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L’immigrazione e i suoi paradossi: senza un flusso ordinato di arrivi, in Italia pensioni e fabbriche a rischio

Le cifre del Rapporto della Fondazione Moressa su crisi demografica e immigrazione sono impressionanti e tendono a peggiorare ma l’immigrazione è condizione necessaria ma non sufficiente per affrontare l’inverno demografico in corso

L’immigrazione e i suoi paradossi: senza un flusso ordinato di arrivi, in Italia pensioni e fabbriche a rischio

Che cosa si intende dire con il concetto di “paradosso”? Dai dizionari si ricava la seguente spiegazione: “Proposizione formulata in apparente contraddizione con l’esperienza comune o con i principi elementari della logica, ma che all’esame critico si dimostra valida”. Tra i tanti paradossi del nostro tempo ve ne è uno che emerge per la sua apparente assurdità: il paradosso “migranti”. L’Europa rischia di perdere le sue istituzioni democratiche e i suoi presìdi civili a causa del fenomeno della immigrazione clandestina dall’emisfero Sud del pianeta ma dello stesso tempo, senza un flusso costante, regolare e in crescita, si troverà – soprattutto l’Italia – a dover chiudere le fabbriche e servizi per mancanza di manodopera.

Migranti, di che “paradosso” si tratta?

E non si tratterà solo di braccianti impiegati a raccogliere la frutta e gli ortaggi sotto il sole per molte ore al giorno o di persone impiegate in quelle mansioni che gli appartenenti ad una ‘’Signoria di massa’’ non intendono più svolgere, Le professioni meno qualificate, infatti, rimangono il principale impiego per i lavoratori stranieri.

Se a livello medio abbiamo un occupato straniero su 10, nel personale non qualificato il valore cresce al 29,2%. I naturalizzati trovano più facilmente impiego nelle professioni qualificate e tecniche; ma si allarga anche la componente del fabbisogno di stranieri anche in lavori sicuri e qualificati, come – per esempio – il personale infermieristico e di assistenza alle persone fragili. Il paradosso, poi, assume il tono della tragedia se si pensa che tra 29 giorni, negli Usa, nazione nata da un’immigrazione plurisecolare proveniente da ogni angolo della terra, la leadership del mondo occidentale si gioca in larga misura sul tema della immigrazione.

Ma tornando all’interno dei confini del Vecchio Continente e della nostra Penisola, anche correndo il rischio di banalizzare una questione molto complessa è difficile rassegnarsi al fatto che un carico di umanità disposto a rischiare la vita per raggiungere le nostre coste non sia utilizzabile per coprire quei buchi che la denatalità ha creato nel nostro tessuto sociale. È evidente che il conto non torna nelle politiche e nelle leggi sull’immigrazione.

Migranti, il futuro demografico dell’Europa

Il quadro del futuro è oltremodo fosco. La Fondazione Moressa, nel Rapporto annuale presentato nei giorni scorsi, ha stimato che nell’ipotesi di immigrazione zero fino al 2070 l’indice di dipendenza degli anziani crescerebbe al 77%, ovvero si registrerebbero 77 anziani ogni 100 residenti in età lavorativa. Oggi l’indice è al 38%. Mantenendo lo stesso livello occupazionale del 2023 gli occupati diminuirebbero di oltre 10 milioni, arrivando a 12 milioni di lavoratori. La stima dei pensionati risulterebbe pari 13,8 milioni, nettamente superiore ai lavoratori; mentre la popolazione residente si ridurrebbe dal 2023 al 2070 a 39 milioni.

Secondo la Fondazione sul piano demografico, l’Europa – come la maggior parte dei Paesi Occidentali è da tempo dentro la quarta fase della “transizione demografica”, con bassa natalità e bassa mortalità, da cui derivano un invecchiamento progressivo della popolazione e un aumento relativo della componente più anziana. Alcuni studiosi sostengono che molti Paesi europei sarebbero addirittura in una quinta fase, caratterizzata da un ulteriore crollo delle nascite e, quindi, da un progressivo calo della popolazione.

L’Italia rappresenta forse l’esempio più significativo di questa situazione, con meno di 400 mila nascite e un numero medio di figli per donna pari a 1,24. Viene calcolato anche il fabbisogno di manodopera (2024-2028) in 800mila unità nella PA e in 3 milioni nei settori privati di cui 640 mila stranieri (21,3%). Certamente, queste previsioni non vanno prese come oro colato; ma la demografia si avvicina più di altre ad essere ritenuta una scienza esatta perché ragiona su dati già esistenti e su trend statistici consolidati da decenni.

Migranti, i numeri dei decreti Flussi

Quanto agli ingressi per lavoro previsti dai decreti Flussi (immigrati non Ue) Il loro numero è di 576 mila nel arco temporale 2022-2025 secondo gli step riportati di seguito:

Decreto Flussi
2022 82.705 (+40.000) 68% stagionali
2023 136.000 61% stagionali
2024 151.000 59% stagionali
2025 165.000 57% stagionali

Com’è agevole comprendere si tratta di impieghi che non si trasformano normalmente in occupazione stabile.

La Fondazione Leone Moressa nei suoi rapporti si diffonde anche sugli aspetti economici delle presenza di stranieri nel mercato del lavoro. Occupati stranieri. In Italia (2023) erano 2,4 milioni pari al 10,1%. Ma il dato risente molto delle acquisizioni della cittadinanza(213.567 nel 2023).Le principali modalità di acquisizione sono avvenute per residenza (quasi 78 mila) e per trasmissione dai genitori (oltre 59 mila). Dal 2011 al 2023 sono diventati cittadini italiani 1,8 milioni di stranieri. Il 18% dei cittadini stranieri è nato in Italia. Se si considerano gli italiani con origine straniera il numero degli occupati sale al 12,9%. Una riforma sulla cittadinanza potrebbe accelerare questo processo. Sono oltre 2 milioni – secondo il Rapporto – la possibile platea dei destinatari del referendum e 135 mila la platea dello Ius Scholae.

È interessante anche il dato in crescita degli imprenditori stranieri: 775.559 pari al 10,4% per questa tipologia di imprese: nei settori delle Costruzioni (20,6%), del Commercio (15,2%) e negli Alberghi/ristoranti (12,7%). Il 60% delle imprese si colloca in 5 regioni (il 21,8% in Lombardia). In 9 regioni incidenza superiore. al 10%. A Trieste, Imperia e Milano sopra il 15%. Prato al 26,3 per cento.

Dal punto di vista fiscale la ripresa post-Covid fa segnare il massimo storico il numero di contribuenti immigrati (4,6 milioni). Il saldo fiscale della popolazione immigrata rimane attivo, con tasse e contributi che superano i servizi di welfare dedicati agli immigrati (+1,2 miliardi). In altre parole, gli immigrati sono prevalentemente lavoratori e contribuenti attivi, quindi, pagano tasse e contributi e hanno un basso impatto sulla spesa pubblica. Va riconosciuto, altresì, che il contributo fiscale, come del resto quello demografico, rappresenta un apporto positivo concreto che però non è sufficiente ad arginare le tendenze in corso nel nostro Paese. Gli scenari demografici portano ad una tendenza alla parità numerica tra lavoratori e pensionati, evidentemente insostenibile per il sistema odierno. Secondo il Rapporto, dunque, l’immigrazione è condizione necessaria, ma non sufficiente per affrontare l’inverno demografico in corso.

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