Non per essere pessimisti, ma certo la vittoria di Trump che porta gli Usa verso un maggiore isolazionismo e la precedente aggressione di Putin all’Ucraina ed alla Nato, mettono l’Unione europea nella scomoda posizione di finire come l’agnello sacrificale sull’altare della pace (o comunque della tregua) tra Washington e Mosca.
Nello spaesamento provocato dalla inattesa (almeno nelle dimensioni) vittoria di Trump, si sentono tante voci discordanti, soprattutto si confondono auspici con la cruda analisi dei fatti. Per cercare di farsi un’idea realistica di quello che con ogni probabilità può succedere bisogna saper distinguere i segnali probanti dalle chiacchiere. E sulla base di questa analisi realistica immaginare dei rimedi per evitare i guai peggiori.
A Trump e Putin non piace l’Europa unita
In primo luogo è provato che Trump e Putin sono d’accordo su un punto: a nessuno dei due piace l’Europa unita. Entrambi sono contro Bruxelles e non vedono di buon occhio ulteriori passi in avanti verso la creazione di un potere centrale più forte. Preferirebbero un ulteriore recupero di sovranità da parte dei singoli Stati un po’ come vogliono i vari sovranisti europei da Orban alla Le Pen.
In secondo luogo Trump ha detto chiaro e tondo che gli Usa non sono più disposti ad occuparsi della difesa Europea e che se si vuole mantenere la Nato, gli europei dovranno pagarsela. Infine ci sono gli squilibri commerciali tra la Ue e gli Usa , squilibri che riguardano soprattutto la Germania e l’Italia che hanno un attivo delle rispettive bilance commerciali di 80 e 40 miliardi.
Putin, da parte sua, ha mire solo in parte economiche collegate alla vendita del suo gas. Il suo obiettivo, più volte dichiarato esplicitamente, è quello di creare una federazione euro-asiatica nella quale gli europei mettono la loro ricchezza e la Russia la sua potenza militare basata essenzialmente sull’arsenale nucleare.
Il ruolo dell’Ucraina: sarà l’Europa a pagare il prezzo della “pace”?
La definizione della guerra in Ucraina può essere il primo passo per ripristinare un rapporto di coesistenza tra Usa e Russia, magari da far pesare su altri scacchieri mondiali come la Cina e l’India. Se si considera che Trump ritiene che gli Stati Uniti non abbiano bisogno di alleati perché la propria economia può andare avanti da sola, mentre la sicurezza americana non si gioca sulle pianure ucraine, allora si può capire che sarà l’Europa a pagare il prezzo maggiore della fine della guerra. Una fine che premierebbe l’invasore (che conserverebbe le proprie conquiste del 2014-15 e dal 2022, circa il 20% del territorio ucraino) e consentirebbe a Putin di cantare vittoria e magari si sentirebbe incoraggiato ad estendere rapidamente il proprio protettorato sulle piccole nazioni vicine che ancora tentano di resistere.
Senza un potere centrale di Bruxelles più forte, i singoli paesi europei farebbero a gara ad andare da Trump per cercare di ottenere condizioni meno onerose sui dazi che dovranno essere imposti, e a seconda delle inclinazioni dei partiti nazionali, da Putin per ottenere l’amicizia russa. È intuitivo che Usa e Russia saranno d’accordo nel far pagare alla ricca Europa un prezzo notevole, costringendo i singoli Stati a ridurre il welfare e a tassare i propri cittadini per pagare i vecchi ed i nuovi padroni americani e russi.
Gli errori dell’Europa
D’altra parte i paesi europei non hanno tutte le ragioni. Per troppi anni sono vissuti gratuitamente sotto l’ombrello militare americano, mentre si sono dimostrati incapaci di contribuire all’equilibrio economico globale, intestardendosi a mantenere una economia fondata sull’export (per colpa soprattutto della Germania) con enormi attivi delle bilance commerciali che impoverivano il resto del mondo. In più hanno continuato a beccarsi tra loro per futili motivi e non sono riusciti a fare quei passi decisivi per costruire un assetto unitario capace di parlare nel mondo con una sola voce.
Già si comincia a discutere della possibilità per la premier Meloni di fare da trait d’union tra le due sponde dell’Atlantico e magari si perderà solo altro tempo nell’illusione di poter giocare un ruolo che noi non ci possiamo permettere, evitando di fare le vere scelte sia politiche che economiche che sarebbero necessarie. Ad esempio siamo tra i pochi paesi che non rispettano l’impegno di portare al 2% le spese per la difesa. Meloni continua a dire che questo non deve essere fatto a spese degli italiani. Ma come pensa di essere ricevuta a Washington se non ottempera a questa richiesta ritenuta prioritaria dagli americani?
Un vero statista viene fuori nei momenti decisivi come quello attuale. Se Meloni non troverà il coraggio di dire agli italiani che per qualche anno certe cose non potremo più permettercele e che dovremo pagare più tasse e lavorare di più, rimarrà una modesta politicante arrivata a Palazzo Chigi più per fortuna che per valore.
Gli Usa non vogliono più fare i gendarmi del mondo
L’elezione di Trump ha fatto venire al pettine tutti i nodi di una aggrovigliata situazione internazionale perché ha reso chiaro a tutti che gli Usa non vogliono più fare i gendarmi del mondo. Si fanno sotto nuovi protagonisti economici e politici. Tutti in un modo o nell’altro cercano di attaccare la ricca ed imbelle Europa. Noi che facciamo?
Macron tenta di dire cose sensate sulla necessità di svegliarsi, ma ormai ha poco peso come leader. I tedeschi non hanno un governo saldo. Orban è l’emblema del leader europeo oggi vincitore: infatti è putiniano e nello stesso tempo trumpiano. E così Le Pen o, da noi, Salvini. Questi sono gli uomini e le donne che si dichiarano sovranisti ma che si apprestano a gestire la spartizione dell’Europa tra le due superpotenze americana e russa.
Evoluzione inevitabile? Forse no. Ma per ora non si vedono segnali che fanno pensare ad una imminente riscossa dell’Europa, a leader capaci di dire ai propri cittadini che se si vuole conservare la libertà ed un ruolo nel mondo bisogna fare dei sacrifici economici e politici. Se scegliamo il tirare a campare prima o poi, smentendo la famosa battuta di Andreotti, saremo destinati a tirare le cuoia.
Aún hay esperanzas de rescatar a Europa y su proyecto, y de reafirmar al continente en su conjunto como ente indispensable del escenario geopolítico. Existe un plan reservado y poco difundido que se debate entre expertos y académicos, que implica la repatriación masiva de la diáspora europea de la Generación X: principalmente profesionales franceses y alemanes de tercera generación que aportarían especialmente trabajo y una buena dosis de reintegración cultural, pero sobre todo: un ejercicio cívico más justo centrado en el espíritu europeísta que vio crecer a esa generación, todavía joven y con potencial de procrear. El planteamiento se centra en esa cohorte demográfica por sus fuertes convicciones europeístas, en contraste con otras generaciones más viejas o más jóvenes.