Mentre l’Italia sta discutendo se e quale Governo avere, il vertice europeo del 14-15 marzo è servito a chiarire quale auspicabile programma economico il nostro Governo dovrebbe avere. Al di là del molto chiacchiericcio e delle incredibili gaffes della vicenda di Cipro (la cui popolazione rappresenta meno dello 0,26% della popolazione Euro) è bene registrare la consonanza che si è vista a Bruxelles tra la posizione tedesca e quella della Bce – manifestata sia dal Bollettino di marzo della Bce, pubblicato non a caso il 14 marzo, sia dalla Presentazione di Draghi. Le conclusioni del Consiglio Europeo hanno confermato tutto ciò e possono essere così riassunte:
Mentre prosegue il risanamento dei bilanci pubblici, la priorità passa a quanto serve per competitività, crescita e aumento dell’occupazione, in particolare dei giovani. Il risanamento deve essere growth friendly dal lato delle entrate come dal lato delle uscite dei bilanci pubblici. Nel rispetto delle regole del Patto di Stabilità, si può conciliare ex-ante disciplina fiscale e investimenti pubblici produttivi.
E’ meno di quanto il Presidente Monti fosse andato a chiedere a Bruxelles (un’esplicita revisione dei patti europei, per escludere dai vincoli gli investimenti pubblici “utili”), ma è più di quanto qualcuno avesse temuto, nei giorni precedenti il Consiglio Europeo. Merita sottolineare che questa posizione di Bruxelles – conciliare un indirizzo strategico di risanamento della finanza pubblica con la necessaria flessibilità richiesta dal permanere di difficoltà della ripresa economica – è esattamente quanto indicato dalla Bce e da Draghi.
Il Bollettino della Bce contiene un riquadro dedicato agli “Effetti sulla crescita di un elevato debito pubblico” che riassume i risultati di numerose ricerche scientifiche, generali e per l’Eurozona. Merita sottolineare che ne risulta confermata la validità del valore di riferimento massimo per il debito pubblico, fissato a Maastricht al 60% del Pil. Valori superiori si accompagnano a effetti negativi sulla crescita. Di qui la conclusione: “Nell’attuale contesto economico risulta di fondamentale importanza adottare strategie ambiziose di riduzione di debito. Laddove, al contrario, i governi decidano di rinviare l’opera di risanamento, le prospettive di crescita ne risulteranno minate e la sostenibilità dei conti pubblici verrà gravata da un onere supplementare”.
Dalla ricerca alla politica, l’Editoriale del Bollettino Bce conclude: “L’orientamento accomodante di politica monetaria continuerà a sostenere la ripresa nell’area dell’euro, tuttavia è essenziale che le politiche di bilancio e strutturali rafforzino le prospettive di crescita a medio termine. Il risanamento dei bilanci deve formare parte integrante di un programma di riforme strutturali organico inteso a migliorare le prospettive per la creazione di posti di lavoro, per la crescita economica e per la sostenibilità del debito.”
“Il Consiglio direttivo ritiene che allo stadio attuale sia particolarmente importante far fronte alla disoccupazione giovanile e di lunga durata attualmente elevata. A questo scopo sono necessarie altre riforme dei mercati del lavoro e dei beni e servizi per creare nuove opportunità di occupazione, promuovendo un contesto economico dinamico, flessibile e concorrenziale.”
E’ proprio quanto il Presidente Draghi ha spiegato nella sua Presentazione intitolata: “Euro area economic situation and the foundations for growth”. Punti da sottolineare: l’aumento della disoccupazione medio dal gennaio 2007 al gennaio 2013 è dall’8 al 12% della forza lavoro; con aumenti molto maggiori nei paesi della “periferia europea”; e con un calo significativo della Germania.
La crescita dell’area Euro è spiegata (come di solito, nella teoria della crescita) da: crescita della domanda globale (il resto del mondo) una politica monetaria che sostiene ciò, nel rispetto della stabilità monetaria ( e questo serve a ricordare il primo dovere della Bce) il recupero di: fiducia, credito e competitività.
E’ quest’ultimo (la competitività) l’aspetto su cui Draghi più insiste, e da cui l’Italia (assieme agli altri paesi dell’Eurozona che da anni meno crescono) esce con una brutta pagella. Di qui la conclusione di Draghi che riguarda l’Italia e il nostro prossimo Governo: servono riforme strutturali che facciano funzionare meglio il mercato dei beni e il mercato del lavoro, in modo compatibile con la partecipazione ad un’unione monetaria; occorrono riforme e politiche che garantiscono competitività (produttività, salari, profitti); la fiducia e il credito sono già migliorati, ma hanno problemi di costo e disponibilità del credito soprattutto le piccole e medie imprese.
Che speranze ci sono che a Roma qualcuno tenga conto di questa diagnosi e di queste proposte? Ne dipende la probabilità che nei prossimi mesi il nostro spread salga verso 400 o scenda verso 200.