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L’Irlanda e il paradosso dell’abbondanza: la ricchezza della nazione non la rende felice e non allevia il disagio sociale

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L’Irlanda oggi è ricca, ma questo non vuol dire che sia anche felice. Anzi. Un tempo tra le nazioni più povere d’Europa, infatti, l’Irlanda vive oggi un fenomeno che si potrebbe definire “paradosso dell’abbondanza”. È successo che nell’ultimo ventennio ricchezza pubblica e privata sono cresciute esponenzialmente, trainate da un’economia aperta e dinamica.

Irlanda, il paradosso dell’abbondanza

Ma, nonostante questa grande crescita economica e la diminuzione della disoccupazione, un problema endemico del Paese, molti cittadini sentono di essere tagliati fuori dai benefici della prosperità.
Un “sentiment” già molto diffuso in Europa che ha prodotto un terremoto politico e favorito l’ascesa delle destre radicali. Gli irlandesi, tuttavia, hanno saputo resistere al fascino di quest’ultime e il paese continua a essere guidato da una coalizione centrista che è uscita sostanzialmente confermata dalle elezioni di fine novembre.

La destra radicale non è riuscita a radicarsi come in altri Paesi forse perché l’idealizzazione di un passato mitico al quale richiamarsi stenta ad affermarsi in una società, quale quella irlandese, che porta ancora le cicatrici della povertà, dell’emigrazione e della repressione religiosa. Tuttavia, le recenti elezioni non hanno mancato di rilevare le crepe della società irlandese. Il divario tra la salute macroeconomica e la percezione individuale del benessere è accentuato dal fatto che il grande motore della trasformazione del Paese è esterno: le multinazionali straniere hanno ruolo predominante nell’economia irlandese. L’attrazione esercitata dall’isola sul capitale straniero, alimentata da una tassazione agevolata e da un ambiente d’affari favorevole, ha indubbiamente contribuito alla crescita, ma ha anche generato tensioni sociali.

Irlanda, una pioggia di investimenti stranieri

L’Irlanda è diventata un vero e proprio magnete per gli investimenti stranieri, in particolare per le multinazionali americane. Aziende come Apple, Pfizer e Microsoft hanno scelto l’isola come base europea, contribuendo a trasformare radical-mente l’economia irlandese. Queste società spendono più di 40 miliardi di dollari all’anno in un paese con una popolazione di poco più di cinque milioni di abitanti.
Nel 2022, gli investimenti diretti esteri provenienti dagli Stati Uniti hanno superato i 574 miliardi di dollari, una cifra enorme che è tre volte tanto quella dell’investimento americano totale in Cina e India messe insieme.

Questo afflusso di capitali ha generato un’enorme ricchezza. Quest’anno nelle casse del fisco irlandese entrerà la cifra record di 30 miliardi di euro da tributi sulle società straniere incorporate nel Paese. Tali ingenti risorse hanno consentito al governo irlandese di ridurre le tasse, aumentare la spesa pubblica e contenere il debito pubblico che oggi è meno della metà di quello del 2014. Nel 2023, il surplus de bilancio statale è stato di 8,3 miliardi di euro, pari al 2,9% del Reddito nazionale lordo. Si prevede che entro il 2027 possa raggiungere i 65,2 miliardi di euro. Anche la disoccupazione è ai minimi storici, di poco superiore al 4%.

Verrebbe da domandarsi perché l’Irlanda debba ancora ricorrere alle elezioni. Non sarebbe più semplice riconfermare i politici che hanno guidato il Paese verso la prosperità? In realtà, la situazione è più complessa. Nonostante i successi economici, l’Irlanda non sembra un luogo particolarmente felice e privo di problemi sociali, anzi.

Irlanda, l’altra faccia

Parte del malcontento deriva dalla frustrazione che il raggiungimento gli obiettivi che per secoli sono stati il sogno degli irlandesi, cioè l’indipendenza e la prosperità, non ha eliminato le tracce di diseguaglianza e squilibri che hanno caratterizzato la storia del paese. L’Irlanda sembra intrappolata in una narrazione che la riconduce costantemente al proprio passato.

