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L’innovazione è una disubbidienza che genera valore: è il titolo provocatorio del libro di Gianni Previdi per goWare

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Da pochi giorni è disponibile sulle piattaforme online e in libreria il nuovo libro di Gianni Previdi, dal titolo apertamente provocatorio ma anche stimolante: L’innovazione è una disubbidienza che genera valore. Dove il futuro incrocia il presente, edito da goWare (ebook 6,99 euro; cartaceo 20,00 euro).

L’opera rappresenta l’ultima fatica di un autore che, con uno sguardo a tutto tondo sul presente e sul futuro, combina diverse discipline per offrire una riflessione profonda. Il libro riprende i temi trattati nel saggio precedente, anch’esso ricco di stimoli: Il dilemma dell’Homo Sapiens 3.0. Tecnologie esponenziali: fine o mezzo? goWare 2023 (ebook 9,99 euro; cartaceo 22,00 euro).

Anche questo nuovo lavoro sembra trarre ispirazione da un’intuizione fondamentale di Martin Heidegger che ha scritto in un saggio del 1960: “Le conseguenze della tecnologia sono tutt’altro che tecnologiche”. Questo principio, secondo l’autore, si applica tanto alle persone quanto alle organizzazioni, come le imprese con cui collabora strettamente nel suo ruolo di advisor.

Abbiamo chiesto a Gianni Previdi di parlarci del suo libro, che sicuramente presenta delle sfide, ma che può anche stimolare riflessioni fondamentali per qualsiasi attività. Di seguito, il testo dell’intervista.


Dove intendi condurre il lettore con questo titolo decisamente provocatorio che richiama un po’ la bandiera dei pirati che Steve Jobs fece issare sull’edificio dove fu ideato e creato il Macintosh?

“Il mio principale intento è accompagnare il lettore (imprenditore, manager, startupper, studente) con esempi metodologici (foresight e business design), suggestioni come quella di progettare un’azienda ambidestra”.

Un attimo, in che senso ambidestra?

“Mi riferisco a un’azienda in grado di orchestrare la duplice attività di exploration e di exploitation. Un progetto che porta al “divorzio” tra la ricerca orientata ai clienti di domani dallo sviluppo che è orientato invece ai clienti di oggi, per approdare ad un nuovo “matrimonio”: tra il foresight e la ricerca – exploration – da una parte e tra lo sviluppo e il marketing dall’altra – exploitation”.

Ci sono anche dei casi pratici nel tuo discorso?

“Certo che ci sono. Sono all’interno di un percorso che vedrà come da una idea scaturita dalla esplorazione dei possibili futuri, l’idea d’innovazione prende corpo, diventa convincente, prossima alla sua introduzione nel mercato, in grado quindi di generare valore per l’impresa, ma anche per la società, includendo la consapevolezza sugli impatti che il fare impresa hanno inevitabilmente sul pianeta”.

Vedo che il tema dell’innovazione è centrale in tutto il tuo discorso.

“Per forza, la condizione discriminante è avere la piena consapevolezza dell’urgenza al cambiamento e all’innovazione. Per fare innovazione bisogna anche essere disposti a disubbidire alle regole”.

Parlaci un po’ del significato di questo “disubbidire” che è uno dei leitmotiv del tuo lavoro.

“Disubbidire alle regole non per un indeterminato piacere in sé, ma semplicemente perché non servono più, ci incatenano l’immaginazione e la creatività, ci chiudono dentro il pensiero autoreferenziale del già noto e del “si è sempre fatto così”, ci tolgono alla vista i possibili orizzonti”.

E allora che dobbiamo fare? Mica è una cosa semplice.

“Dobbiamo allora mettere in campo innovazioni a somma positiva (per il business, per la società, per il pianeta), in grado, in definitiva, da una parte di non distruggere quello che c’è e funziona (cioè non intestardirsi stupidamente sul mood del momento: “disrupt or die”), di sbloccare quello che c’è ma ancora nessuno vede o ancora non sa come valorizzare perché ancorato alle vecchie regole del gioco, e dall’altra di spalancare le finestre osservando gli orizzonti per vedere e creare quello che ancora non esiste”.

Intendi dire che appiattirsi sul presente è come infilarsi in una camicia di forza?

“Dobbiamo uscire dal presente che spesso condanna a vedere le cose con una visione incupita basata sulla scarsità di opportunità, e invece dobbiamo prendere consapevolezza che i possibili futuri sono gravidi di potenzialità. Ma dobbiamo avere il coraggio di disubbidire!”

