Il dibattito politico italiano sembra bloccato su vecchi stereotipi anti europei che non tengono conto della realtà attuale. I sovranisti, ma anche i loro imitatori come Matteo Renzi, ripetono la solita stanca litania sull’austerità che ci ha rovinato, sull’euro a trazione tedesca, sull’ottusa burocrazia di Bruxelles che ci impone assurdi ed innaturali vincoli, non accorgendosi che negli ultimi tempi le cose sono profondamente cambiate ed oggi tutta l’Europa cresce. Soprattutto si sta delineando uno schema di possibile ripresa del processo d’integrazione guidato da Francia e Germania dal quale l’Italia è assente, ed anzi sembra essere il principale ostacolo per la sua concreta realizzazione.
Due studi appena pubblicati dalla School of European Political Economy della Luiss e firmati da un gruppo di studiosi veramente esperti di questioni della Ue come Bastasin, Bini Smaghi, Messori, Micossi, Saccomanni e Toniolo, fanno luce sia sulle idee che stanno prendendo corpo in Europa circa la ripresa del processo di integrazione sia sulle politiche che consentirebbero all’Italia di superare l’attuale fase di stallo e di beneficiare quindi dei vantaggi di stare nel gruppo di testa dei paesi più integrati del Vecchio Continente.
“Negli ultimi anni – spiega Stefano Micossi – in Europa sono state attuate importanti politiche di crescita. Basti pensare alla flessibilità di bilancio, di cui l’Italia ha grandemente beneficiato, al piano Juncker per gli investimenti che ci vede in buona posizione, ed al Qe di Draghi che ha abbassato il costo del denaro ed ha svalutato il cambio dell’euro. Gran parte degli altri paesi ne hanno approfittato tanto che oggi la ripresa dell’Europa è robusta, e se si esamina il Pil pro capite si può constatare che la sua crescita non è inferiore a quella degli Usa. Ora sembra che dopo le elezioni francesi, se sarà sconfitta la Le Pen, potrebbe prendere l’avvio un nuovo accordo con la Germania per dare corpo ad una politica fiscale comune ed al completamento dell’unione bancaria. Per farlo la Francia si impegnerebbe a tenere sotto controllo i conti pubblici ed a varare alcune riforme strutturali, mentre la Germania sarebbe disposta ad effettuare politiche più espansive sia nella spesa pubblica che nel finanziamento di ingenti investimenti a livello continentale.”
Tutto si basa sulla rinnovata fiducia reciproca tra questi due paesi che sono stati sempre il motore dell’Europa. L’incertezza politica italiana blocca non solo il nostro paese, ma rischia di impedire l’avanzamento dell’intero processo di maggiore integrazione europea. “La cosa peggiore – continua Micossi – è che in Italia non sembra ci sia tra le forze politiche, ed ancor meno nell’opinione pubblica, piena consapevolezza di quello che si sta muovendo al di là delle Alpi. Ed anzi molti nostri atteggiamenti sembrano fatti apposta per seminare incertezza e sfiducia nei nostri partner. Già la crisi esplosa nel 2008 e la successiva crisi europea dei debiti sovrani avevano ingenerato sfiducia sulla tenuta dell’euro ed ora gli atteggiamenti italiani rischiano di perpetuare quell’incertezza facendo temere che il nostro paese possa essere l’anello debole del sistema che, in caso di shock esterni, potrebbe mettere in concreto pericolo l’intera impalcatura europea. Ed invece noi dovremmo aver ben chiaro che abbiamo il massimo interesse a spingere per il completamento dell’unione bancaria e per una politica di rilancio degli investimenti che sono il vero tallone d’Achille sia della nostra debole ripresa sia della sostenibilità nel tempo della crescita per gli altri paesi europei”.
Il problema è che oggi in Italia le riforme non sembrano molto popolari. Eppure, come si dimostra in questi studi, per noi stare agganciati al carro europeo è la soluzione più conveniente per tornare a crescere a livelli tali da creare lavoro e ridurre il debito. Ma noi siamo stretti appunto tra la montagna del debito pubblico ed il mare della disoccupazione e quindi è difficile fare sia politiche fiscali restrittive sia trovare i fondi per un risanamento delle banche e per un rilancio degli investimenti.
“I nostri studi hanno individuato una strada percorribile che potrebbe aiutarci a uscire dal vicolo cieco. Noi dovremmo cioè stipulare con Bruxelles un vero e proprio “accordo contrattuale” con il quale da parte nostra ci impegniamo a dare alcuni segnali di riformare il nostro sistema nella direzione di una maggiore efficienza. Dovremmo ad esempio portare a compimento la riforma della concorrenza, quella del catasto, spostare un po’ di tassazione dalle imposte dirette alle indirette smettendo di demonizzare alcuni graduali aumenti dell’Iva. Questo naturalmente dopo aver tolto di mezzo la questione di questi piccoli tagli di poco più di tre miliardi al bilancio di quest’anno che è per noi più che altro una questione di credibilità essendoci impegnati in tal senso, e dimostrare di poter ridurre il debito pubblico anche attraverso opportune politiche di privatizzazione. Rimane il tema degli Npl bancari. A tal proposito si potrebbe finanziare un’ampia bad bank attingendo alle risorse dell’Esm, che dispone di grandi mezzi praticamente inattivi. Quindi per Bruxelles a fronte dei nostri impegni, si tratterebbe di darci accesso all’Esm ed in più finanziarci una politica d’investimenti in infrastrutture da scegliere e da effettuare sotto il diretto controllo delle autorità europee. Non è certo un accordo ‘punitivo’ per noi. Anzi con il ritorno della fiducia potremmo sperare in un ulteriore rilancio degli investimenti privati (che quest’anno sono ripartiti) e quindi della crescita in generale uscendo da questo rischioso stallo nel quale ci siamo cacciati”.
Molti segnali, oltre la cerimonia di Roma, stanno a indicare che l’Europa potrebbe rimettersi in moto. L’importante è che il nostro paese sia pienamente consapevole che il quadro economico e politico europeo si sta profondamente modificando. E noi cosa vogliamo fare?