contro Putin e la sua politica imperiale. Eppure, appena i soldati ucraini, con un blitz che ha sorpreso e imbarazzato lo zar, hanno superato il confine portando la guerra sul suolo russo, ecco che arriva una dichiarazione inaspettata del ministro della Difesa Guido Crosetto che, sostenendo che “nessun Paese deve invaderne un altro”, rimette sullo stesso piano l’aggredito e l’aggressore. Stonando fra l’altro clamorosamente nel coro occidentale sia in Europa, la cui dichiarazione ufficiale è stata “l’Ucraina ha il diritto di attaccare il nemico ovunque lo ritenga necessario”; e sia in Usa, dove gli americani hanno ribadito che “spetta all’Ucraina decidere in merito a questa offensiva”.

E quindi, sebbene dopo la polemica suscitata per la sua esternazione Crosetto abbia dichiarato in una lettera a Corriere della Sera che l’Italia resta “affidabile, seria e salda” al fianco dell’Ucraina, la domanda sul posizionamento del nostro Paese resta più attuale che mai. Insomma, chi sono i nostri alleati in politica estera?

Se lo chiede Stefano Silvestri, osservatore acuto di geopolitica ed esperto in affari militari, già Presidente dello IAI durante una conversazione con FIRSTonline per fare il punto proprio sulla guerra russo-ucraina.

Come giudica questo tentennamento da parte dell’Italia, professor Silvestri?

“Era già accaduto dopo il voto europeo quando, nonostante un buon successo elettorale, Meloni non è riuscita a contare nella costruzione del nuovo assetto politico, rinchiudendosi in scelte avventate che l’hanno indebolita e isolata. Ora rischia di perdere anche il credito ottenuto in America proprio grazie alla posizione netta avuta fin qui sull’Ucraina. Insomma, se la premier non è d’accordo con la politica europea e non è d’accordo con quella americana, mi domando con chi sia d’accordo.  Dando per scontato che non sia nemmeno dalla parte di Putin. Con chi schiera l’Italia? Non solo con Orban spero…”

Perché accade questo? Questione ideologica? Sta venendo fuori la vera pelle della destra?

“Spero vivamente che non si tratti di ideologia ma solo di inesperienza, una specie di mancanza di pratica geopolitica. E mi sta bene anche un po’ di gelosie, di orgoglio mal riposto, chi ha telefonato a chi. Tutti peccatucci veniali, in fin dei conti. Ma se le scelte fossero ideologiche sarebbe un problema serio per il Paese. Voglio credere che non sia così perché a inesperienza e problemi caratteriali si può porre rimedio, ma alla ideologia no, come abbiamo imparato dalla nostra storia”.

Veniamo alla guerra: che cosa ha portato gli ucraini a decidere per lo sfondamento e la penetrazione nel territorio russo?

“L’attacco ha molte ragioni, provo a elencarne le principali. La prima è del tutto militare: l’Ucraina ha voluto praticare quello che si chiama diversione e alleggerimento del fronte, per obbligare la Russia a spostare le truppe dai territori invasi in un altro settore. La seconda ragione invece è del tutto politica: si è voluto dare un colpo all’immagine interna di Putin ricordando ai cittadini russi che non solo stanno conducendo una guerra, ma la stanno anche subendo, con distruzioni e gente evacuata, con territori presi e da riconquistare. Un’azione che mostra ai russi che il re è nudo e che l’operazione speciale non è operazione di polizia, ma appunto una guerra, con tutte le sue conseguenze. La curiosa posizione di Putin, che ha definito l’attacco un atto terroristico, è poco credibile anche visto da Mosca, poiché un atto terroristico normalmente è un unico colpo, a sorpresa, fa anche molto male, ma non costringe la gente a lasciare le proprie case, a fuggire. Questa cosa si può chiamare solo con un nome: guerra. Terza ragione: siccome si parla di trattative, questa offensiva rafforza la posizione negoziale degli ucraini perché hanno qualcosa da dare in cambio a Mosca, territorio contro territorio. Senza contare che tutto questo riporta in equilibro la direzione strategica del conflitto, perché è impossibile che si possa vincere una guerra stando solo sulla difensiva. Così come l’offensiva non può essere solo la riconquista del proprio territorio, ma anche attaccare e dove il nemico non se lo aspetta. Infine, quarta e ultima ragione: l’offensiva rafforza gli ucraini anche nei confronti dei loro alleati, nel senso che molte delle limitazioni loro imposte sono state spazzate via, lo dimostra la rapida adesione dei Paesi più importanti alla nuova situazione che ora permette a Kiev di poter usare in maniera offensiva i nuovi armamenti”.