Questa idea di arieggiare aprendo le finestre è suggestiva.

“Sì, dobbiamo aprire le finestre, disimparare il vecchio delle epoche pre-digitali e acquisire nuove capacità di lettura delle dinamiche sociali e di mercato. Diceva Le Goff a tal proposito che una prerogativa dell’uomo è quella di inventare nuove cose per poi utilizzarle con la mentalità delle epoche precedenti”.

E questo ha una sua declinazione per le imprese, con le qual lavori da molti anni.

“Certo alla direzione delle imprese e richiesto di vedere cosa succede in altri settori di business, leggere la mente sociale delle persone, cioè andare oltre il momento dell’acquisto: ciò che avviene prima e dopo è una fonte potenziale di significato e valore, sui cui individuare idee di innovazione”.

Come si fa a capire che ci siamo in qualche modo disconnessi dal futuro?

“Ad esempio, quando non si riesce a fornire ai clienti ciò di cui hanno bisogno, ecco che appare la scintilla della prossima innovazione da fare, senza seguire i competitor rischiando di essere sempre in ritardo. Ma per capirlo l’unico modo è andare nelle trincee dei mercati: nelle aziende, nei cantieri, nei punti di vendita, nei social media, nei ristoranti, negli alberghi, negli aeroporti, per strada. In altri termini non adagiarsi solo sui “dati”, le statistiche, ma sporcarsi le scarpe”.

“Andare nelle trincee…” è un’immagine suggestiva, ma come è possibile compiere questo passo nella difficile situazione della quotidianità?

“Importante è Istituzionalizzare nelle organizzazioni sessioni di foresight (immaginazione) e di business design (creatività), istituire i team dell’innovazione (connettere e stimolare le intelligenze che ci sono in azienda) come investimento sul futuro, per non subirlo quando incrocerà il presente.  Le capacità di immaginazione e di creatività sono facoltà innate nelle persone che si esprimono principalmente nei primi anni di vita. Purtroppo diventando adulti, per vari motivi che nel libro vengono spiegati, tali capacità si sono atrofizzate”.

È quello che cerchi di fare anche nella tua attività professionale.

“Il mio mestiere infatti è facilitare queste sessioni di allenamento all’immaginazione e alla creatività, per generare insight su cui sviluppare idee innovative (di prodotto o di servizio, nuovi approcci al cliente, modelli di business che generino valore) con le metodologie del foresight e del business design che in tanti anni di esperienza ho semplificato per renderle praticabile da subito, dopo un breve workshop”.

Adesso spiega a me e ai nostri lettori come hai elaborato questa idea che la “disubbidienza” può diventare un atto di creatività e innovazione. In genere non è vista come una risposta positiva a un bisogno.

“Nelle culture dell’antichità si credeva convintamente che la genialità, l’immaginazione e la creatività non fossero prerogative dell’essere umano, ma fossero solo a disposizione delle divinità. Nella mitologia greca la scoperta del fuoco era dovuta a Prometeo che, in quanto titano difensore dell’umanità, lo aveva sottratto al cielo per consegnarlo agli uomini, affinché iniziassero il percorso del progresso. Purtroppo, la trasgressione di Prometeo fu punita da Zeus, che lo condannò all’eterna sofferenza. La mitologia greca è popolata di tanti altri geni innovatori, come Dedalo (che in greco significa “abile lavoratore”), artefice del labirinto del Minotauro, e suo figlio Icaro, che, volando troppo vicino al sole con magiche ali intessute di cera costruite dal padre, cadde impietosamente a seguito della fusione della cera a contatto con il calore della stella. I Romani, anch’essi ben lontani dall’emanciparsi da questa dipendenza dalle divinità, ritenevano il “genio” colui che era protetto e ispirato da un Ente di natura divina”.

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Con ciò intendi dire che esiste una connessione virtuosa tra disubbidienza e cambiamento che ritrovi anche in altri momenti dello sviluppo umano.

“Come ci insegna la storia, il potere dell’immaginazione e della creatività dalla notte dei tempi hanno permesso all’homo sapiens di sopravvivere e di prosperare, a partire dalla rivoluzione cognitiva (70.000 anni fa), poi con la rivoluzione agricola (12.000 anni fa), la rivoluzione scientifica (500 anni fa), la rivoluzione industriale (200 anni fa), fino a quella che possiamo definire la rivoluzione digitale.Diversi autorevoli studi hanno dimostrato come la capacità di immaginazione e il “tasso” di creatività decrescono repentinamente con l’avanzare degli anni di una persona. È dovuto a fattori biologici inevitabili? O piuttosto a fattori ambientali, culturali, sociali che soffocano e atrofizzano queste capacità? Ci hanno tolto qualcosa quando da bambini ci insegnavano a disegnare e colorare dentro i margini imposti, le scienze esatte logico-deduttive (Cartesio) ci hanno insegnato a dividere e non a unire i punti”.

