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L’Europa di Ursula resta ambigua tra difesa del passato nazionalista e più integrazione per crescere. Parla Marcello Messori

Imagoeconomica

La nuova Commissione di Ursula von der Leyen sembra rispecchiare, più che la forza dei gruppi parlamentari recentemente eletti a Strasburgo, il peso politico dei partiti nei vari governi dei paesi che siedono nel Consiglio, dove i governi sono espressi dai Popolari o da altre destre, come in Italia. In sostanza, ci troviamo di fronte a una Commissione in cui il peso del Partito popolare è cresciuto e, nel complesso, nonostante le deleghe pesanti andate ad alcune “commissarie” (riferimento in particolare alla vicepresidente spagnola), si può avvertire una spinta minore rispetto al quinquennio precedente sul Green Deal, sull’innovazione tecnologica e sulla gestione dell’immigrazione.

Il professor Marcello Messori ha seguito per anni, come economista le politiche europee, ed ha imparato a riconoscere i segnali che vengono da Bruxelles per individuare la possibile conseguenza delle scelte che verranno con ogni probabilità prese. La sensazione oggi con questa composizione della Commissione è che la spinta verso una maggiore integrazione sia destinata ad attenuarsi in contrasto con quanto proposto nel rapporto Draghi.

“Temo proprio che sarà così. Balza già con evidenza un aspetto contraddittorio di molte forze politiche che sono a Bruxelles e che guidano i singoli Stati. Da un lato c’è una larga e formale adesione alle indicazioni del rapporto Draghi – come ha fatto la nostra premier Meloni – ma dall’altro pochi governanti appaiono disposti a procedere con quelle cessioni di sovranità che Draghi auspica come unica via per recuperare il ruolo dell’Europa a livello internazionale e salvaguardare i nostri valori ed il nostro benessere. Invece senza il coraggio di innovare rischiamo di difendere un modello superato e ci condanniamo ad andare a rimorchio di Usa e Cina su molte materie della nuova frontiera tecnologica. In altre parole, ho l’impressione che i Popolari europei che sono dominanti in questa nuova configurazione della Commissione adottino la vecchia “politica dei due forni” inventata dai nostri vecchi democristiani. E cioè cercheranno la sponda dei partiti di destra quando si tratterà di varare politiche in difesa degli assetti economici ed industriali attuali rischiando così di congelare la nostra economia su un assetto vecchio e via via meno efficiente, mentre cercheranno la spinta delle sinistre quando si tratterà di affrontare materie dei diritti civili o del welfare”.

Le politiche ambientali varate dall’Europa appaiono a molti irrealistiche, dispendiose e nello stesso tempo inefficaci. In Italia la Confindustria ed il Governo sembrano d’accordo nel chiedere a Bruxelles un rinvio dei rigidi obiettivi temporali indicati è una revisione di molte delle scelte fatte.

“Come economista posso dire che esiste una così detta incoerenza temporale, e cioè una legge economica che dimostra che allungare i tempi dell’adattamento non fa risparmiare ma, al contrario, aggrava i costi per il sistema. Non entro del merito dei singoli aspetti del Green Deal, ma è sicuro che la strada non è quella di prolungare le scadenze. Se ci sono dei cambiamenti da fare, si discuta a fondo e si facciano anche sulla base delle nuove possibilità tecnologiche”.

Ma come si potrebbe evitare il rischio di un ulteriore impoverimento del ruolo della Ue nel mondo (caduta che è già avvenuta silenziosamente e che ora la guerra Russo-Ucraina ha messo drammaticamente a nudo). Il rapporto Draghi su questo è molto chiaro. Ci vuole maggiore integrazione, dato che molti problemi possono essere affrontati solo a livello continentale.

“Sono pienamente d’accordo con Draghi – afferma il professor Messori – quando mette in evidenza il legame inestricabile tra politica estera, difesa e politica economica. Nessun paese può mantenere la propria libertà economica se non riesce ad esprimere una vera politica estera che valorizzi il proprio ruolo nel mondo e gli dia una voce autorevole nei tavoli di trattativa che spero si aprano quanto prima, anche se occorre evitare di premiare chi inizia l’aggressione armata verso un altro paese.”

La Fed ha avuto coraggio nel ridurre i tassi d’interesse di 0,50 punti. La Bce sembra più prudente. Cosa dobbiamo aspettarci per i prossimi mesi?

“Il presidente della Fed, Jerome Powell, aveva detto qualche settimana fa che la gran parte della strada per combattere l’inflazione era stata percorsa. Di conseguenza la sua decisione appare in linea con queste dichiarazioni. Inoltre, c’era un motivo geopolitico che spingeva ad anticipare i tempi dato che la prossima riunione del board della Fed sarà a dicembre, cioè dopo le elezioni e quindi la banca centrale americana non vorrà dare l’impressione di essere influenzata dal voto popolare. La Bce ha ridotto i tassi in due volte della stessa misura dei tassi americani. La differenza sta nel fatto che l’economia americana non è in recessione, anzi continua a crescere a buon ritmo, mentre quella europea è stagnante o addirittura in recessione. Quindi la nostra Bce avrebbe ancora spazio per ridurre i tassi. Auspico che non si aspetti dicembre per prendere una decisione, ma che ci si muova prima”.

Infine, una domanda sul Mes che sembra sparito dai radar della discussione politica ma che invece rimane una ferita per la credibilità del nostro paese che la nomina di Fitto a vice presidente non può certo sanare.

“Il Mes è uno strumento su cui si potrebbe contare nel caso di una crisi sistemica che oggi non si vede, ma che in una Europa così fragile e con così tanti focolai le crisi alle sue porte, non è affatto da escludere. Il nuovo statuto non risolve tutti i problemi e non soddisfa tutti i desiderata dei singoli governi, e tuttavia offre delle potenzialità che potrebbero essere sfruttate solo se anche noi approvassimo il trattato. Mi spiego: il Mes ha il ruolo di intervenire nella gestione di una crisi finanziaria una volta che questa si sia manifestata. Ma le crisi non nascono all’improvviso. Si potrebbe pensare di allargare le competenze del Mes anche negli interventi di prevenzione delle crisi, occupandosi di aiutare la Commissione o gli Stati ad intervenire su quei colli di bottiglia che rischiano di provocare poi delle vere e proprie crisi. Infatti, quando c’è stata la pandemia di Covid è stato attivato un fondo sanitario per aiutare i singoli paesi ad intervenire in quella situazione di grande emergenza. Una volta approvato il Mes spetterà poi ai vari paesi e alla Commissione proporre un utilizzo migliore di una parte delle grandi risorse di cui il Fondo dispone”.

Evitare una involuzione nazionalista nella Ue sarà il principale obiettivo dei prossimi anni. Draghi ha dimostrato che per rispondere alle grandi sfide che il resto del mondo pone al nostro continente, ci vuole un rafforzamento del ruolo comunitario. Da soli non si va da nessuna parte. Ma gli egoismi nazionali hanno la vista corta, puntano a soddisfare (o promettono di soddisfare) gli interessi di breve periodo di una popolazione impaurita e sfiduciata.

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