Ci siamo spesso occupati di Barnes & Noble la più grande catena di librerie del mondo con oltre 600 punti vendita in 50 stati degli Stati Uniti. L’avevamo lasciata sull’orlo del fallimento con l’arrivo del quinto Ceo in appena quattro anni.
Alla fine il fondo d’investimento Elliott che aveva coraggiosamente acquistato l’agonizzante catena di librerie, aveva chiamato da Londra James Daunt, con la fama di avere rimesso in sesto un’altra catena di librerie, questa volta nel Regno unito e anch’essa agonizzante, Waterstones.
Adesso succede che, dopo anni di declino, le vendite di Barnes & Noble sono tornate ad aumentare, i costi sono diminuiti e – miracolo! – coloro che che per decenni avevano visto la ramificata catena come il supercattivo del mondo dei libri stanno ora brindando al suo ritrovato successo.
Librerie, Barnes&Noble da demone ad angelo
Chi sono questi “coloro”? Sono i librai indipendenti, i lettori, gli scrittori che fino a 10 anni fa vedevano nella catena una forza malvagia in grado di condizionare le scelte degli editori e costringere i negozi indipendenti a cedere quote di mercato o a serrare i battenti.
Oggi, l’intera industria editoriale fa il tifo per Barnes & Noble e riconosce il suo ruolo unico e insostituibile nell’ecosistema del libro. C’è la generalizzata consapevolezza che B&N aiuti lettori a scoprire nuovi titoli e sostenga gli editori nel continuare ad affidarsi alle librerie fisiche.
Insomma la catena malvagia sembra diventata un attore decisivo per tenere a galla l’intera economia del libro sconvolta dall’e-commerce. Qui la fa da padrone un giocatore spietato e ben più letale di quanto poteva esser stato B&N. Questo giocatore si chiama Amazon.
Elizabeth A. Harris del New York Times riferisce il punto di vista di Jane Dystel, un agente letterario con clienti come Colleen Hoover che ha quattro libri nella lista dei best-seller del “New York Times”. Dystel ha detto alla Harris:
“Sarebbe un disastro se B&N fallisse. C’è la paura reale che senza questa catena di librerie, il business del libro stampato potrebbe andare fuori strada”.
Per molti anni, l’ostilità delle librerie indipendenti nei confronti B&N è stata così forte da condizionare il sentimento collettivo dell’intera nazione. Lo si può vedere nel film C’è posta per te (1998). Un generalmente “buono” Tom Hanks viene trasformato da Nora Ephron, la sottile sceneggiatrice e regista del film, in un detestabile, seppur affascinante, uomo d’affari proprietario di una catena di librerie che sta per mandare in bancarotta, naturalmente con lieto fine, una libraia indipendente di Manhattan, interpretata da Meg Ryan, la fidanzatina degli americani (a quell’epoca).
La coalizione anti B&N
Nel mondo reale succedeva davvero quello che il film raccontava. Negli stessi anni ’90 l’American Booksellers Association, che rappresenta migliaia di librerie indipendenti, si spinse a intentare una causa antitrust contro Barnes & Noble. Qualche anno prima, la stessa organizzazione aveva fatto causa a diversi editori, dicendo che avevano ingiustamente favorito la grande catene con un dumping dei prezzi.
In effetti B&N era percepita non solo come un nemico, ma come tutto ciò che c’era di sbagliato nella vendite dei libri. Questo stato di cose è durato finché non è arrivato un nemico ancora più potente e spietato che ha colpito in pari misura sia le attività indipendenti che le catene. Borders è fallita e B&N è finita all’inferno. Le librerie indipendenti stavano aspettando il giudizio universale. L’angelo sterminatore era Amazon appunto.
L’enorme assortimento di libri nei negozi di B&N, a volte più di 100.000 titoli in gran parte venduti a prezzo di copertina, parvero una goccia in mezzo al mare di fronte alla disponibilità quasi illimitata di titoli sulla piazza di Amazon. E molti titoli venivano proposti spesso con sconti feroci, ancor più consistenti nella loro versione economica.
Dopo quasi un quindicennio di crisi, nonostante l’intervento fortemente disruptivo di Amazon anche rispetto ai formati di lettura, l’industria del libro continua a fondarsi sul cartaceo. Nel 2021 il cartaceo ha rappresentato il 76% dei ricavi degli editori con più della metà delle vendite realizzate su Amazon.
Una sfida vinta
La pandemia ha, però, messo a durissima prova il business di B&N. Per quasi due interi anni non ci sono state presentazioni o firmacopie nella maggior parte dei suoi negozi. Le sua attività ricreative sono crollate. E a dicembre, proprio nella stagione dello shopping natalizio, è arrivato Omicron. Molti dei negozi della catena, specialmente se collocati nei centri nelle aree urbane hanno, tutt’oggi giri d’affari modesti a causa della penuria di turisti e dello smart working che ha tenuto i lavoratori lontano dagli uffici.
Nonostante tutto queste avversità, le vendite nei negozi B&N nel 2021 sono cresciute del 3% rispetto al 2019. Il Ceo di B&N, James Daunt, ha riferito alla Harris che tale crescita è totalmente imputabile al vecchio modo di fare le cose, cioè vendere libri in libreria.
Le vendite infatti sono cresciute di un cospicuo 14%. Qualcosa di impensabile all’inizio del 2021, dice lo stesso Daunt, visto il modo tremendo in cui si era messa la situazione pandemica.
