Le tensioni sui titoli di stato si riacuiscono nel momento meno opportuno, quello in cui imprese e famiglie attendono ansiosamente che si sblocchi il mercato del credito, un mercato ancora asfittico e poco reattivo alle iniezioni di liquidità di Francoforte. Le due operazioni di rifinanziamento orchestrate dalla Banca centrale europea hanno rifornito di liquidità il sistema bancario europeo e le banche italiane in particolare: ben 254 miliardi di euro tra dicembre 2011 e febbraio 2012.
Solo nel nuovo anno, per dare un’idea, circa un terzo del fabbisogno di liquidità degli istituti di credito italiani è passato attraverso l’operazione a condizioni agevolate di durata triennale architettata da Mario Draghi. Una quantità di denaro piuttosto significativa, considerando che al giro di boa del nuovo anno il rischio paese iniziava il trend discendente, con uno spread che il 29 febbraio, data della seconda asta LTRO, si aggirava attorno a quota 350 punti base.
Negli ultimi giorni quel livello è stato prima raggiunto e poi superato: prima della chiusura pasquale, il differenziale di rendimento con i Bund tedeschi si attestava a quota 368 per i Btp italiani e ben 398 punti nel caso dei Bonos spagnoli. Una differenza piuttosto sottile, che probabilmente non rende giustizia agli sforzi effettuati dal nostro Governo negli ultimi mesi.
Il nuovo aumento dei rendimenti si è immediatamente ripercosso sui titoli bancari, in forte flessione a causa dell’esposizione ai titoli di stato. La dinamica osservata desta timore, non solo perché gli spread in aumento definiscano quello che molti osservatori descrivono come un “ritorno all’inverno”, ma anche perché prezzi dei Btp in calo si tramutano automaticamente in minore propensione delle banche a finanziare famiglie e imprese.
Pochi giorni fa la Banca d’Italia, nel bollettino su credito e banche, ha reso noto che il tasso di crescita dei prestiti al settore privato, a febbraio, è sceso all’1,3% dall’1,7% registrato in gennaio, a fronte di una domanda di credito in aumento da parte delle imprese. La scarsa propensione al rischio da parte delle banche offre quindi un appiglio ai detrattori della politica monetaria di Francoforte, ma si deve ricordare l’importanza che le operazioni di allentamento della Bce hanno avuto nel permettere a molti istituti di presentarsi alle aste dei titoli di stato con le tasche piene, effettuando un carry trade conveniente tanto per i bilanci degli istituti stessi quanto per le casse del Tesoro.
Sia Mario Draghi che il Governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, hanno poi ricordato che l’impatto della politica monetaria di Francoforte avrà un effetto ritardato sulla crescita dell’economia. Intanto, i tassi sui nuovi prestiti alle imprese hanno registrato un calo, dal 4,06% al 3,80%, mentre i crediti alle famiglie (mutui e consumo) sono in lieve aumento.
Basta guardare, inoltre, al peso delle due LTRO per rendersi conto che, forse, vi sarebbe bisogno di uno stimolo più forte: negli Stati Uniti la Federal Reserve di Ben Bernanke ha varato due ondate di “Quantitative Easing” (oltre all’operazione “Twist”), per un totale di 2600 miliardi di dollari, esattamente il doppio dell’operazione-Draghi (1019 miliardi di Euro), mentre la Bank of England si è fermata a 325 miliardi di sterline, un ammontare minore in valori assoluti ma più alto se misurato in proporzione al Pil.
Sia negli Stati Uniti che in Gran Bretagna la politica monetaria ha tardato diversi mesi a sortire i primi effetti, ma c’è anche una sostanziale differenza: in quei casi non si assistette a un fenomeno marcato di carry trade come è invece accaduto nei rifinanziamenti della Bce. Questo vuol dire che, in realtà, una quota significativa del credito preso a prestito da Francoforte è oggi “immobilizzata” in titoli di stato che stanno nuovamente perdendo valore, riducendo la liquidità immediatamente disponibile per il settore privato.
Nell’ultima conferenza stampa, Mario Draghi ha rimarcato che le operazioni di rifinanziamento a lungo termine hanno significativamente ridotto i rischi sistemici, lasciando intendere che non si prevede un imminente ricorso a nuovi allentamenti quantitativi. Ma le tensioni che si stanno nuovamente accumulando sui titoli di stato potrebbero spingere il Governatore a ripensarci: l’incubo credit crunch non è ancora finito.