Il Libano si presenta oggi come un Paese intenzionato a ricostruire il proprio futuro ripartendo dalle macerie della guerra civile da un lato e dal sanguinoso conflitto con Israele dall’altro, investendo sull’ammodernamento delle proprie infrastrutture. Le conseguenze della recente crisi siriana hanno contribuito al declino delle infrastrutture, soprattutto nei comparti di trasporti ed energia, e per questa ragione il Governo ha individuato una serie di grandi progetti infrastrutturali, nominato “Capital Investment Program” (CIP), con l’obiettivo di contribuire alla crescita economica del Paese. Il CIP è parte integrante del “Lebanon Economic Vision 2025–2035”, un piano varato nel 2018 dal governo libanese per raggiungere alcuni obiettivi fondamentali, tra i quali l’aumento del PIL, la riduzione del debito pubblico e il miglioramento della bilancia commerciale. Con un valore di oltre 22 miliardi di dollari, il CIP è il più importante programma di investimenti nella storia del Libano. Il 40 percento dei progetti sarà finanziato con investimenti privati in modalità Private Public Partnership (PPP).
La proposta del governo libanese del 18 ottobre scorso di introdurre una tassa di 20 centesimi di dollari al giorno sulle chiamate effettuate via internet (VoIP), mediante app quali Whatsapp e Facetime, ha rappresentato l’apice di un malcontento in realtà già diffuso tra la popolazione, che contesta l’amministrazione del Paese con tensioni di piazza a Beirut e in altre città libanesi. I disordini non hanno soltanto destabilizzato il governo, portando alle dimissioni del primo ministro Saʿd al-Din Hariri il 29 ottobre scorso, ma anche avuto un impatto sulla situazione economico-finanziaria libanese. Il Paese mostra una dinamica del Pil debole, circostanza che si riflette negativamente sul rapporto debito/Pil. Quest’ultimo è salito al 155% con una spesa per interessi che assorbe circa il 50% delle entrate fiscali. Il Paese, inoltre, presenta squilibri di natura esterna: il deficit delle partite correnti ha raggiunto il 26,5% del Pil, erodendo lo stock di riserve in valuta forte, sceso a circa 33 mld. Il calo delle riserve rappresenta un’anomalia per un Paese che può beneficiare di un ampio volume di rimesse alimentate dai circa 14 milioni di libanesi residenti all’estero; la diminuzione della quantità di valuta forte è da condurre anche al minor afflusso di capitali proveniente da investitori internazionali in virtù dell’aumento di rischio Paese. Per queste ragioni il Paese è stato oggetto, nel recente passato, di vari downgrade da parte delle agenzie di rating, per ultima Standard & Poor’s, che, come Moodys e Fitch, ha assegnato al Libano la valutazione CCC.
Come riportato dall’ISPI, Istituto per gli studi di politica internazionale, le criticità economico-finanziarie del Paese hanno innescato una “corsa agli sportelli”, fenomeno che nemmeno le rassicurazioni del governatore della Banca Centrale è riuscito a placare. Le banche locali hanno reagito imponendo limiti sia al prelievo di dollari sia al volume di trasferimenti di denaro all’estero ma tali misure non hanno migliorato il quadro, anzi hanno accentuato la percezione di emergenza. Il Libano si trova ora in una situazione delicata che richiede la formazione immediata di un governo con l’obiettivo di stabilizzare l’economia, rafforzare la fiducia della popolazione e “attrarre” sostegno finanziario internazionale. Le consultazioni, fissate per il 16 dicembre scorso, sono state nuovamente rinviate, a causa della persistente impasse riguardo la composizione del governo. E ciò ha generato un inasprimento delle proteste di piazza.
Per Beirut e l’economia libanese, dunque, il futuro si prospetta ricco di sfide, dallo stallo politico da superare alla situazione economico-finanziaria da stabilizzare. E le deboli performance economiche del Libano si sono riflesse sull’andamento delle esportazioni italiane. In particolare, dopo il calo dell’8,7% del 2018, l’export di beni italiani verso Beirut ha registrato un’ulteriore contrazione nei primi otto mesi del 2019 (-5%). Tuttavia, la necessità di aprirsi agli investimenti offre ancora numerose opportunità alle imprese italiane: Beirut ha accolto 1,4 miliardi di euro di merci italiane, soprattutto prodotti petroliferi raffinati, ma anche gioielli, mobili e beni della meccanica strumentale. Il mercato locale, nonostante le dimensioni ridotte, dispone inoltre di un elevato grado di apertura a scambi e triangolazioni nei segmenti qualitativamente alti, e rappresenta anche una piattaforma di lancio verso l’area mediorientale. Le società libanesi sono infatti ben radicate nei Paesi del Golfo e nel Kurdistan irakeno, lavorando soprattutto nei settori delle costruzioni e di ingegneria, ed è qui che spesso vengono riesportati i macchinari che il Libano importa dall’Italia. Ecco allora che i settori in cui si profilano maggiori opportunità per le imprese italiane sono: comparto energia, gas naturale liquefatto, acqua e irrigazione, sviluppo del porto di Tripoli.