Secondo questa narrativa, ogni problema nazionale viene ricondotto a cause esterne: la colonizzazione britannica, la divisione territoriale dell’isola o l’influenza pervasiva della Chiesa cattolica. Oggi questo meccanismo di autodifesa psicologica è obsoleto. Il capro espiatorio di un “nemico esterno” deve essere re-immaginato, perché, i problemi che l’isola deve affrontare sono il risultato delle scelte collettive compiute dai suoi cittadini.

Paradossalmente, nel momento stesso in cui l’Irlanda viene celebrata come un caso esemplare di successo nella globalizzazione, emerge un quadro articolato di profondi squilibri strutturali. I servizi pubblici, le infrastrutture e l’accesso alla proprietà abitativa mostrano una significativa incapacità nel corrispondere al ritmo vorticoso della crescita economica.

L’Irlanda è come una casa con una facciata scintillante ma fondamenta fragili. Mentre il Paese è inondato da investimenti, i giovani faticano ad accedere alla proprietà, gli affitti sono alle stelle nelle principali città, la povertà infantile è in aumento e i servizi pubblici come i trasporti e la sanità sono sotto pressione. Questa situazione evidenzia un limite intrinseco del modello di sviluppo basato esclusivamente sulla crescita economica: la crescita, da sola, non sembra in grado di garantire una distribuzione equa delle risorse e una qualità di vita soddisfacente per tutti i cittadini, pur essendoci la possibilità di raggiungere questi obiettivi.

Irlanda, la questione demografica

È proprio sulla questione demografica che il divario tra le statistiche scintillanti e la percezione della realtà è più evidente. Ci si aspetterebbe un qualcosa di positivo: l’Irlanda, dopo aver subito una grave emigrazione, sta finalmente registrando una crescita demografica. Eppure, questa rinascita demografica non sembra portare la felicità sperata. L’eredità della Grande Carestia ha la-sciato un segno profondo, e il fatto che l’Irlanda sia uno dei pochi Paesi sviluppati con una popolazione inferiore a quella del XIX secolo è un dato paradossale. Inoltre l’aumento della popolazione, dovuto in gran parte all’immigrazione, non sembra accompagnarsi a un miglioramento della qualità della vita quale ci si potrebbe attendere.
La gestione dell’immigrazione, in particolare l’arrivo di un gran numero di rifugiati ucraini e richiedenti asilo, ha messo a dura prova il sistema.

La carenza di alloggi, infrastrutture e servizi adeguati, la gestione disorganizzato dei governi che si sono succeduti, ha offerto un terreno fertile per la propaganda dell’estrema destra. Lo slogan “Ireland is full” (l’Irlanda è piena), pur apparendo paradossalmente verosimile, è in realtà contraddittorio: l’isola rimane uno dei paesi meno densamente popolati d’Europa, ma la percezione di sovraffollamento è diffusa, alimentata, come abbiamo visto, dalla gestione inadeguata dell’immigrazione e dalle carenze infrastrutturali.

Irlanda, una possibile guerra commerciale

Tuttavia, ciò che i politici irlandesi, impegnati a vendere promesse di tagli fiscali e maggiore spesa, sembrano ignorare volutamente è una minaccia potenzialmente distruttiva. È la minaccia incombente di una guerra commerciale tra Stati Uniti ed Europa. L’Irlanda, avendo scommesso tutto sulla globalizzazione, potrebbe subire un duro colpo da questo conflitto. L’isola, come una può succedere a una nave mercantile, naviga in acque turbolente, incapace di prevedere la prossima tempesta. Non esistono infatti isole felici in oceani turbolenti.

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Adattato da: Fintan O’Toole, Ireland Is Rich. That Doesn’t Mean It’s Happy, “The New York Times”, 27 novembre 2024

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