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L’era digitale e le sue 5 leggi bronzee che è meglio trasgredire

Pixabay

Un obbiettivo multiangolare 

È uscito in questi giorni un libro che mancava, almeno in lingua italiana. Si tratta dell’ultimo denso e impegnativo lavoro di Francesco Varanini, una figura poliedrica e un po’ insolita nel nostro panorama intellettuale. 

Varanini approccia l’analisi della cultura digitale da molteplici angolature: da professore di informatica umanistica, da critico letterario, da dirigente d’azienda, da consulente e anche da fondatore di iniziative che operano nel ciberspazio. 

Si sente che tutte queste esperienze confluiscono nel libro senza collidere ma in una sintesi che ci porge una lettura che lascia indubbiamente un segno. Ecco perché Le cinque leggi bronzee dell’era digitale e perché conviene trasgredirle (editore Guerini con goWare per il digitale) è un libro, raro e anche coraggioso nelle sue tesi che si possono non condividere, ma con le quali non si può fare a meno di confrontarsi. 

È soprattutto interessante e anche nuova la ricollocazione dei concetti di tecnologia, innovazione e automazione nella storia del pensiero. Non nascondo che le parti che mi hanno maggiormente coinvolto sono quelle dedicate ad alcuni grandi pensatori del passato che hanno meditato e scritto sul rapporto animato-inanimato, macchina-persona, tecnica-essere. 

All’inizio di ogni capitolo ci sono degli ampi excursus di storia del pensiero che inquadrano e introducono le cinque leggi auree dell’era digitale. Qui di seguito pubblichiamo quello dedicato a un pensatore che, più di altri, ha riflettuto sull’impatto della tecnica sull’individuo gettato nel mondo: Martin Heidegger. 

L’esserci 

Heidegger ci mostra un percorso. Ci guida a scoprire in noi un atteggiamento trasformativo, generativo. La forza del suo messaggio sta nel non richiedere nessun assioma, nessun assunto teorico al quale fare appello. Non serve immaginare un mondo ideale, un mondo come dovrebbe essere in base a una qualche ideologia. 

Ci dice Heidegger: puoi conoscere il mondo solo attraverso l’essere-nel-mondo, l’esserci

Partire dal qui ed ora, dal vivere il presente. 

Non seguire istruzioni, ma sperimentare, scoprire il modo di muoverci nel mondo digitale nel quale, volenti o nolenti, ci troviamo a vivere. Ricordando di essere soccorrevoli e buoni, capaci di distinguere, giudicare e scegliere. 

Gettati nel mondo 

L’intera lezione di Essere e tempo — opera scritta tra il 1923 e il 1926 — si riassume infatti nell’iniziale accettazione di una scena primaria: ogni essere umano è gettato nel mondo. Un mondo che non ci siamo scelti e che ci è sconosciuto. 

Una terra straniera e inospitale. 

Una Waste Land. La parola usata da Heidegger è Geworfenheit. Traduttori francesi dicono: déréliction. Traduttori inglesi dicono: thrownness. In italiano, seguendo alla lettera Heidegger, possiamo dire: gettatezza

Heidegger ci invita a rinunciare a illusioni e a facili consolazioni. È vano considerarsi altrove, e cercare in questo altrove fonti di rassicurazione. Questo è il mondo nel quale ci è dato da vivere. 

E dunque oggi ci troviamo a vivere in questo mondo popolato da macchine, ci troviamo a vivere la nostra vita quotidiana tramite strumenti che intervengono in ogni nostra azione. 

Seguendo Heidegger, ci conviene considerare il mondo digitale nuovo, sconosciuto, ignoto. Così è per ogni essere umano, indipendentemente dall’età, dal luogo di nascita, dalla cultura, dalla professione. 

L’ignoto 

Nuovi sono gli strumenti per i loro stessi creatori. Ignote sono le regole delle piattaforme che sembrano proporci una democrazia artificiale. Questo mondo è nuovo anche per i cosiddetti nativi digitali. 

Dovremo anzi considerarli svantaggiati, nel processo di avventurosa scoperta della terra nella quale siamo gettati: non avendo fatto esperienza di altri mondi, sono privati della possibilità di giudicare per differenza. 

Dunque tutti viviamo la condizione di chi è Geworfen, gettato. Solo a partire da questo essere gettati nostro malgrado in una terra sconosciuta, possiamo fondare il nostro essere umani — anche nei tempi digitali. 

