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L’indagine giudiziaria Nagel-Ligresti apre scenari inediti per Fonsai-Unipol e pesa su Mediobanca

“Dietro i nuovi equilibri delle assicurazioni italiane ci sono vecchie mani”. Il Financial Times commenta così la giornata “storica” per le polizze tricolori. Dietro la staffetta ai vertici delle Generali c’è la mano lunga di Mediobanca che ha avuto senz’altro il ruolo più rilevante nell’allontamento di Giovanni Perissinotto e la scelta di Mario Greco.

Ma, soprattutto, c’è tanta Mediobanca dietro la tribolatissima operazione Fonsai-Unipol. Come si rileva anche dall’atto finale dell’operazione: il consorzio di garanzia, messo su con tanta fatica e il miraggio di commissioni favolose grazie all’impegno di piazzetta Cuccia, dovrà farsi carico di un terzo delle azioni Fonsai, oltre ad un quarto circa dell’inoptato Unipol. Non è una sorpresa, viste le caratteristiche dell’operazione così fortemente diluitiva da sembrar fatta apposta per tener lontano i piccoli azionisti. La vera sorpresa, semmai, è che il mercato abbia sottoscritto il 19% delle azioni, dietro il il 37% circa di Unipol e il 7% di Unicredit.

La vera sorpresa sta nelle novità incredibili che emergono, giorno dopo giorno, dall’indagine per aggiotaggio ed ostacolo all’attività della Consob in corso presso la Procura di Milano. Da ieri l’accusa nei confronti di Salvatore Ligresti è condivisa nientemeno che da Alberto Nagel, ad di Mediobanca. La trama, ormai ben nota, è ben più avvincente dei feuilleton rosa-finanza che popolano le tv in fascia pomeridiana. In sintesi: a pochi giorni dalla decisione Consob sull’esenzione dall’Opa per Unipol, l’ad di Mediobanca firma un foglio in cui i Ligresti riassumono le loro richieste per ritirarsi in buon ordine. Si tratta di un contratto, come sostiene il finanziare siciliano? O una semplice presa d’atto da parte del banchiere, che da sempre ha avuto rapporti con Ligresti, suo azionista di rilievo? In attesa che il pm Luigi Orsi avanzi nella sua inchiesta l’aspetto più pittoresco, singolare, imbarazzante se non inquietante riguarda l’atteggiamento di Mediobanca: prima una secca smentita sull’esistenza stessa della carta, poi il diniego di Nagel di aver firmato alcunché. Infine, smascherati da una registrazione che Lionella Ligresti ha effettuato ai danni dell’avvocato Rossello, segretaria del cda di Mediobanca, un’imbarazzata ammissione.

E’ su questa base che si è arrivati ad un’indagine illustre, che produrrà conseguenze, al di là degli aspetti penali, sia sulle sorti di Fonsai, che del comparto assicurativo. Oltre, probabilmente, alle ricadute su Mediobanca stessa e la cosiddetta galassia del Nord. Vediamo come.

1) Consob, innanzitutto, potrebbe rivedere la decisione di esentare Unipol dall’Opa su Premafin. La scelta della commissione, si sa, prevedeva quale condizione essenziale che la famiglia Ligresti non ricavasse alcun beneficio dalla transazione. Ora si scopre che, nelle more dell’same da parte di Giuseppe Vegas e consoci, Mediobanca trattava le condizioni della “resa” onerosa della famiglia siciliana.

2) Se Vegas tornasse sui propri passi a rimetterci sarebbe Unipol, che si dichiara del tutto all’oscuro delle trattative Nagel/Ligresti, circostanza avvalorata dalle lamentele dello stessi Ligresti che, nei suoi contatti con Mediobanca , recrimina di non ricevere risposta alcuna dalla compagnia bolognese. E’ probabile che Unipol riesca così a sfuggire alla tagliola dell’Opa obbligatoria. Meno probabile l’assoluzione amministrativa per Mediobanca impegnata nel consorzio. Ma, al di là delle sanzioni, si crea una situazione nuova tra Unipol oggi azionista al 5,4% di Mediobanca dopo l’ingresso in Fonsai ed il manager Nagel, già sotto tiro per i risultati non brillanti della banca. Non è escluso che il neo socio chieda conto di questo “pasticcio” al manager. Certo, in passato sia Enrico Cuccia che Vincenzo Maranghi  non hanno esitato, quando lo richiedeva l’interesse dell’istituto,  a tenere nei confronti di soci e clienti atteggiamenti altrettanto duri e disinvolti di quelli di Nagel verso gli ex protetti Ligresti ( insediati in Fondiaria per evitare la conquista da parte di Fiat). Ma le firme, non solo i voti, si pesano. Ovvero quel che era concesso a Cuccia non è appannaggio automatico dei discendenti.

3) Il pasticciaccio Fonsai capita nel giorno dell’insediamento di Greco alla guida del Leone delle Generali. Poteva essere il giorno della pax di Mediobanca su tutto il comparto assicurativo, rischia di essere il giorno d’avvio della guerra d’indipendenza delle grandi compagnie verso un azionista potente ma, a questo punto, incapace a sostenere da solo il peso di una sfida internazionale che richiede capitali, soprattutto per Trieste. Il rischio è che il recupero industriale di Fonsai/ Unipol o il rafforzamento a costo zero per i soci di Trieste avvenga a danno dei consumatori, potenziali vittime del groviglio di partecipazioni, accordi, patti di sindacato e di collocamento che lega i due gruppi. Per questo, secondo l’Ft, occorre che il governo intervenga prsto in due modi: a) trasferire dall’Isvap alla Banca d’Italia la vigilanza sul settore; b) affidare a via Nazionale il compito di prevedere per Fonsai una governance che sterilizzi qualsiasi influnza dirtta od indiretta di Mediobanca, dominus in quel di Trieste.

La partita Fonsai, insomma, rischia di costare assai cara a Nagel. Per la consolazione del nemico Mateo Arpe che si è ritirato una volta per tutte dalla partita.  

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