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L’industria italiana archivia la crisi: meccanica superstar

Secondo il Rapporto sui settori industriati italiani, confezionato da Intesa Sanpaolo e Prometeia, la ripresa della manifattura è ormai consolidata, anche se il picco è stato raggiunto nel 2017 e ora dovrebbe arrivare un periodo di fisiologico rallentamento, dovuto anche ad alcune incognite internazionali – De Felice (Intesa): “Nel 2019 il fatturato dell’industria tornerà sul livello del 2007”.

L’industria italiana archivia la crisi: meccanica superstar

Nel 2019, il fatturato dell’industria italiana tornerà ai livelli pre-crisi, cioè del 2007, 12 anni fa. Per i consumi invece (che continueranno a sostenere la domanda interna, anche se nei prossimi anni sempre meno rispetto alla domanda estera) bisognerà attendere il 2022, mentre per l’occupazione (nell’industria) non è dato sapere, ma al momento il saldo rispetto al 2007 è ancora negativo: -9%. Questi alcuni dei dati emersi dal Rapporto Asi (Analisi dei settori industriali), realizzato dal centro studi di Intesa Sanpaolo e da Prometeia e presentato a Milano.

Dal rapporto emerge che l’industria manifatturiera italiana ha archiviato un 2017 positivo, con una crescita del giro d’affari del 2,9% a prezzi costanti, che però sta per lasciare spazio a un periodo meno brillante, con un fisiologico ripiegamento ciclico della domanda. “Il picco della crescita è già superato – ha detto il Chief economist di Intesa Sanpaolo, Gregorio De Felice -: questo però non significa che ora precipiteremo di nuovo in crisi. Il ciclo rallenterà, soprattutto in Europa, ma rimarrà positivo”. Nel 2018 infatti l’industria italiana continuerà a crescere, ma del 2,4%, per poi ripiegare ancora al +2,1% nel 2019, secondo le previsioni Intesa-Prometeia.

Nel periodo 2020-2022 dovrebbe registrarsi poi un ulteriore frenata, con l’industria che crescerà al di sotto del 2%. “La tendenza è coerente con i ritmi di crescita del Pil mondiale, che nel 2018 è dato al +3,9% e nel 2020 continuerà ad aumentare ma del 3,5%”, precisa De Felice. Anche l’Eurozona passerà dall’attuale +2,3% all’1,5% nel 2020-22, con la Cina dal +6,3% al +5,2% e gli Usa dal +2,8% all’1,9%. Niente di cui preoccuparsi insomma, anche perchè il rapporto parla di un processo di crescita ormai consolidato, basato su fondamentali solidi: “Oggi ci sono meno imprese di prima, c’è stata una selezione ma quelle sopravvissute sono decisamente più forti, più competitive, di dimensioni sempre più grandi”. Oltretutto, grazie anche alle riforme degli ultimi anni, sono cresciuti gli investimenti, è stata recuperata redditività e finanziariamente c’è più solidità patrimoniale.

Tra le riforme non fatte, rimane però quella annosa del cuneo fiscale, che tiene più che mai vivo il problema dell’occupazione. “Il saldo – spiega il Chief economist di Intesa Sanpaolo – è di -9% rispetto al 2007, con la Germania che ha tenuto al -2,3%. Solo in quattro settori l’occupazione ha recuperato: il food&beverage, la meccanica, la chimica e il largo consumo, e la farmaceutica”. Per tutti gli altri il saldo è ampiamente negativo, nonostante il fenomeno del reshoring, ossia del ritorno delle aziende a produrre in Italia.

Un’altra grande criticità evidenziata dal rapporto condotto in partnership con Prometeria è quello della produttività del lavoro: l’Italia è decisamente fanalino di coda in Europa, con la produttività generale aumentata solo del 5% dal 1998 al 2017, mentre Paesi come la Germania hanno registrato +24% e fanno molto meglio di noi anche Spagna e Francia. “Abbiamo addirittura dei settori in cui la produttività è diminuita, come le costruzioni col -17% e i servizi professionali addirittura col -31%. A tenerci in piedi è proprio la produttività dell’industria, che segna un +22,8%: meno di quella dei nostri competitor, ma con un gap accettabile”.