Unire i puntini era anche un’ossessione di Steve Jobs, un grandissimo innovatore.

“Sì, dobbiamo allenarci al pensiero che sappia giocare nel dividere e nell’unire, una tensione tra opposti che Calvino ci descrisse ne Il visconte dimezzato. Educare alla capacità critica per guardare oltre, per non focalizzarsi sulla palla ma sul gioco, immaginare possibili traiettorie o schemi di gioco audaci. Diceva Henri Poincaré, la creatività è unire elementi esistenti con connessioni nuove, che siano utili”.

“Imagination au pouvoir” è anche il refrain del Sessantotto e anche della controcultura degli anni ’60, quella cultura dal quale è nata la rivoluzione del personal computer.

“Già Aristotele diceva che l’immaginazione (o fantasia) era un tipo di ponte tra le sensazioni e il pensiero, offrendo immagini senza le quali il pensiero non avrebbe di che nutrirsi. Anche Kant sosteneva che l’immaginazione è fondamentale per la mente umana, non tanto o non solo in quanto interrelazione delle nostre sensazioni con le facoltà dell’intelletto, ma come generatrice di modi di pensare creativi, concezione che più tardi fu ripresa dal Romanticismo. Leonardo da Vinci già immaginava il volo umano; i fratelli Wright, nel dicembre del 1903, passarono dall’immaginazione alla fattibilità facendo vedere al mondo intero un uomo che volava su un veicolo con le ali: da quel momento l’umanità non avrebbe più guardato il mondo in modo orizzontale, ma come lo guardano le aquile”.

Le aquile appunto. L’immaginazione può essere anche l’antidoto contro il potere delle macchine computazionali che molti vedono come una minaccia?

“In effetti la perduta capacità di immaginazione e creatività – che richiede anche uno sforzo mentale – ci consegna passivamente alla capacità computazionale delle “macchine”, delegando loro lo sforzo di immaginare il futuro (prolessi, anticipazione), di combinare gli elementi (in un campo di dati inermi), di darci risultati senza far “fatica”, ubbidire infine alle prescrizioni algoritmiche, rassegnandoci a essere terminali periferici delle macchine, come ne Il cavaliere inesistente di Calvino (ultimo romanzo de I nostri antenati), il cui protagonista rimane prigioniero della sua pesante armatura al punto di esserne svuotato”.

Una sorta di turco meccanico alla rovescia?

“Più o meno. Ho l’impressione che, assecondando questa deriva, l’uomo inizi a metabolizzare la logica “macchinica”, accomodandosi nel pensiero convergente, Pare che l’uomo contemporaneo si sia invece rassegnato in un atteggiamento irriflessivo (sempre più in attesa delle risposte vomitate dalle macchine, invece che sullo sforzo di generare domande non convenzionali), lontano dalla costruzione di significato”.

Come concluderesti questo discorso che ha implicazioni decisive per l’umanità?

“Come ho già argomentato nel mio lavoro precedente “Il dilemma dell’homo sapiens 3.0” pubblicato nel 2023 sempre con goWare, abbiamo due tipi di intelligenze: l’intelligenza esplorativa e combinatoria che di fatto lavora su un campo dato a priori. Siamo esattamente nella capacità che abbiamo delegato alle “macchine”, le quali, grazie agli algoritmi della cosiddetta intelligenza artificiale e alla potenza computazionale, sono in grado di esplorare e combinare in velocità tsunami di dati secondo procedimenti deterministici e sintattici, dove però solo l’intervento umano è in grado di assegnare loro un significato. Poi abbiamo l’intelligenza creativa e trasformativa che è in grado di creare nuovi campi, nuove ipotesi, nuovi scenari. E questa facoltà è prerogativa dell’umano, inclusa la capacità di disubbidire allo status quo”.

Grazie Gianni e aspettiamo il tuo prossimo lavoro.

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Gianni Previdi ha fondato e diretto società di consulenza già dagli anni Ottanta. Oggi mette a capitale la sua esperienza in qualità di formatore, advisor e coach sui processi di innovazione di valore, ispirazione e formazione team interni, design strategico delle culture d’impresa.

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