“E’ largamente assente nella letteratura scientifica italiana e straniera un’interpretazione storiografica che proietti in una prospettiva di lungo periodo i movimenti di opposizione emersi in Europa centrale durante l’epoca sovietica. Il limite di molte analisi in questo ambito, che si tratti del ’56 ungherese o della Primavera cecoslovacca oppure dell’editoria clandestina (il samizdat), è di rinserrare questi fenomeni all’interno del contesto comunista e nell’ambito spazio-temporale in cui si manifestarono.
Non viene pertanto percepito il contributo di rinnovamento democratico che essi possono dare ad un’opera di trasformazione politica e culturale nelle società dominate dalla filosofia neoliberista, impostasi ovunque come “pensiero unico”. Essa mostra sempre più quei caratteri di chiusura autoritaria e conservatrice che contraddistinguevano i regimi messi allora in discussione.
Questa raccolta di saggi nasce dalla consapevolezza di ridare una collocazione nell’auttalità al complessio dei cambiamenti che sono avvenuti in Europa dal ’68 ad oggi attraverso quello snodo fondamentale della storia mondiale che fu l’89. Nel ventesimo anniversario di quest’ultima data si è assistito a un profluvio di pubblicazioni che avevano per lo più lo scopo di ricordare nei dettagli le condizioni in cui avvenne la caduta del Muro di Berlino o le conseguenze che ne scaturirono negli anni seguenti, facendone un bilancio.
L’originalità dei contributi presenti in questo volume sta nell’andare oltre l’89 e, attraverso l’esame di alcuni casi specifici, di cercare le motivazioni profonde e le origini di quel processo di progressiva decostruzione ideale e sociale che portà alla fine del blocco sovietico e della Jugoslavia. Nello stesso tempo vengono in considerazione gli enormi problemi (tensioni nazionaliste e disgregazione stessa degli Stati, abbattimento del welfare), che si sono successivamente aperti, tali da suscitare per certi versi un “crudele rimpianto” del passato, non solo ad Est.
Il fallimento del sistema neoliberista ha messo a nudo tutte le contraddizioni che nel corso di questi anni si sono accumulate nelle società europee, aggredite da corruzione e gestione arbitraria e verticista dell’economia, mentre la dittatura comunista cinese ha finito per rappresentare il modello di organizzazione del lavoro. Ciò ha provocato spinte populiste di estrema destra ma anche un forte risveglio di quello Zivilcourage che a suo tempo portò alla vasta mobilitazione di massa contro i governi dei Paesi del “socialismo reale”. Questa Europa, specialmente nella sua componente giovanile, ormai non crede più nelle attuali classi dirigenti, che hanno ridotto la democrazia a una mera formalità, a un flatus vocis, e dal disincanto sta rapidamente passando alla rabbia e all’indignazione.
In questo contesto la Germania, pur condizionata da un’unificazione irrisolta, ha ripreso un ruolo egemone nel Continente, cosa che fa ricordare quanto scrisse lo storico inglese Alan John Percivale Taylor all’indomani della Seconda guerra mondiale: “Se la politica anglo-americana avesse avuto successo, e la Russia fosse stata costretta a ritirarsi entro le proprie frontiere, il risultato non sarebbe stato la liberazione nazionale [dell’Europa centrale] bensì la restaurazione dell’egemonia tedesca, prima economica e poi militare”. E’ quello che puntualmente è avvenuto, salvo che sul piano militare si è sostuita la Nato.
Si rilancia infine quell’idea di una ricomposizione unitaria dell’Europa “dall’Atlantico agli Urali” espressa più volte in particolare da De Gaulle e da Gorbacev e che recentemente è stata ripresa nel dibattito di geopolitica. A settant’anni dall’attacco di Hitler all’Unione Sovietica il settimana “Der Spiegel” rivela come i russi si sentano vicini al popolo tedesco più che a ogni altro, mentre d’altra parte l’ex Cancelliere Helmut Schmidt, nel corso di una lunga intervista al “Corriere della sera”, si dichiara decisamente contrario all’entrata della Turchia nell’Unione europea.
Non si tratta quindi di presentare una mappa dei Paesi e delle situazioni pre e post ’89, ma di fornire, attraverso alcuni sondaggi, delle chiavi di lettura dell’insieme dei cambiamenti che hanno attraversato il Continente a partire da quell’evento cardine della seconda metà del Novecento quale fu il movimento riformatore cecoslovacco guidato da Alexander Dubcek, con le grandi potenzialità in esso contenute, e la successiva brutale repressione. Essa segnò paradossalmente la fine del disegno imperiale sovietico e ne mostrò appieno la sua intrinseca dipendenza da una logica puramente militare.”
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