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Libia nel caos, ma Renzi frena sull’intervento militare

“Un messaggio firmato con il sangue alla Nazione della Croce”, questo il titolo del nuovo video diffuso dallo Stato islamico. Il filmato mostra la decapitazione di 21 egiziani copti in Libia e contiene minacce al nostro Paese: “Prima ci avete visti su una collina della Siria. Oggi siamo a sud di Roma… in Libia”.

Ieri inoltre la radio ufficiale dello Stato islamico, al-Bayan, ha citato per la prima volta l’Italia, riportando le dichiarazioni sulla Libia di Paolo Gentiloni, definito “il ministro degli Esteri dell’Italia crociata” per aver dichiarato che il nostro Paese è pronto a fare la sua parte se le Nazioni Unite dovessero decidere di agire nel Paese nordafricano.

Intanto, l’ambasciata italiana a Tripoli – l’unica europea ancora aperta dopo la fuga dello scorso agosto -, è stata alla fine costretta a chiudere “temporaneamente” e ad avviare il rimpatrio in nave, via Malta, dei pochi italiani rimasti. Una decisione “resa necessaria dal deteriorarsi della situazione”, ha spiegato Gentiloni. Giovedì il ministro riferirà in Parlamento per avviare un dibattito sull’eventuale partecipazione italiana a un intervento internazionale “in ambito Onu”. 

Ancora più decisa la numero uno della Difesa: Roberta Pinotti fa sapere che l’Italia è pronta a guidare una coalizione di Paesi europei e nordafricani e a contribuire con oltre 5mila uomini. Un’idea che trova l’appoggio del leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi.

Dopo aver lasciato correre nei giorni scorsi dichiarazioni impegnative dei suoi ministri, il premier Matteo Renzi ha affidato la frenata a una nota informale, facendo sapere che “in Libia c’è bisogno di responsabilità e non di fughe in avanti. La priorità è raddoppiare gli sforzi Onu nella iniziativa politica e diplomatica e su questo stesso terreno, non quello militare, l’Italia è pronta ad assumersi le sue responsabilità. Calma e gesso”.

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