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“L’Europa cerchi di evitare la disfatta dell’Ucraina, alzi il prezzo per Putin e isoli Trump”: intervista a Stefano Silvestri (Iai)

Imagoeconomica

“Ora gli europei dovranno cercare di evitare la disfatta dell’Ucraina e di quel che resta della sicurezza europea. Forse non sarà possibile, ma è comunque opportuno cercare di alzare al massimo i costi di una ‘vittoria’ di Putin e allo stesso tempo isolare Trump”. Dopo lo choc per aver assistito a “uno dei più grandi disastri diplomatici della storia moderna”, come è stato definito da più parti l’incontro dell’altro giorno a Washington fra il presidente ucraino Zelensky e l’inquilino della Casa Bianca, Trump, Stefano Silvestri, già presidente dell’Istituto di geopolitica Iai ed esperto di affari militari, fa il punto con FIRSTonline.

Lei pensa sul serio che gli europei possono riuscire nell’impresa di unirsi, restare compatti e contrastare Trump?     

“Certo, la cosa può apparire impossibile visti i comportamenti fin qui osservati. L’Europa che isola Trump può ricordare quel famoso titolo del Times di Londra, ‘Fog on the Channel – Continent isolated’. Non si tratta quindi di sperare in una sorta di trionfo postumo di De Gaulle, allergico a tutto ciò che non fosse ‘continente’, Gran Bretagna in primis, ma anche Usa. È però essenziale dimostrare con i fatti che noi europei crediamo nel rispetto della legge e nei patti sottoscritti. Perché di questo si tratta, di leggi e di patti, non di simpatie personali, atteggiamenti da bulli e mala educazione istituzionale oltre che umana”.

Sta dicendo che si tratta di spiegare a Trump che non sta in un bar del Texas (con tutto il rispetto per il Texas) a fare a cazzotti con qualcuno che non gli sta simpatico? Magari spalleggiato dall’amico-canaglia (Vance) che assesta il primo colpo? E chi può spiegarglielo? Bruxelles? Parigi? Londra? Berlino? Certamente non Roma…

“Certo, può sembrare che facciamo appello al ruggito del topo. È legittimo pensarlo. Ma non sopravvaluterei la forza altrui. Per fare un solo esempio perché non mi occupo di economia e finanza, ma le attese di crescita del Pil, secondo gli analisti, sono più basse rispetto a quello che si aspettava; comportamento, guarda caso, dovuto alla minaccia dei dazi che spinge le imprese a importare più beni del previsto. Senza contare che il comitato della Fed ha deciso di mantenere i tassi di interesse invariati segnalando che non ha fretta di allentare la politica monetaria.  Mentre gli indici alla Borsa chiudono sempre più spesso in ribasso. Insomma, gli Usa di Trump sono più deboli di quelli di Bush jr. e dei neoconservatori, i noti neocon. E quelli, non dimentichiamolo, fallirono”.

Professore, lei pensa che oltre a Mosca anche Pechino sta stappando lo champagne per questa tragica divisione dell’Occidente?

“Non so che cosa pensano a Pechino, la Cina ci ha abituato a silenzi millenari e a scenari che sembrano immutabili. Salvo poi ritrovarsi improvvisamente nel nuovo mondo che nel frattempo realizzava. Tipo la ‘cinesizzazione’ delle infrastrutture dell’Africa, per esempio, avvenuta senza che nessuno (tranne russi e turchi) la contrastasse. In realtà, se avessi voglia di scherzare, direi che quello che accade oggi mi fa pensare a quel film dove Sordi, ufficiale del Regio esercito, dopo l’8 settembre, telefona al comando per dire che i tedeschi si sono alleati agli americani e sparano addosso agli italiani. Inimmaginabile. Proprio come quello che sta accadendo oggi: chi avrebbe mai immaginato che Trump spalleggiasse Putin assumendo tutta la sua propaganda? Eppure, c’è del metodo nella follia di Trump, come avrebbe detto Shakespeare. Il presidente Usa vuole fortissimamente l’asse con Putin perché egli abbandoni quello con Xi. Assodato che non è ancora chiaro che cosa voglia veramente Xi, ma quello che vuole Trump lo vuole anche Putin? Se consideriamo le alleanze come una sorta di matrimonio, questi signori sono un gruppo di scambisti: i partner non sono fissi, una volta l’uno, una volta l’altro. Una cosa si può però azzardare sulla politica di Pechino: Xi cercherà di profittare del caos provocato dalla furia di Trump per riavvicinarsi a Bruxelles, aiutata dalla ‘dazi-frenesia’ del presidente Usa. E sarà un’altra storia”.