Perché adesso? Che cosa è cambiato?

“Intanto l’arrivo dei nuovi armamenti è stato importante; e poi c’è stata la consapevolezza da parte di Kiev di non riuscire a sfondare le linee russe ormai troppo fortificate; cosa che ha portato alla decisione classica prevista dalla scuola militare: quando non riesci nell’attacco frontale devi procedere nell’avvolgimento del nemico. Lo colpisci cioè in un altro punto. Cosa che è accaduta”.

Secondo lei gli alleati, gli USA per esempio, sono stati allertati dagli ucraini del cambio di strategia?

“Secondo me si, mi sembrerebbe strano il contrario; anche per ragioni politiche, non rischi di mettere in imbarazzo i tuoi alleati subendo magari dichiarazioni sbagliate. Ed è evidente che gli ucraini hanno avuto il fuoco verde”.

Quanto peserà questa offensiva nel futuro della guerra?

“Tutto dipende da quante forze gli ucraini avranno pensato di investire in questa offensiva e dove vogliono arrivare, tenendo conto che i russi a questo punto sono costretti a reagire per ricacciarli indietro. Io però non credo che gli ucraini si spingeranno molto nel territorio russo, troppo complicato e oneroso in uomini e mezzi mantenerlo. E poi, da quel che si sa, non hanno utilizzato molti uomini, un paio di brigate in tutto. Cioè una guerra con una forza consistente ma limitata, che significa un’offensiva opportunistica, per umiliare, non per conquistare una regione”.

Offensiva simbolica quindi?

“Simbolica, sì ma anche sostanziale. Perché ha messo in grande imbarazzo Mosca”.

Cosa ci dobbiamo aspettare a questo punto?

“I russi devono assolutamente reagire, non possono tenersi il disonore; quindi, faranno di tutto per ricacciare gli ucraini nei loro confini. Ma nel frattempo perderanno tempo e uomini, senza contare i guai che hanno con i civili messi in fuga, almeno 200 mila persone si è detto. L’idea di sfondare il territorio russo agli ucraini deve avergliela data il semi-golpe, cioè l’avanzata dei mercenari di Prigozhin verso Mosca senza incontrare nessuno a fermarli. Secondo me hanno studiato quella galoppata che sarà stata forse permessa da Putin per ragioni politiche, ma di sicuro ci saranno state anche difficoltà dell’esercito a bloccare quei ribelli. E così è stato: gli ucraini non hanno incontrato resistenza”.

Aiuterà tutto ciò ad arrivare alla pace?

“Gli ucraini stanno cercando di costringere Putin a ripensare alla sua strategia con una tattica che una volta si sarebbe chiamata “guerra di corsa”, più nota come quella dei “corsari”. Quando cioè si vuole arrecare quanto maggiore danno al nemico, “correndo” appunto a caccia dei nervi deboli, all’epoca delle navi piene di ricchezze, oggi con blitz nel suo territorio. Normalmente ciò avviene quando un protagonista di minore forza si scontra con uno più grande. I piccoli non sono forse decisivi, ma spesso fanno molto male. Più presto lo zar lo capisce e più presto la guerra finirà”.

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