L’osservatorio giusto
Andrew McAfee è da annoverare nella stretta cerchia di quegli economisti che guardano, capiscono e valutano la nuova economia, fatta di servizi e d’immaterialità, con l’approccio corretto. Il suo osservatorio potrebbe assimilarsi al punto di vista di chi racconta un paesaggio da una mongolfiera. Forse è perché ricopre un incarico importante come quello di ricercatore capo della Initiative on the Digital Economy della Sloan School of Management del MIT a Boston. Uno dei think-tank più informati e seri sul laboratorio digitale e il ciberspazio. Certo è anche che McAfee appartiene veramente a una nuova generazione di economisti. Una generazione che, ormai, dà certi sviluppi per scontati e ha smesso di guardare nello specchietto retrovisore. I ragionamenti di McAfee fanno sempre riflettere, per la loro originalità e la coerenza argomentativa. Difficile trovare una nota stonata nel suo pentagramma di pensiero. L’economia digitale è qui per restare e svilupparsi e di questo si deve discutere. Sembra dire McAfee. E sarà anche migliore della economia industriale-terziaria, se sapremo affrontarla in un certo modo, con i quattro cavalieri dell’ottimismo, appunto. Questo è il suo punto di partenza, anche se l’ottimismo, oggi, sembra un calcio di rigore finito sul palo.
Sarà senz’altro migliore
L’era delle macchine intelligenti sarà migliore e più ricca di opportunità dell’era delle macchine utensili. Quest’ultima ha impattato l’equilibrio del pianeta in modo distruttivo più di tutte le altre ere messe insieme. Forse l’economia digitale potrà fermare la distruzione senza gravare sul tasso di sviluppo umano e sul benessere che l’era industriale ha caoticamente portato in molte parti del mondo. McAfee sviluppa questa tesi nel suo ultimo libro More From Less (di più con di meno), non ancora disponibile in italiano. Sono stati tradotti in italiano i suoi precedenti lavori insieme a Erik Brynjolfsson, direttore della MIT Initiative on the Digital Economy: La nuova rivoluzione delle macchine. Lavoro e prosperità nell’era della tecnologia trionfante (Feltrinelli, 2017), In gara con le macchine. La tecnologia aiuta il lavoro? (goWare, 2018) e La macchina e la folla. Come dominare il nostro futuro digitale (Feltrinelli, 2020). Di seguito siamo lieti di offrire uno contributo di McAfee dal titolo Kicking the Industrial Age’s Worst Habits. Il contributo è apparso sul New York Times nella rubrica “Turning Points”. Buona lettura!
Cambiare in meglio
Un rapporto delle Nazioni Unite del 2019 ha constatato che si avvicinano al milione le specie di animali e di piante in via di estinzione. Un disastro causato dai danni dell’uomo agli ecosistemi di tutto il mondo. La macchina a vapore e le successive invenzioni hanno cambiato il mondo. Oggi, per fortuna, il computer e la tecnologia lo stanno cambiando di nuovo. Perché dico “per fortuna”? Perché l’era industriale — inaugurata dalla forza del vapore e sostenuta dalla combustione interna, dall’elettricità e dalle risorse fossili — è stata un’esperienza molto dura per il nostro pianeta. Anno dopo anno, abbiamo sottratto alla terra sempre più combustibili fossili per alimentare le necessita di crescita delle nostre economie. Abbiamo estratto sempre più metalli e minerali, abbattuto più alberi, disboscato più terreni per coltivarli, utilizzato più acqua e fertilizzanti di ogni altra epoca. Abbiamo sfruttato il nostro mondo anche in innumerevoli altri modi.
È avvenuto durante l’era industriale
Durante l’era industriale la popolazione e la prosperità sono aumentati in modo esponenziale, ma è aumentato esponenzialmente anche il consumo di risorse naturali. Sin dalla prima Giornata della Terra, nel 1970, fu chiaro a molti che il pianeta non poteva tenere il passo con il passo dell’oca dell’era industriale. Già da allora si capì che le risorse della Terra non avrebbero sopportato questi appetiti incontrollati, che crescevano a dismisura. L’unica soluzione praticabile sembrava quella di mettere un freno a questi appetiti. Poteva avvenire volontariamente, aderendo cioè a una filosofia di “de-crescita”, che è la stessa cosa di aderire all’idea di una recessione continua e sempre più profonda. Oppure attraverso una pianificazione centrale e un razionamento delle risorse.
Dopo il 1970
Cosa è successo dopo il 1970? A parte alcune restrizioni temporanee come il razionamento della benzina, la maggior parte dei Paesi non ha cercato rallentare il consumo di risorse naturali o di imporre alle aziende la produzione di una minore quantità beni materiali per il bene del pianeta. Gli Stati Uniti di certo non lo hanno fatto. Allo stesso modo, la maggior parte delle persone nei paesi sviluppati non ha scelto la de-crescita volontaria. La crescita economica e demografica è sì rallentata dal 1970, ma certamente non ha iniziato a diminuire. Al contrario, entrambe hanno continuato a salire con tassi esponenziali alquanto costanti. Per esempio, l’economia americana è tre volte e mezzo più grande di quella del 1970. La popolazione è aumentata di circa il 60%. Si è continuato a consumare risorse naturali a un ritmo forsennato, giusto? No! Sbagliato. È successo qualcosa di completamente inaspettato. In America e in altri paesi sviluppati, l’impiego di materiali critici per l’ambiente si è assestato e poi ha cominciato a diminuire, anche se la popolazione e l’economia hanno continuato a crescere.