Una cosa è certa: il “Day after” rimette i temi esattamente i problemi laddove si trovavano prima che in America fosse eletto un presidente inqualificabile, nel senso stretto del termine, cioè che non si riesce a qualificare, un capo, come ha scritto Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera, che ci fa dimenticare l’America che abbiamo conosciuto, quella del “magico potere della libertà” e che costringe gli europei a raccogliere una sfida che mai avrebbe pensato di affrontare, quella lanciata dal maggiore dei suoi alleati. Insomma sul terreno, in Ucraina, la guerra continua; anzi i russi, rinvigoriti dal sostegno del “nuovo” e “impensabile” alleato americano, hanno intensificato gli attacchi massacrando e distruggendo. Mentre nelle capitali europee si cerca di trovare una via di condotta. Che vuol dire innanzitutto pensare a una difesa che fino all’altro ieri avevamo demandato all’’amico’ americano. 

È possibile professore? A che punto siamo?

“Si era arrivati ad un accordo, in sede Nato, di innalzare le spese per la difesa ad un minimo del 2% del Pil. Ma subito qualcuno ha voluto fare il primo della classe. Chi ha indicato il 3%, chi il 4% e chi addirittura il 5%. Anche il vincitore delle elezioni tedesche, e prossimo Cancelliere, Friedrich Merz, ha annunciato di voler più che raddoppiare lo stanziamento straordinario deciso dal suo predecessore, da 100 ad oltre 200 miliardi di euro. Il segnale è sicuramente positivo, poiché certamente l’Europa, dal 1989, da quando cioè è caduto il muro di Berlino e poco dopo è scomparsa l’Unione Sovietica, ha pericolosamente ridotto i suoi bilanci per la difesa ed ora si trova a dover recuperare in tutta fretta quasi quarant’anni di progressivo disarmo. Ma le cifre sempre più alte che ci giungono dai vari angoli dell’Alleanza, in realtà rischiano di finire sprecate o comunque utilizzate in modo men che ottimale se non saranno incanalate là dove realmente servirebbero. E ancora oggi non sappiamo quanto in realtà dovremmo spendere e in quali tempi. Invece di una chiara pianificazione, sia pure d’urgenza, sembriamo intrappolati in una sorta di grottesco gioco del cucuzzaro: e perché 2, e perché 3, 4 o più cucuzze?”

Quale sarebbe la strada giusta?

“Per essere seri, i paesi interessati a compiere un vero ed efficace sforzo comune dovrebbero, in primo luogo, creare un centro di pianificazione e comando, in altri termini uno Stato Maggiore multilaterale, che farà quello che gli dirà di fare la Nato finché questa funzionerà, ma che nel frattempo si preoccuperà di accrescere le capacità europee per la difesa della frontiera orientale e dell’Ucraina, anche in previsione del momento in cui la Nato dovesse cominciare a perdere colpi. A questo fine, esso dovrà valutare quello che abbiamo oggi a disposizione, anche senza gli americani o con una loro presenza molto ridotta, e stabilire cosa ci serve con maggiore urgenza e cosa potremo acquisire man mano nel tempo”.

E fatto questo?

“A questo punto si potrà stabilire il costo reale dello sforzo necessario, quanto potrà essere reperibile nei bilanci ordinari e con gli stanziamenti straordinari, possibilmente attivando un sistema integrato di acquisti in comune, magari utilizzando anche gli strumenti già approntati dall’Unione Europea. E si vedrà anche se sarà opportuno fare del debito comune. Dopotutto stiamo affrontando un’emergenza. Quando si trattò di combattere l’epidemia non si decise prima quanto si voleva spendere, ma si decise cosa si doveva comprare, e poi si trovarono i soldi”.

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