L’idea di progetto 

Il ragionamento di Heidegger ruota attorno all’idea di progetto. Il verbo werfen corrisponde al nostro gettare. Già in greco e in latino, e così in italiano, il pro porta il senso dell’‘oltre’, ‘in avanti’. A pro corrisponde in tedesco ent. Dunque entwerfen è progettare

L’Entwurf, progetto, e la Geworfenheit, il sentirsi gettati, ci ricorda Heidegger, sono concetti intimamente connessi tra di loro. Non c’è Entwerfen, progettare, se non c’è Sichentwerfen, autoprogettarsi. Solo progettandomi come persona posso concepire e condurre in porto un buon progetto. Il progetto sarà buono solo se mi riguarda personalmente. 

Heidegger ci è di grande aiuto, perché ci spinge a osservare come l’atteggiamento di gran parte dei progettisti, nell’Era Digitale, consista nel costruire strumenti che altri, diversi dal progettista stesso, dovranno usare; e nell’edificare mondi che altri, non il progettista stesso, dovranno abitare. 

Progettisti e utenti 

Come mostro illustrando la Terza Legge, in questo sta il vero digital divide, la vera divisione, separazione, che si instaura nella società nell’Era Digitale. 

I cittadini si divaricano in progettisti da un lato e utenti del progetto dall’altro. 

Heidegger ci mostra come questa separazione sia artificiale, politica, sovrapposta a una condizione umana che vede ogni essere umano gettato in un mondo che è ignoto, in apparenza ostile, ma può essere esplorato. Heidegger ci rammenta quindi le fasi di questa esplorazione. 

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L’ansia 

Il primo passo sta nell’essere angstbereite. Disposti all’ansia. Dietro ad angst sta il verbo latino angere: ‘stringere’. Sbalzati in un mondo sconosciuto, ci si ‘stringe il cuore’; non possiamo che essere ‘stretti nella morsa del timore’. 

Ma mentre la paura si risolve in difesa e in chiusura, l’ansia è il sentirsi stretti, momentaneamente costretti e in attesa: non so cosa mi aspetta. Aperti però a cogliere il presentarsi, il dischiudersi del nuovo; aperti a vedere il mondo con i nostri occhi. 

Il passo successivo è dare sbocco alle energie implicite nell’ansia. 

Si dovrà scegliere una direzione per il nostro agire — l’agire di esseri mossi da una costante tensione: dal personale al sociale, da me stesso all’altro. Dice Heidegger: Schuldigsein. Essere Schuldig. Sentirsi in debito, in obbligo. «Schuldigsein vuol dire Urhebersein»: essere causa prima, artefice, autore. Possiamo quindi anche dire: sentirsi responsabile. 

La scoperta 

C’è da compiere ancora un altro passo. Schloss è ‘serratura’. Il tedesco schliessen corrisponde all’italiano chiudere. Anteponendo ent, nel senso di movimento opposto alla chiusura, abbiamo Entschlossenheit: decisione, risolutezza. Heidegger propone di sostituire a ent er, che sta per inizio di un’azione, divenire. Erschlossenheit è apertura, è scoperta. 

Consapevole orientamento a dissodare la terra nuova, disponibilità a formulare congetture — avanzando passo dopo passo nella conoscenza. 

Fare esperienza 

L’ansiosa preoccupazione genera responsabilità. L’assunzione personale di responsabilità si traduce in risolutezza e apertura. 

In virtù di questi passaggi — di questa crescente acquisizione di consapevolezza, in virtù di un’accresciuta di fiducia in se stessi — la gettatezza si trasforma da condizione tragica nella quale l’essere umano sembra costretto a subire un fatale destino in opportunità per sperimentarci come esseri capaci di compiere l’utile e il giusto. 

In questo percorso, può certo aiutarci una qualche macchina. Purché ne manteniamo saldamente nelle mani il volante. 

La nuova scena digitale è per noi umani importante, non solo e non tanto per i nuovi strumenti che pone a disposizione, ma invece per come ci sfida, imponendoci un percorso di miglioramento personale. 

Converrà ignorare le spinte più o meno gentili che ci giungono dalla macchina, i suggerimenti e i consigli e i percorsi consigliati. E fare esperienza in prima persona. 

Categories: Tech