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L’inflazione? Una tigre di carta

FIRSTonline - Lorenzo Gennari

Il cruscotto della congiuntura, pur con qualche increspatura nei dati, segnala che la ripresa continua. Gli indicatori avanzati non indicano nubi all’orizzonte. Le spine di questa rosa stanno nel Covid-19 e segnatamente nella variabile aggressività delle nuove varianti.

L’andamento favorevole dei nuovi contagi ha cominciato a perdere qualche colpo sia in America che in Europa (in qualche Paese, e segnatamente in Italia, ha visto un’accelerazione), e c’è il rischio che gli allentamenti in corso nelle restrizioni (vedi Texas, dove il governatore vuole riaprire tutto) rimettano in forse i progressi acquisiti. Là dove invece le restrizioni diventano più pesanti (e spesso più confuse) non mancheranno gli effetti negativi sull’economia, secondo il solito copione che vede uno “scambio” (trade-off) fra tardivo e inefficiente contrasto al virus e supporto all’attività economica. Tuttavia, a questi venti contrari si contrappone il vento favorevole delle vaccinazioni, che soffia dappertutto.

La Cina continua a fare da backstop alla crescita mondiale. Non deve ingannare la performance degli indici PMI nel Celeste impero, che appaiono meno brillanti di quelli in Usa ed Europa. Quegli indici dicono se le cose vanno meglio o peggio rispetto a prima e il ‘prima’ della Cina è pur sempre un tasso di crescita intorno al 6%, talché, finché l’indice si mantiene superiore a quota 50 vuol dire che la crescita continua a quel livello. Grazie.

In Italia gli indici di fiducia, per famiglie e imprese, tengono, malgrado le recrudescenze del Covid-19, e le anticipazioni di Confindustria sulla produzione industriale in gennaio e febbraio sono positive.

L’economia americana continua a stupire e il settore cruciale delle costruzioni (quand le bâtiment va, tout va, dicono i francesi) è addirittura al boom. Forse il lockdown ha convinto la gente che, se deve stare tappata in casa, è bene ristrutturarla o farsene una più bella! E in America deve ancora arrivare un’altra possente rata dello stimolo di bilancio, quella voluta dal Presidente Biden. Ce n’è veramente bisogno?

La questione è controversa, anche per i suoi riflessi su una possibile inflazione da domanda (vedi la sezione sull’inflazione), ma i suoi sostenitori dicono che la ripresa è stata diseguale e ci sono molti americani poveri che hanno bisogno di un supporto. In ogni caso, i rischi sono modesti, e in fondo, come disse un giorno Mae West, «non si può avere mai abbastanza di una buona cosa»…

L’inflazione è balzata in prima pagina fra le preoccupazioni dei mercati e degli economisti (la gente comune, che guarda alla borsa della spesa, alle buste paga e ai posti di lavoro, non ne è angosciata). Dopo tanto tempo in cui i Paesi (e le Banche centrali) paventavano la deflazione e, «come una cerva anela ai corsi d’acqua» (Salmo 42), anelavano all’inflazione, quando questa arriva (o sembra arrivare) c’è chi ammonisce contro un ritorno di quella febbre dei prezzi che ammorbava l’economia vari decenni fa. Ma, come si argomenta nella sezione sull’inflazione, gli allarmi e gli stracciamenti di vesti non sono giustificati. Detto in breve, si continuano a sottovalutare i potenti fattori strutturali – diversi dalla domanda e dai costi – che tengono un coperchio sui prezzi. Fattori che vanno dalla globalizzazione all’immigrazione, dalle vendite online ai mille modi – molti in atto e molti ancora in potenza – che consentono alla rivoluzione digitale di trovare modi più economici per produrre beni e servizi.

I tassi a lunga, dopo varie prove di risalita negli ultimi due mesi, hanno imboccato più decisamente il rialzo. Un rialzo che appare storicamente modesto, ma che, dopo anni di tassi schiacciati sui minimi storici, innervosisce i mercati. Dietro questo rialzo ci sono notizie vere e notizie false: quelle vere riguardano la ripresa che continua e i deficit pubblici che si accumulano; quelle false riguardano la possibilità che le pressioni sui prezzi si aggravino e diventino permanenti.

In Italia, l’effetto Draghi permane: lo spread, che aveva perfino bucato all’ingiù quota 100, rimane intorno a quel numero tondo (bisogna tornare indietro di 11 anni per trovarne uno più favorevole). La Bce segnala che l’aumento dei rendimenti a lunga non è confacente a un’economia ancora debole; i mezzi per contrastare questo andamento sono in suo possesso, e aspettiamo che alle parole seguano i fatti.

Se i tassi nominali salgono, quelli reali scendono in Europa e segnatamente in Italia, complice l’aumento dell’inflazione, peraltro influenzata da fattori una tantum di cui si è parlato il mese scorso. Da segnalare che, per la prima volta da tempi immemori, i tassi reali sui BTp sono diventati negativi. In America, dove l’aumento dei rendimenti del T-Bond è stato più netto, i tassi reali non sono scesi, ma si mantengono vicino allo zero, se non sotto; il che, con un’economia americana che va a crescere del 6% quest’anno, configura un bell’assist a detta crescita.

Per i cambi, le quotazioni non sono significativamente variate. Sia il dollaro/euro che lo Yuan/dollaro si discostano poco dai livelli del mese scorso, ma, in quel ‘poco’, il biglietto verde vede un modesto rafforzamento. Il differenziale dei tassi reali a lunga fra T-Bond e Bund ora favorisce il dollaro e anche il differenziale nel tasso di crescita fra Usa ed Eurozona si va allargando. Nell’altro capo del tiro alla fune c’è la politica monetaria americana che continua a essere espansiva, e che segnala tassi bassi per molto tempo, oltre a quantità industriali di nuova moneta creata. Fare previsioni a breve sui cambi è un gioco che non vale la candela, e per ora è meglio stare alla finestra e contentarsi della (relativa) recente stabilità.

I mercati azionari rimangono su alti livelli, anche se qualche strappo (verso il basso e poi verso l’alto) tradisce un certo nervosismo, in cui si mischiano due fattori: la sensazione che si è corso troppo e che siamo maturi per una correzione, da una parte; e, dall’altra, i già menzionati timori di un ritorno dell’inflazione con conseguente aumento dei tassi che porterebbe uno sconquasso molto maggiore del famoso taper tantrum del 2013. Il primo fattore è più serio del secondo. Anche in questo caso, fare previsioni a breve sui mercati azionari è un gioco che non vale la candela. Gli ottimisti continueranno a fidarsi delle Borse, i pessimisti aumenteranno la quota di cash nel portafoglio.

A proposito di portafogli, il Bitcoin ambisce a diventare una classe di asset, da mettere accanto all’oro o ai vini pregiati o ai dipinti degli Old Masters? A vedere come le impennate del Bitcoin siano andate di conserva alla debolezza dell’oro, sembra ci sia una staffetta fra ‘beni rifugio’. Con la differenza che il Bitcoin non è un bene: è, come si argomenterà nell’ultima sezione, “una soluzione alla ricerca di un problema”.

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Categories: Economia e Imprese