Il tema della riproducibilità, dell’accessibilità, ai grandi (ma anche ai microscopici) patrimoni della produzione artistica dell’umanità intera entra così nell’era della globalità. Finisce, o almeno si ridimensiona, l’epoca della visione privata, personale, e si entra velocemente nell’era della diffusione digitale. La cultura e l’arte si legano indissolubilmente alla grande rivoluzione industriale che in tutto il mondo, nei due secoli precedenti, ha consentito la mutazione genetica e l’evoluzione dalla produzione “artigianale” unica e limitata tra chi produce e chi fruisce alla nuova dimensione “industriale” destinata al largo consumo.
Questo il tema de L’industria dei sensi, firmato da Sergio Bellucci e da pochi giorni in libreria, con un dotta e preziosa introduzione di Alberto Abruzzese, noto ed apprezzato sociologo. Partiamo da alcune sue riflessioni: oggi appare oggettivamente complesso affrontare un dibattito compiuto ed organico sulle dimensioni che assumono le grandi trasformazioni sociali e culturali che attraversano il mondo intero. Tutta l’umanità, e dunque in tutti i modi in cui questa interagisce, manifesta ed esprime se stessa e l’ambiente che la circonda attraverso le espressioni artistiche, è soggetto e al tempo stesso soggetta a vivere in una velocità siderale dove risulta assai complesso decifrare messaggi e contenuti.
Semplificando e forse banalizzando, questa nostra epoca, questa nostra contemporaneità, viene definita la “civiltà delle immagini” dove ogni fenomeno assume rilevanza solo e se è in grado di divenire “merce” e dunque essere prodotto, distribuito e commercializzato con criteri, appunto, “industriali”. Non casualmente, spesso, si parla e si legge di “industria dell’arte”. Su questo fronte Bellucci, fisico con grande attenzione alle tecnologie della comunicazione, affronta una panoramica storica spessa e densa di difficoltà e complessità sull’industria dei sensi.Giocoforza che al suo centro ci sia il mondo dell’audiovisivo, con le sue derivate e con le sue prospettive tecnologiche che sempre più potranno impattare, forse in modo anche devastante, il futuro della produzione e distribuzione di arte. È sufficiente avere bene a mente quanto potrà avvenire con l’avvento della nuova “civiltà dell’algoritmo” in grado, forse, di proiettarci verso dimensioni che potrebbero già essere oltre le canoniche concettualizzazioni di “industria”. Scrive l’Autore: “Milioni di persone si scambiano servizi, doni, suggerimenti, oggetti e rompono vecchie forme di produzione che sembravano inamovibili. Miliardi di persone iniziano a incontrarsi, parlare, condividere, conoscere nuove culture e nuove modalità di vivere ancora non omologate dall’industria di senso”.
Il titolo del libro di Bellucci richiama fortemente almeno due altri testi che in qualche modo ci hanno aiutato a comprendere, almeno in parte, quanto stava per succedere (ed è poi successo) intorno a noi. Il primo è un saggio di Roland Barthes, L’impero dei segni, dove è agevole connettere e rendere dialettici i due termini: sensi e segni. Il secondo è Apocalittici e integrati di Umberto Eco dove, già dal lontano 1964, ci metteva in guardia sulle nuove dimensioni della comunicazione di massa.
Potranno essere non sempre condivisibili alcune letture talvolta forse eccessivamente politicizzate che Bellucci propone ma rimane una intenzione ed un proposizione che merita di essere affrontata: L’industria dei sensi merita più attenzione, anche da parte della politica, di quanta attualmente gli viene rivolta.