L’inversione di rotta
L’entità di questa inversione di rotta è stupefacente. Secondo la United States Geological Survey, nel 2015 l’America ha consumato il 15 per cento in meno di acciaio rispetto al 2000, il 40 per cento in meno di rame e il 44 per cento in meno di oro. L’uso totale del legname è sceso di un terzo, quello della carta del 20 per cento rispetto ai rispettivi picchi. Se facciamo uno zoom su industrie come l’agricoltura, vediamo la stessa cosa. Il tonnellaggio totale delle colture americane è aumentato di oltre il 20 per cento rispetto al 1992, ma l’uso complessivo di fertilizzanti è diminuito di quasi il 20 per cento. È diminuito pure del 13 per cento il consumo di acqua per l’irrigazione. Infine, l’uso totale dell’energia in America si è stabilizzato, anche se la crescita continua. L’economia americana è circa il 20 per cento più grande di quanto non fosse prima dell’inizio della Grande Recessione Nel 2018, però, il paese ha consumato soltanto lo 0,26 per cento in più di energia rispetto al 2007. Come è stato realizzato tutto questo? Come si è riusciti a dissociare la crescita economica dal consumo di risorse naturali per la prima volta nella storia dell’umanità? Mettendo in moto la rivoluzione digitale.
I benefici della rivoluzione digitale
Consideriamo l’esempio delle ferrovie. Alla fine degli anni Sessanta, la regola generale delle ferrovie negli Stati Uniti era che, in un determinato giorno, solo il 5% dei vagoni merci poteva muoversi. Questo non perché l’altro 95% avesse bisogno di stazionare, ma perché le compagnie non riuscivano a tenerne traccia. All’epoca, il solo accurato monitoraggio di una flotta di treni da trasporto su migliaia di chilometri di binari e centinaia di scali merci era praticamente impossibile. Le ferrovie si affidavano a osservatori umani che monitoravano il passaggio dei treni e poi telefonavano o telegrafavano gli avvistamenti alla sede centrale. Anche se questo approccio richiedeva molto impiego di personale, aveva la sua sensata logica economica. Nel corso del tempo, tuttavia, queste sentinelle sono state sostituite da strumenti digitali per la localizzazione del materiale rotabile. Oggi, le ferrovie hanno una visibilità quasi costante sui su tutta la loro rete e i treni viaggiano in rapporto alle merci da trasportare e alla capacità massima della rete.
La dematerializzazione
Il progresso non è avvenuto solo in America. Una simile “dematerializzazione” su larga scala si è avuta anche in altri paesi ricchi, come la Germania e i Paesi Bassi. Le nazioni a basso reddito stanno ancora costruendo le loro infrastrutture e quindi usano più materiale fisico, ma si prevede che presto inizieranno a dematerializzarsi anche loro. Le forze siamesi del capitalismo e del progresso tecnologico sono tutto ciò di cui abbiamo bisogno per sapere che ci prenderemo cura del nostro pianeta? Assolutamente no. Come ogni studente di economia del primo anno impara, l’inquinamento è la classica esternalità negativa — un costo che nasce da un’attività economica ma che non è sostenuto dalle parti direttamente coinvolte in tale attività. Le tecnologie e i mercati fanno molte cose in modo spettacolare, ma possono occuparsi dell’inquinamento e di altre esternalità.
I quattro cavalieri dell’ottimismo
Abbiamo bisogno che un altro paio di forze entrino nel gioco. Queste sono l’opinione pubblica e i governi. La prima deve assumere la piena consapevolezza dei terribili problemi causati dall’inquinamento. I governi devono diventare più reattivi, cioè in grado di mettere in atto e applicare misure intelligenti per ridurre l’impatto del capitalismo e del progresso tecnologico sull’ambiente. Queste sono state le forze, ad esempio, che hanno portato gli Stati Uniti ad approvare nel 1973 una legislazione tesa a proteggere gli animali vulnerabili allo sviluppo dell’industria e della tecnologia. Lo stesso avvenne, all’inizio del XX secolo, quando l’estinzione del piccione migratore e la quasi scomparsa di altre specie indirizzò l’opinione pubblica a sostenere politiche di conservazione dell’ambiente. Chiamo il capitalismo, il progresso tecnologico, la consapevolezza pubblica e il governo reattivo i “quattro cavalieri dell’ottimismo”. Quando viaggiano all’unisono, possono aumentare il benessere delle persone senza danneggiare il pianeta. Grazie a loro, si potrà superare la cattiva abitudine dell’età industriale di saccheggiare la Terra per crescere.
Di più da meno
Stiamo entrando in una seconda era di macchine più pulite e più verdi, alimentate dal computer e dall’intelligenza artificiale. Gli altri tre cavalieri sono necessari, ma il progresso tecnologico è l’unico che può permetterci di ottenere “di più da meno”. Che significa muoversi meglio in un mondo di risorse naturali in via di esaurimento.