Nei prossimi anni dunque, l’industria italiana continuerà a godere di buona salute, pur rifiatando: nel 2022 porterà il saldo commerciale a superare i 115 miliardi di euro, dagli attuali 90. Protagonista di questo ulteriore salto sarà ancora una volta la Meccanica, attualmente il settore più in salute (nel 2018 vedrà il fatturato salire del 4,2%, molto più della media) e che contribuirà con 11 miliardi sui 25 totali di ulteriore avanzo da qui ai prossimi quattro anni. “Il dato è molto positivo – ha spiegato De Felice – soprattutto se si pensa che nel 2007, prima della crisi, il nostro avanzo commerciale era di 30 miliardi. Praticamente sarà quattro volte più grande”.

Il settore più vivace, come detto, continuerà ad essere la Meccanica, ma andranno bene tutti i comparti, ad eccezione di due: l’Elettrotecnica e gli Elettrodomestici. “Nel primo caso – ha spiegato Alessandr Lanza di Prometeia – la difficoltà è dovuta a una base produttiva ormai fortemente ridotta, mentre per quanto riguarda gli elettrodomestici saremo penalizzati dall’elevata concorrenza internazionale“. Per tutti gli altri settori, comunque, non mancheranno gli elementi di preoccupazione, di cui il Rapporto ha solo potenzialmente tenuto conto, non potendoli dare per certi.

Al primo posto tra i timori, oltre all’incertezza politica italiana che già sta agitando i mercati, c’è la possibile escalation delle spinte protezionistiche. “In realtà – ha detto Lanza – in questa fase preoccupa perchè con la nuova amministrazione Usa il ricorso al protezionismo è diventato imprevedibile. Ma già con le precedenti amministrazioni c’era questa tendenza. Gli Usa sono rimasti indietro rispetto alla Cina, che ora non è più un concorrente solo per il costo del lavoro, ma è a tutti gli effetti un concorrente tecnologico”.

Preoccupano anche le tensioni geopolitiche: Russia, Corea, da ultima anche l’Iran. “Un’eventuale escalation in Iran – ha argomentato Lanza di Prometeia -, che noi comunque non abbiamo considerato nello studio, avrebbe conseguenza un aumento del prezzo del petrolio e conseguentemente delle altre commodities e penalizzerebbe molto i nostri rapporti commerciali con Teheran, storicamente intensi”. Non sono poi da sottovalutare possibili novità sulle valute e soprattutto sulle politiche monetarie, con una tendenza al rialzo dei tassi già avviata negli Stati Uniti.

“L’industria in ogni caso continuerà a crescere – ha chiuso De Felice – forte sia della domanda interna (che però diminuirà, facendo ridurre anche le importazioni) che dell’export, che continuerà ad esserci nonostante un calo generale della domanda nel commercio globale. A sostenere la domanda interna saranno soprattutto gli investimenti, grandi assenti del periodo 2008-2022 e ora tornati sostanziosi grazie ad alcune riforme degli ultimi anni”. L’Industria 4.0, gli iper ammortamenti, il Jobs Act. Si è tornati a produrre ad investire, ma non ad assumere. E non a caso, l’industria contribuirà in proporzione sempre meno alla crescita del Pil del Paese, a vantaggio dei servizi che già nel 2017 hanno creato l’1,1% sul +1,5% totale del Pil.

Questi servizi sono in gran parte legati alla tecnologia: la grande novità è che le aziende italiane sono sempre più digitali ed innovative. Ma, purtroppo per chi cerca lavoro, investiamo quasi solo in robotica. Come CAGR (valore aggiunto) prodotto dal 2012 al 2016 dai brevetti 4.0 siamo al 14esimo posto nel mondo col +23%, davanti ad esempio a Paesi come Finlandia e Canada. Ma se è vero che siamo indietrissimo su settori come Big Data, Cloud computing e Internet of Things, è altrettanto vero che abbiamo puntato tutto sulla robotica, sulla quale sono orientati tre brevetti su quattro. In Cina rappresenta il 17% dei brevetti 4.0, in India il 19%, nei Paesi europei e negli Usa intorno al 45-50%.

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