Le posizioni ultracritiche sull’Unione Europea normalmente sono utilizzate per “solleticare” la pancia dei diversi elettorati del Vecchio Continente. In campagna elettorale i partiti euroscettici si spingono anche a proporre l’uscita dall’eurozona, ben sapendo che fino a che non si governa l’economia di un grande Paese europeo è concesso di spararle molto grosse. Il post pandemia nei prossimi mesi segnerà tuttavia un “punto di non ritorno” tra i Paesi che sapranno utilizzare al meglio le risorse comunitarie e quelli che butteranno alle ortiche una straordinaria occasione per far ripartire la crescita. Stiamo parlando dei circa 2.364 miliardi di euro da suddividere tra i 27 membri dell’Unione, 1.074 miliardi in arrivo dal bilancio comunitario 2021-2017, 750 miliardi come Next Generation (390 come sussidi e 360 come prestiti), 540 a valere su altri strumenti “misti” (Mes, Bei, Sure). Francesco Papadia, dal 1998 al 2012 direttore generale del dipartimento “Operations” della Bce (responsabile per la preparazione delle operazioni di politica monetaria dell’Eurosistema), è oggi in forza al think tank Bruegel, uno dei più influenti centri di ricerca sull’economia europea a livello globale.
Dottor Papadia, partiamo da una considerazione politica: in Italia c’è chi non vuole nemmeno sentir parlare di come utilizzare i fondi europei, sia nella versione di prestiti a tassi agevolati sia come sussidi a fondo perduto.
«L’Italia deve cercare di liberarsi gradualmente del peso del debito. Nel lungo termine, lo strumento più potente da questo punto di vista è la crescita economica. Nel breve e nel medio periodo, invece, è di importanza critica mantenere il più basso possibile il costo del debito. Tre fattori contribuiscono a questo scopo: l’azione della Banca Centrale Europea con i suoi acquisti di titoli, la rassicurazione sulla capacità e la volontà dell’Italia di onorare il proprio debito e, infine, il ricorso ai prestiti comunitari, che riducono i tassi d’interesse a carico dello Stato italiano. Rifiutare l’aiuto dell’Europa danneggia l’Italia».
Potrà essere il combinato dei fondi europei e degli investimenti “green” il vero punto nodale della crescita italiana dei prossimi anni? Se perdiamo anche questo treno per far tornare a crescere il Paese…
«L’Italia ha una produttività scarsa o nulla da decenni ed è ora un paese più povero della media dell’Unione Europea, dopo essere stato più ricco fino alla metà degli anni 2000. In una certa misura, la produttività si può migliorare anche senza accrescere gli investimenti, ma progressi più importanti li richiedono. Ora l’Europa mette le risorse necessarie agli investimenti a disposizione dell’Italia. Ma solo un loro uso efficiente può permettere di colmare il ritardo di crescita dell’Italia rispetto ai nostri partner europei».
Dei 44,7 miliardi a disposizione del nostro Paese, nel periodo di bilancio 2014-2020 dell’Unione sono stati attivati progetti per soli 18 miliardi: uno scandalo che grida vendetta. C’è il rischio di sprecare anche la prossima strategica tornata di fondi e sussidi?
«Il rischio che le nuove risorse siano sprecate, o peggio che alimentino la corruzione, esiste. Ma, piuttosto che inventare nuovi organi, io penso sia necessario far funzionare quelli che ci sono già. Se serve snellire le loro operazioni, lo si faccia modificando le norme piuttosto che aggirarle. Ma è cruciale la trasparenza. La posta in gioco è molto alta e l’opinione pubblica deve essere messa in grado di controllare strettamente l’azione del governo. Occorre predisporre un meccanismo di informazione periodica e precisa».