L’arma segreta delle librerie
Comprare un libro online di cui già si conosce il titolo è facile. Si cerca, si clicca, si compra, arriva a casa il giorno dopo. Quello che in questo processo viene meno è la scoperta casuale che può avvenire solo imbattendosi casualmente in un libro che giace su un tavolo con una bella copertina, o in un libro cartonato che cattura l’attenzione mentre si passeggia nel reparto della saggistica storica.
Nessuno ha ancora capito come poter replicare questo tipo di esperienza nell’e-commerce. Forse si potrà replicare solo nel metaverso, cioè in un tipo di realtà aumentata. Questa capacità delle librerie di essere luogo dove fare delle scoperte accidentali e inattese le rende enormemente importanti non solo per i lettori, ma anche per gli scrittori, così come per gli agenti e gli editori di tutte le dimensioni.
Le librerie indipendenti giocano un ruolo importante per questo tipo di scoperta, ma B&N lo gioca ancora maggiore poiché i suoi spazi sono grandi e quindi possono offrire più titoli alla serendipità.
Ecco perché abbiamo la totale riabilitazione di B&N.
Discesa all’inferno e ritorno
Nel 2018, al culmine di una crisi strutturale che si protraeva da anni, il consiglio di amministrazione di B&N era giunto a licenziare il nuovo amministratore delegato appena fresco di nomina, il quarto in cinque anni. Gli addetti ai lavori iniziavano seriamente a temere che la più grande catena di librerie del paese potesse andare in pezzi.
L’estate successiva, Elliott Advisors, un fondo speculativo, decise di acquistare la catena per 638 milioni di dollari chiamando James Daunt a dirigerla.
Daunt è un manager molto apprezzato. È nel business dei libri dal 1990, era stato chiamato nel 2011 a risanare Waterstones, la più grande catena di librerie della Gran Bretagna, sull’orlo della bancarotta.
Daunt aveva un’idea precisa del da farsi. Secondo la sua visione i negozi di una grande catena di librerie dovevano operare con gli stessi principi di una libreria indipendente, cioè poter disporre della totale libertà di adattare la proposta commerciale al gusto e alla clientela locale. Un approccio che ha funzionato bene, risanando Waterstones e riportandola alla redditività.
Negozio di catena con mentalità da indipendente
Ha replicato questo approccio a New York, proprio a Barnes & Noble. Mentre una volta gli ordini per le librerie sparse in tutto il paese venivano effettuati dalla sede centrale a New York, oggi il centro si occupa solo di ordinare quantitativi minimi per le novità, lasciando i manager dei singoli negozi liberi di scegliere se ordinare più copie sulla base di considerazioni legate alla clientela e al territorio nel quale il negozio si trova.
Tutto il lavoro deve avvenire all’interno del negozio e lì deve essere il centro delle decisioni. Daunt ha inoltre eliminato tutte le attività collaterali alla vendita dei libri che erano fiorite negli anni precedenti nel tentativo di riposizionarle rispetto al business tipico. Daunt spiega tale scelta con poche parole:
“Vendevamo un sacco di prodotti abbastanza atipici per una libreria. Nessuno pensa: ‘Ho bisogno di una batteria Duracell, bene allora vado in libreria’”.
B&N ha anche interrotto la pratica di prendere commissioni dagli editori per posizionare i libri in punti molto visibili del negozio, come all’ingresso o in vetrina. Sembravano soldi facili, sottolinea Daunt, ma questa pratica ha causato un sacco di problemi: i libri che il pubblico non voleva erano esposti in modo prominente e i grandi ordinativi che non si vendevano dovevano essere resi all’editore, con costi amministrativi, di personale e di spedizione non indifferenti.
Ora, sono i manager dei negozi a scegliere quali libri promuovere e mettere in evidenza sulla base delle tendenze prevalenti del pubblico locale.
Inoltre Daunt, durante la pandemia, ha completamente rinnovato l’arredamento, gli spazi espositivi, le tinteggiature dei negozi così da renderli più moderni e attraenti.
Anche il business online di Barnes & Noble è migliorato. Costituisce solo il 10 per cento delle vendite complessive della catena, ma è cresciuto del 35 per cento rispetto al suo livello prepandemico.
Dopo anni di abbandono del proprio e-reader, il Nook, l’azienda ha ridisegnato l’applicazione in modo da integrare gli audiolibri.
Una riorganizzazione non indolore
Questa profonda riorganizzazione di B&N non è stata per niente indolore. Il personale della sede centrale si è dimezzato dopo che molti compiti, prima svolti centralmente, sono stati trasferiti ai negozi locali.
Di conseguenza si è ridotto anche lo spazio per gli uffici centrali, che l’azienda ha in locazione a di New York nella centralissima e costosa Union Square di Manhattan.
Rimangono molti interrogativi sul futuro di Barnes & Noble. I costi stanno aumentando nell’industria del libro, dove ci sono già dei margini risicati. Resta poi la concorrenza feroce dell’e-commerce che potrebbe avvantaggiarsi dalla situazione di difficoltà dell’industria della carta stampata.
C’è comunque molto ottimismo, perché le vendite in tutto il settore sono in crescita. La lettura dei libro è cresciuta durante lockdown dovuto alla pandemia e il livello di coinvolgimento non è, come si temeva, scemato con le riaperture.
In autunno arriveranno dei blockbuster annunciati, i prodotti che sono il traino dell’intera industria. Il 2021, purtroppo, è stato un anno magro da quel punto vista.
“Al momento”, ha detto Daunt al “New York Times”, “il business di B&N è trainato dall’entusiasmo per la lettura del grande pubblico”.
Qualche buona notizia c’è, alla fine, sotto il sole.
Le informazioni sono tratte da: Elizabeth A. Harris, How Barnes & Noble Went From Villain to Hero, “The New York Times”, 15 aprile 2022